Anno nuovo, nuovo problema
La passione del Pakistan per la nuova generazione di armi atomiche mignon
Il Pakistan sta sviluppando una nuova generazione di armi atomiche cosiddette “tattiche”, che sono ordigni di potenza inferiore ai missili balistici nucleari e hanno come bersaglio non le grandi città dell’India (che è l’arcinemico del Pakistan) ma le divisioni di carri armati indiani in movimento sul campo di battaglia. Queste bombe atomiche tattiche hanno un raggio ridotto, ma restano bombe atomiche. La loro proliferazione in Pakistan è una questione aperta da almeno due anni e a questo ritmo di produzione – il più veloce nel mondo – il paese del sud Asia in dieci anni avrà un arsenale più potente di quello del Regno Unito.
Il Pakistan sta sviluppando una nuova generazione di armi atomiche cosiddette “tattiche”, che sono ordigni di potenza inferiore ai missili balistici nucleari e hanno come bersaglio non le grandi città dell’India (che è l’arcinemico del Pakistan) ma le divisioni di carri armati indiani in movimento sul campo di battaglia. Queste bombe atomiche tattiche hanno un raggio ridotto, ma restano bombe atomiche. La loro proliferazione in Pakistan è una questione aperta da almeno due anni e a questo ritmo di produzione – il più veloce nel mondo – il paese del sud Asia in dieci anni avrà un arsenale più potente di quello del Regno Unito.
Ora Shashank Joshi, che insegna a Harvard e lavora per il Royal United Services Institute (un think tank inglese titolato) ha indagato la dottrina che sta alla base di questa escalation. Il Pakistan sostiene di rifarsi a un’altra dottrina considerata perfettamente legittima, quella della Nato durante la Guerra fredda, quando le atomiche tattiche erano destinate a bloccare l’avanzata delle colonne di corazzati sovietici in marcia verso la Germania. E’ un paragone particolarmente caro all’establishment militare di Rawalpindi, ossessionato dalla constatazione che l’India ha un esercito di più di un milione di soldati, che potrebbe dilagare attraverso un confine che è vicinissimo – a un’ora di autostrada dalla capitale del Pakistan. I generali pensano di poter colmare la disparità di forze sul piano convenzionale con le piccole atomiche.
Joshi ricorda che in realtà la Nato realizzò presto che l’impiego di quelle armi avrebbe devastato i paesi in prima linea che avrebbero dovuto essere difesi, “più ridotto è il loro raggio, più morti sono i tedeschi” era il commento cinico al tempo – come fa notare anche Michael Krepon, un analista dell’americano Stimson Center specializzato in armi di distruzione di massa: “Il lavoro delle Forze armate pachistane sarebbe quello di prevenire i funghi atomici sul proprio suolo, non quello di crearli”.
Il secondo problema con le atomiche tattiche è che più piccola è l’arma, più è facile perderne il controllo. Valeva anche nella Germania ovest della Guerra fredda: nel gennaio 1977 un gruppo di fuoco della banda di estrema sinistra Baader-Meinhof assaltò una base militare a Giessen per impadronirsi di un’atomica tattica e fece anche esplodere una cisterna di benzina all’esterno del perimetro per creare un diversivo, ma perse lo scontro a fuoco e fallì. Figurarsi se non vale per il Pakistan di oggi, dove è quasi routine che le basi militari siano prese d’assalto da estremisti islamici che spesso hanno complicità all’interno – è già successo almeno sei volte a siti collegati al programma atomico. E’ la nazione dove la presenza di al Qaida è più forte e dove il governo ha rinunciato al controllo di intere regioni. Viene in mente un reportage bene informato dell’Atlantic Monthly firmato nel dicembre 2011 da Marc Ambinder e Jeffrey Goldberg, che raccontava come i generali pachistani temano che l’arsenale atomico del paese possa essere requisito dall’America e per questo hanno ordinato di spostarlo spesso da una base all’altra. Il problema dentro il problema è che per non muovere le bombe atomiche attraversando le città con convogli militari vistosi che attraggono attenzioni indesiderate è stato dato l’ordine di caricare gli ordigni a bordo di furgoni civili, anonimi, che si mescolano da soli al traffico senza scorte militari visibili. Il governo del Pakistan ha smentito i due giornalisti americani, ma la questione di fondo resta la stessa: mentre si apre l’ennesimo round di negoziati sul programma nucleare del vicino Iran – che si avvicina ma non è ancora arrivato all’arma atomica – Islamabad ha scelto di imboccare una dottrina militare pericolosa che le impone di continuare a produrre un numero sempre maggiore di piccole bombe atomiche facili da trasportare (e da perdere). Nota bene: non si tratta di una vera “dottrina” nucleare, perché il Pakistan non ne ha mai annunciata una, ma è piuttosto quello che si capisce dalle dichiarazioni dei leader civili e soprattutto da quelle dei leader militari.
Le crisi da infarto
A partire dal 1979, i paesi del Patto atlantico tornarono sui loro passi e cominciarono a rimuovere gli ordigni dall’Europa, in anticipo sulla fine della Guerra fredda. Non succederà tra Pakistan e India, che soffrono di crisi micidiali e ricorrenti: nel 1999 i generali pachistani armarono le atomiche senza dirlo al presidente Nawaz Sharif. Poi arrivarono l’attentato al Parlamento indiano del 2001 e la strage di Mumbai del 2008.
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