Le scelte dell'America

La Cia di Obama riparte dall'uomo dei droni e della guerra giusta

La costruzione del nuovo team della sicurezza nazionale di Barack Obama è un gioco di bilance e compensazioni, un calcolo che raffredda le scelte più controverse con nomi convenzionali pescati nello stagno dell’establishment. Niente di più obamiano. Ieri il presidente ha promosso il superconsigliere per la sicurezza, John Brennan, a capo della Cia – posto lasciato vacante dopo la cacciata, per ragioni esclusivamente private, del generale David Petraeus – e ha formalizzato la nomina dell’ex senatore repubblicano Chuck Hagel al vertice del Pentagono.

    New York. La costruzione del nuovo team della sicurezza nazionale di Barack Obama è un gioco di bilance e compensazioni, un calcolo che raffredda le scelte più controverse con nomi convenzionali pescati nello stagno dell’establishment. Niente di più obamiano. Ieri il presidente ha promosso il superconsigliere per la sicurezza, John Brennan, a capo della Cia – posto lasciato vacante dopo la cacciata, per ragioni esclusivamente private, del generale David Petraeus – e ha formalizzato la nomina dell’ex senatore repubblicano Chuck Hagel al vertice del Pentagono. Entrambe le scelte sono altamente  infiammabili, e il liquido di raffreddamento politico nel team di Obama è John Kerry, segretario di stato in attesa di una conferma del Senato che arriverà senza intoppi. Gli insider di Washington dicono che anche Brennan sarà confermato senza troppi problemi, ma a Obama ci sono voluti quattro anni per affidargli il comando della Cia, dopo che la sinistra liberal nel 2008 gli aveva riservato il trattamento che i repubblicani hanno poco gentilmente concesso negli ultimi mesi a Susan Rice, una demolizione pezzo per pezzo che aveva costretto l’ex direttore del controterrorismo negli anni di Bush a ritirare il suo nome dalla corsa. Una petizione firmata da 200 psichiatri certificava addirittura l’inadeguatezza quasi clinica di una spia che era stata al servizio dell’Amministrazione Clinton – negli anni delle extraordinary rendition e delle guerre pulite – ma si era macchiata del peccato originale di aver operato alla Cia di George Tenet. Lì Brennan ha avuto un ruolo non secondario nel tracciare le politiche di sicurezza di Bush, dagli interrogatori ai confini della tortura, al waterboarding, fino all’uso dei droni e alle rendition di terroristi a paesi terzi che praticano la tortura senza nessun bisogno di giustificazione. Brennan ha sempre negato il suo ruolo in quella vicenda, si è dichiarato un “forte oppositore di molte politiche dell’Amministrazione Bush come la guerra preventiva all’Iraq e gli interrogatori duri, compreso il waterboarding” e ha cercato di ripulire la sua immagine agli occhi dei liberal, che lo consideravano una quinta colonna della guerra al terrore in stile Bush. L’associazione per i diritti civili Human Rights Watch era a tal punto scandalizzata dal ruolo opaco di Brennan nella sicurezza che ha chiesto il passaggio delle operazioni di controterrorismo sotto l’ala del Pentagono.

    Se l’oggetto del dissenso democratico su Brennan è il suo appoggio alla guerra al terrore, gli anni di Obama non hanno migliorato la sua fama presso i liberal. Brennan non è soltanto la mente del grandioso programma di bombardamenti con i droni con cui l’Amministrazione ha bersagliato terroristi dal Pakistan alla Somalia – senza distinzioni di passaporto e con una certa flessibilità sui danni collaterali – ma è anche la faccia pubblica della politica di sicurezza di Obama. A lui il presidente ha chiesto di rendere pubblici gli attacchi ordinati dalla Cia, e in linea con la visione di Obama della “guerra giusta” e la sua educazione gesuita, ha fornito le giustificazioni etiche e legali all’uso massiccio dei droni. Sempre Brennan ha creato il “Disposition Matrix”, il mastodontico database che contiene le informazioni sui nemici dell’America e prescrive i modi più adeguati per eliminarli. Dire che è l’uomo che ha compilato la “kill list” del presidente è un understatement, e quando Obama ieri ha spiegato che “è stato in prima linea nella lotta contro al Qaida” il riferimento è a quell’impostazione della sicurezza nazionale per cui Brennan è stato osteggiato quattro anni fa e che oggi è il “new normal” voluto da Obama.

    La voce repubblicana di Obama
    Chuck Hagel funge da contropotere nella geografia della sicurezza di Obama e i repubblicani promettono di ostacolare la nomina di questo veterano del Vietnam di scuola realista che dopo aver votato a favore della guerra in Iraq nel 2002 è tornato sui suoi passi durante il surge di Petraeus, dichiarandolo “la più pericolosa decisione in politica estera dai tempi del Vietnam”. Infine ha detto che gli americani hanno invaso l’Iraq “per il petrolio”, mandando in sollucchero la sinistra radicale, stranamente sdraiata sulle posizioni di un antogonista. Hagel è la voce repubblicana che, negli anni dell’ascesa politica, Obama ha cercato ogni volta che aveva bisogno di una seconda opinione; l’ex senatore si è sempre dimostrato anche più obamiano di molti consiglieri ufficiali su una serie di dossier che abbracciao l’Iran, il rapporto con Israele, la gestione del ritiro dall’Afghanistan e il budget della Difesa. E per questo è stato incluso nel team della sicurezza. (segue dalla prima pagina)
    Bill Kristol, intellettuale neocon e direttore del Weekly Standard, ha guidato un attacco all’uomo che al Senato ha votato contro le sanzioni all’Iran – ieri il Washington Post spiegava in prima pagina che le sanzioni stanno dando frutti – ha perorato la causa dei negoziati diretti con Hamas, partito incluso nella lista delle organizzazioni terroristiche. Per aver parlato di una “lobby ebraica che mette paura a un sacco di gente al Congresso” e aver guardato con freddezza, se non con ostilità, Gerusalemme, il falco repubblicano Lindsey Graham ha detto che Hagel sarà “il segretario della Difesa più nemico dello stato di Israele nella storia americana”, aspetto che lo sintonizza sulla lunghezza d’onda di un presidente che ha vissuto quattro anni di tensioni con il governo di Benjamin Netanyahu. Paul Wolfowitz ha guidato una schiera di osservatori e politici conservatori che sostenevano la nomina di Michèle Flournoy, ex sottosegretario del Pentagono e consigliere di Obama: meglio, insomma, un leader democratico responsabile che un repubblicano traditore.

    Sull’Afghanistan Hagel ha detto che “l’America non può vedere la guerra in termini di ‘vittoria e sconfitta’” e nelle dinamiche interne della sicurezza nazionale è dalla parte di chi invoca da anni un ritiro unilaterale. Era scettico sul surge afghano del generale Stanley McChrystal e quando, nel libro di memorie del generale pubblicato ieri in America, l’autore parla di un “deficit di fiducia fra la Casa Bianca e la Difesa” si riferisce alla fazione di Hagel. Risultato: McChrystal è stato bandito per le dichiarazioni imprudenti sui suoi colleghi rilasciate a Rolling Stones, Hagel è finito al Pentagono a gestire quei rapporti deteriorati fra il potere civile e la gerarchia militare. Una lettera firmata da diversi diplomatici americani – fra cui cinque ex ambasciatori presso Israele – sostiene la “scelta impeccabile” di Hagel ma, anche al netto delle divergenze politiche, il punto critico fondamentale della nomina di Obama l’ha sintetizzato Kristol: se nessuno può citare i meriti politici o legislativi di Hagel è semplicemente perché “non esistono”.