Montididio
Prima della Bocconi e della specializzazione a Yale sotto la guida del premio Nobel James Tobin (l’economista americano della “Tobin tax”, lascito del governo uscente) e prima ancora del Leone XIII, sezione B, il prestigioso liceo milanese dei gesuiti, ci sono i luoghi delle sue origini, la Città Giardino altrimenti detta Varese. Beninteso, di Mario Monti a Varese ci sono poche tracce, ricordi vaporosi fra il rione Sant’Ambrogio Olona sotto il Sacro Monte dove, fino a qualche anno fa, sua madre trascorreva le vacanze, e il mondiale di ciclismo del 1951 seguito a bordo pista col padre lungo la salita verso il passo del Brinzio (per la cronaca, vittoria in volata di Ferdinand Kübler).
Prima della Bocconi e della specializzazione a Yale sotto la guida del premio Nobel James Tobin (l’economista americano della “Tobin tax”, lascito del governo uscente) e prima ancora del Leone XIII, sezione B, il prestigioso liceo milanese dei gesuiti, ci sono i luoghi delle sue origini, la Città Giardino altrimenti detta Varese. Beninteso, di Mario Monti a Varese ci sono poche tracce, ricordi vaporosi fra il rione Sant’Ambrogio Olona sotto il Sacro Monte dove, fino a qualche anno fa, sua madre trascorreva le vacanze, e il mondiale di ciclismo del 1951 seguito a bordo pista col padre lungo la salita verso il passo del Brinzio (per la cronaca, vittoria in volata di Ferdinand Kübler). Eppure sono proprio l’infanzia e la prima giovinezza varesine a dire molto della fede di Monti, del suo credo, le caratteristiche di quel suo cattolicesimo oggi considerato con curiosa attenzione sul colle vaticano. Varese soltanto sulla carta è diocesi di Milano; di fatto da sempre e non senza un certo orgoglio guarda oltre, verso ovest, verso la sponda piemontese del lago Maggiore, e cioè a quel cattolicesimo liberale che fu di Cavour, un mondo dove lo stato è lo stato e la fede resta un problema di coscienza. Altra cosa da quel cattolicesimo calato nella vita, un’esigenza morale da rendere operante nei vari campi dell’agire umano, di impronta manzoniana.
Varese non è Milano, insomma, come il cattolicesimo ambrosiano sopra il Ticino è altra cosa da quello che sta sotto, i santi operai della grande città e quelli tutto fango e cuore della bassa milanese. Ne è convinto Luca Diotallevi, sociologo non lontano dalla sensibilità del cardinale Camillo Ruini, che sostiene che per comprendere il cattolicesimo di Monti occorre “andare con il pensiero alla tradizione di cui un esponente fu Arturo Carlo Jemolo”. Questi scrisse di sé: “Sono un cattolico liberale, appellativo riservato a chi per intensa che sia la sua fede o la sua pratica, pensi secondo schemi della società civile, dia gran posto nelle sue preoccupazioni alle strutture statali; a chi, ad esempio, riconoscesse che nella sua formazione avessero agito eminentemente uomini del mondo laico: Martinetti, Croce, Ruffini, Einaudi”. Dice Diotallevi: “Jemolo e il suo cattolicesimo liberale furono una cosa completamente diversa da Alcide De Gasperi e da don Luigi Sturzo, in altro senso anch’essi cattolici e cattolici liberali. Quello laico perché liberale nel senso francese del termine, quelli liberali, ma non laici, bensì grandi combattenti per la libertà religiosa, perché liberali nel senso anglosassone del termine. Questi sostenevano che era il Vangelo a fondare la società delegittimando e sovvertendo la pretesa di assolutezza di ogni potere mondano. Jemolo all’opposto metteva prima lo stato, come Cavour. Don Sturzo nell’opera ‘Chiesa e stato’ – stato è con la lettera minuscola come lui pretendeva si usasse – giunse a definire il Leviatano ‘contro natura’”.
Franco Monaco non è uno qualunque nella terra di sant’Ambrogio. Deputato del centrosinistra, è stato presidente dell’Azione cattolica di Milano e consigliere politico del cardinale Carlo Maria Martini. Anche lui vede in Monti “il profilo del cattolico liberale”, una personalità che in questo senso ha poco da spartire con De Gasperi. Dice: “De Gasperi fu un cattolico adulto che, nei passaggi cruciali, anziché il sostegno, scontò l’opposizione delle gerarchie; fu leader di un grande partito popolare e strutturato; il suo partito si connotava per una ispirazione democratica e cristiana, che è cosa affatto diversa dal Partito popolare europeo di oggi, cioè dalla famiglia politica dei conservatori europei, nella quale tuttora militano, ancorché mal sopportate, le truppe di Berlusconi. Quel Ppe, non è un mistero, che ha investito su Monti e lo ha sospinto nell’agone politico. Lì, certo, possono riconoscersi dignitosamente i cattolici di destra. Che non è una parolaccia. Ma è manifestamente cosa diversa dai cattolici democratici e sociali di chiaro orientamento riformatore. Quelli che prendono sul serio le encicliche sociali. Per parafrasare un Prodi d’antan: ‘Competition is competition’. Oppure Moro: ‘Chi ha più filo tesserà. Senza pretese primogeniture’”.
Di certo c’è, dice Monaco, “che la biografia di Monti non parla di una militanza cattolica tradizionale. Non è passato neanche dalla frequentazione dell’universo sociale ‘bianco’. Non ha basi parrocchiali conosciute. Il che non è un limite, è un dato della storia. Anche per questo sarei incline a definirlo come un giansenista, con elementi davvero apprezzabili di rigore personale, di culto delle regole e di austerità. Sono caratteristiche che oggi piacciono in Vaticano dove da una parte credo sentano l’esigenza di dare al paese un’iniezione di maggiore severità, dall’altra vivono una sorta di senso di colpa per aver appoggiato, negli anni passati, Berlusconi”.
Austerità giansenista, rigore gesuitico. Nonostante la nota opposizione di quelle due culture e spiritualità, radicatasi nelle battaglie del Seicento intorno a Port Royal des Champs, nonostante Pascal e le “Lettere a un provinciale”, per molti questi tratti montiani sono due facce della medesima medaglia. In sostanza, un baluardo sicuro contro coloro per i quali la fede, se la si ha, dovrebbe essere mostrata, anche agitata, come fosse un grimaldello. Monti diede prova, della sua fede, nel 2007 quando da preside della Bocconi venne chiamato, in qualità di “saggio”, dalle Conferenze episcopali europee (Comece) per la redazione del documento “Europa dei valori” diramato in occasione del cinquantesimo anniversario dalla firma del trattato di Roma. Lavorò alacremente, sostenendo che “nonostante le critiche l’Europa è intrisa di valori cristiani”. Fu una battaglia singolare per un rettore della Bocconi, condotta più da uomo di fede che da personalità di peso dell’establishment finanziario. “Certo, spiega il direttore di Studi Cattolici, Cesare Cavalleri, bisogna poi vedere se davvero di fede si tratta. Anche Enrico Cuccia, per dire, andava a messa tutte le mattine, ma questa pratica non era necessariamente una garanzia. Monti, in particolare, non è che abbia fatto molto per i valori che stanno a cuore ai cattolici in questi mesi di governo. Seppure credo abbia una sua fede. Mi dicono, in particolare, che una svolta nella sua vita sia avvenuta precedentemente alla chiamata del Comece. Fu lui a organizzare la prima udienza dell’Università Bocconi col Papa. Era il 1999, Monti era preside. L’incontro con Giovanni Paolo II si dice abbia cambiato la sua vita. Forse gli ha permesso anche di prendere un po’ le distanze dalle sue origini”. Quali? “Non so se sia vero, ma si dice che sia il nipote di Raffaele Mattioli, il potente banchiere che trasformò la Banca commerciale italiana, di cui fu a capo per cinquant’anni anni, in una roccaforte della sinistra”.
Il profilo s’ingarbuglia. Suggestioni più o meno attendibili si inseguono, quando si parla del cattolicesimo di Monti e di come esso sia percepito dai cattolici vaticani. E’ agli atti il suo impegno, dopo l’udienza papale, per le conferenze episcopali europee. Un impegno generoso a suo modo ma vano: il riconoscimento delle radici cristiane del continente europeo non è mai arrivato, come si sa. Una delusione per lo stesso Monti che però reagì con garbo, limitandosi a sottolineare come l’Unione europea non è “un’arida costruzione economica”, ma realizza anche “aspirazioni etiche”. “E’ questo modo di parlare, la sua laicità mista alla ricerca di una politica alta che ci piace”, dice Mario Marazziti, uno dei leader di quella Comunità di Sant’Egidio che per prima ha scommesso sul prosieguo dell’esperienza del governo tecnico. Più che il “cattolicesimo” di Monti, a Marazziti piace la serietà e laicità del premier uscente, caratteristiche “che sono anche di un vero cattolico”. Dice: “Credo sia sotto gli occhi di tutti il miracolo, o se si vuole la rivoluzione, operata da Monti. Con lui le parole hanno ripreso significato, non sono pronunciate per demonizzare il nemico o coprire la realtà, per creare capri espiatori, non sono una predicazione dell’odio o promesse a effetto. Cercano piuttosto la verità. Il mondo cattolico è da tempo che è preoccupato dall’assenza di una esplicita ricerca del bene comune da parte della politica professionale. E tutte le riforme mancate negli ultimi anni, dall’ultimo Parlamento, e nei mesi scorsi per colpa della cosiddetta ‘strana maggioranza’, ne sono una prova: dal conflitto d’interessi alla mancata riforma elettorale, il taglio delle province, la persistenza dei privilegi della ‘casta’. Ora Monti e quanti hanno lavorato con lui offrono una serietà sintomo di cambiamento, ma ancora a metà: non si può adesso costringere il paese a decidere d’un tratto sulle questioni non negoziabili cosiddette, della famiglia, del matrimonio, della vita, scegliendo bruscamente la verità etica nella quale i cattolici credono. La politica e la modernità sono cose complicate. C’è un mondo per il quale diminuire le disuguaglianze, sostenere la famiglia senza scaricarle tutto addosso, viene prima di tutto il resto. Monti questa sfida l’ha fatta sua anche se avrebbe tratto più vantaggi personali a stare fuori dalla mischia. Come lui la Comunità di Sant’Egidio che, tanto per fare un esempio, sono anni che propone il diritto di cittadinanza per i bambini nati in Italia, o uno scudo per tutti gli anziani e le persone non autosufficienti. A fermare queste riforme vere non è stato Monti ma una politica impastata di problemi interni e vecchie abitudini, davvero conservatrice”.
Che un certo mondo cattolico dalla forte connotazione sociale stia con Monti è fuori di dubbio. Anche se vi sono dei distinguo. Ad Andrea Olivero, schieratosi con Monti e poi dimessosi dalla guida della Acli, il suo predecessore Luigi Bobba ha detto in un’intervista a Repubblica che non è con Monti che vanno le Acli. Olivero, insomma, si è schierato autonomamente, mentre le Acli stanno col Partito democratico. E così in qualche modo anche la chiesa italiana che certamente vede in Monti la principale speranza per il futuro del paese ma che, contestualmente, dice tramite il cardinale Angelo Bagnasco – il 31 dicembre, in occasione del Te Deum a Genova – che la chiesa non ha ricette per la politica, “né questo è il suo compito”.
Monti non è De Gasperi, eppure assonanze ve ne sono. De Gasperi si trovò alle prese con la necessità di ricostruire il paese partendo dalle macerie di una guerra perduta e con il compito di restituire alla nuova Italia credito e prestigio internazionale. Monti, fatte le debite differenze storiche, si è ritrovato a vivere in una situazione analoga. De Gasperi guardò agli Stati Uniti e con il loro appoggio attuò l’ambizioso disegno di un nuovo governo senza le sinistre e con l’apporto di un gruppo di tecnici guidati da Einaudi. Monti, in fondo, è lo stesso spirito del fondatore della Democrazia cristiana che incarna quando, sparigliando le carte, fa proprio il modello renano, l’economia sociale e di mercato tedesca. Dice Flavio Felice, professore di Storia della dottrine economiche all’Università Lateranense e presidente del Centro studi Tocqueville-Acton, il think tank italiano dedicato all’economia sociale di mercato: “Nessuno tra chi fa politica credo possa pretendere patenti di cattolicità. La sintonia fra Monti e un certo cattolicesimo, che normalmente viene etichettato come liberale, risiede nella sua visione economica. Il modello proposto tenta di coniugare il tema della libertà con la responsabilità e la giustizia sociale. E’ l’idea che la libertà economica non possa essere scissa dalla giustizia sociale, e che quest’ultima non si perseguirebbe con l’interferenza dello ‘stato giocatore’, bensì con i processi di mercato, i cui presupposti sono di natura etica e culturale e non meramente ingegneristico-matematica. E’ questa la lezione di Sturzo e dei padri tedeschi dell’economia sociale di mercato, i quali fecero proprio il concetto di liberalismo ordinamentale o delle regole. Potremmo riassumere l’idea stessa di tale forma di liberalismo che si implementa nel modello dell’economia sociale di mercato nell’aforisma: ‘Uno stato forte per un mercato libero’. In questo senso, la prospettiva di Monti assegna un ruolo fondamentale allo stato, in quanto strumento necessario al mantenimento di un mercato autenticamente libero e competitivo che non sia preda della logica monopolistica e burocratica. Uno stato arbitro, fortemente attivo, e non giocatore, per impedire che un qualsiasi giocatore possa divenire a sua volta arbitro e trasformarsi inevitabilmente in monopolista, con buona pace del libero mercato. E’ una prospettiva che incrocia la ricca tradizione del cattolicesimo liberale e popolare sturziano proprio nelle questioni che hanno a che fare con i principi di solidarietà e di sussidiarietà e non può non rappresentare motivo d’interesse presso i cattolici”.
Monti e il modello tedesco. La stima per Angela Merkel e le vacanze in Engadina, il salone delle Alpi frequentato dai grandi nomi dell’arte e della cultura europea. La lingua ufficiale è il romancio ma tutti parlano tedesco. Una regione in prevalenza protestante, dove amava sostare Martin Lutero durante i suoi viaggi verso Roma, ma che facilmente si lascia “inquinare” dal cattolicesimo romano che qui spinge principalmente da nord, dalle foreste della Bassa Baviera appena sopra l’Austria. Ed è anche di questo “inquinamento” che parla la fede di Monti, cattolico di rito tedesco si potrebbe dire, gesuita e giansenista insieme, capace di tessere una particolare, e per certi versi unica, amicizia col Romano Pontefice, il bavarese Joseph Ratzinger: sono sette le udienze private che il Papa gli ha concesso in dieci mesi, un record assoluto. Momenti intimi spesi forse a parlare, in lingua originale (appunto il tedesco), anche di musica classica, una passione per Monti stando almeno alle continue presenze ai concerti della Filarmonica della Scala. Dice Quirino Principe, musicologo, critico musicale, traduttore, saggista e grande esperto del mondo germanico: “Il cattolico bavarese ha caratteristiche specifiche che in parte possono spiegare l’affinità di Monti con Ratzinger e il mondo tedesco in generale. Il cattolico bavarese vive un po’ come il puritano rispetto al luteranismo. Cerca la purezza della fede arrivando alla fine a concedere maggiore fedeltà alle istituzioni che alla stessa tradizione. C’è insomma un certo rigore laico nel cattolico bavarese che forse fa parte anche del credere di Monti e che magari inconsapevolmente lo mette in sintonia con Ratzinger”.
Il Papa e Monti. “Una sintonia che non conoscevamo, almeno a Milano”, confessa Giancarlo Galli, scrittore e saggista economico milanese che nel 1984 diede vita assieme a Carlo Maria Martini, Attilio Nicora, Angelo Caloia, Gian Paolo Salvini, Lorenzo Ornaghi e Giovanni Bazoli al Gruppo cultura etica finanza in via Broletto, vicino al Duomo di Milano, dopo la bufera del Banco Ambrosiano. Dice: “Per noi Monti è sempre stato un interlocutore di prestigio. Credo avesse un particolare feeling con Martini. Credo che la chiesa guardi oggi a lui con benevolenza più che altro per il rigore morale che incarna. Per il resto vale un giudizio che ho sentito a cena con amici recentemente: assomiglia a un ufficiale della Prima guerra mondiale che manda la fanteria all’assalto senza preoccuparsi delle perdite. E’ un elitario, insomma, che come prima azione taglia le pensioni e non i costi della politica. C’è anche molto realismo in questo: egli è consapevole che il futuro delle democrazie lo decide l’establishment e che se si salva l’apparato comunque, nel bene o nel male, si salva anche l’intero paese. L’affinità con l’appartamento papale, letta in quest’ottica, è cosa logica”.
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