Beffe di stato
I contribuenti tartassati sussidiano le rinnovabili
Sono almeno tre le “beffe” che lo stato italiano ha riservato ai suoi contribuenti in materia energetica: dall’aumento delle tariffe fino ai due sistemi di incentivazione degli impianti per le “rinnovabili” appannaggio della Pubblica amministrazione (Pa). L’aumento del costo della bolletta del gas dell’1,7 per cento previsto per il primo trimestre di questo secondo anno di recessione è solo un indicatore dell’ulteriore peso economico (22 euro) che le famiglie dovranno affrontare.
Sono almeno tre le “beffe” che lo stato italiano ha riservato ai suoi contribuenti in materia energetica: dall’aumento delle tariffe fino ai due sistemi di incentivazione degli impianti per le “rinnovabili” appannaggio della Pubblica amministrazione (Pa). L’aumento del costo della bolletta del gas dell’1,7 per cento previsto per il primo trimestre di questo secondo anno di recessione è solo un indicatore dell’ulteriore peso economico (22 euro) che le famiglie dovranno affrontare. Mentre in Germania e in Francia la percentuale di tasse sul costo complessivo della bolletta del gas è rispettivamente del 25 e del 17 per cento, in Italia raggiunge il 34: la terza aliquota più alta d’Europa dietro Paesi Bassi e Romania, secondo il recente “Focus sicurezza energetica” curato per il Parlamento dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). Statistiche che suonano beffarde per il contribuente se si pensa che, per una strategia di politica industriale, le imprese (che per loro natura consumano di più e con costanza) godono di un regime più morbido: le tasse pesano sulla bolletta per l’11 per cento circa, la percentuale più bassa d’Europa. L’Italia, appunto, ha uno dei divari più ampi tra la tassazione dei “clienti residenziali” e dei “clienti industriali” a confronto con gli altri paesi. Secondo Matteo Verda, associate research fellow Ispi, tra gli autori del rapporto, la tassazione dell’energia per il consumatore è “il modo che viene usato dallo stato per fare cassa e compensare un gettito deficitario nella tassazione diretta, anche per via dell’evasione, con quella indiretta. Questo è un meccanismo regressivo perché colpisce tutti in modo indiscriminato e ovviamente la spesa relativa è maggiore per le famiglie a basso reddito. Il gas costa allo stesso modo per tutti, come la benzina, con la differenza che il consumo di gas è pressoché irrinunciabile e se pagassimo le stesse tasse della Germania risparmieremmo almeno 1,5 miliardi l’anno”, dice al Foglio Verda, autore del libro “Una politica a tutto gas” (Bocconi editore).
Rinnovabili e Pubblica amministrazione
Per la prima volta quest’anno, per effetto di un decreto del ministero dello Sviluppo economico in concerto con quello dell’Ambiente, con le imposte sul gas verrà incentivata la “produzione di energia termica da fonti rinnovabili” attraverso uno stanziamento che toccherà i 900 milioni di euro una volta a regime nel 2020. Sebbene l’onere immediato in bolletta non tocchi l’uno per cento, ma sia destinato a salire, il dato curioso è che 200 milioni (il 22 per cento del totale) saranno destinati “all’incremento dell’efficienza energetica” per gli edifici della Pa: soldi che dunque tornano allo stato con interventi come l’isolamento termico, i vetri opacizzati, i collettori solari termici ecc., indicati nel decreto pubblicato in Gazzetta ufficiale mercoledì. Opere che verranno commissionate ai privati ma che, paventano alcuni operatori, saranno vincolate ai tempi lunghi di pagamento della burocrazia (almeno sopra i 200 giorni). La terza e ultima “beffa” riguarda il fotovoltaico, un settore già sussidiato. Con un emendamento approvato in commissione Bilancio del Senato poco prima delle dimissioni del governo tecnico e passato nella legge di stabilità, sono state garantite a chi installa i pannelli solari sugli edifici della Pa le stesse generose condizioni del (vecchio) IV conto energia, lasciando a bocca asciutta chi avrebbe potuto accedere al V, più stringente ma teso a incoraggiare l’innovazione di prodotto. La turbolenta genesi del provvedimento bipartisan, criticato soprattutto perché inizialmente non poneva limiti ai fondi disponibili, è stata raccontata da Staffetta Quotidiana. In ogni caso, siccome il tetto dei finanziamenti è rimasto fisso a 6,7 miliardi l’anno, il risultato è che i 200 milioni non ancora utilizzati verranno spartiti tra i pochi soggetti già legati al settore pubblico, senza che venga garantito lo sviluppo tecnologico del settore, come invece annunciato. I criteri di accesso agli incentivi potrebbero infatti essere più laschi fino al punto che gli edifici pubblici (questo è un rischio) avranno tecnologie arretrate purché i fornitori riescano a smaltire le giacenze di magazzino. Il meccanismo alla base rimane però quello che gli analisti non esitano a definire una partita di giro, nella quale gli incentivi ricevuti dalla Pa si trasformano in finanziamenti diretti ai privati, magari sempre i soliti.
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