Il canto dei poteri forti
La non-agenda Passera. Tecnicamente assente, politicamente confuso
I poteri forti dell’economia italiana, rappresentati dal Corriere della Sera, hanno concesso al ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, la possibilità di sostenere quella che probabilmente è la sua ultima arringa difensiva con l’intervista di ieri al direttore Ferruccio de Bortoli. Un mandato tecnico di oltre un anno – secondo non pochi osservatori – non ha portato risultati soddisfacenti se comparati al potere che gli era stato attribuito in quanto timoniere di due ministeri di peso come quello dello Sviluppo e delle Infrastrutture e trasporti.
I poteri forti dell’economia italiana, rappresentati dal Corriere della Sera, hanno concesso al ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, la possibilità di sostenere quella che probabilmente è la sua ultima arringa difensiva con l’intervista di ieri al direttore Ferruccio de Bortoli. Un mandato tecnico di oltre un anno – secondo non pochi osservatori – non ha portato risultati soddisfacenti se comparati al potere che gli era stato attribuito in quanto timoniere di due ministeri di peso come quello dello Sviluppo e delle Infrastrutture e trasporti. Ministeri con portafoglio che, insieme, possono influenzare, e molto, le sorti economiche di un paese. In primis, non ha provato a risolvere i problemi del meridione: “Non abbiamo mai visto la cartellina ‘sud’”, fanno notare ai più alti vertici dei due dicasteri dove non si esita a definirlo “assente”, “impalpabile”, persona da cui almeno all’inizio ci si aspettava molto in termini di capacità decisionale e strategica (era amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, la prima banca italiana). Ha deluso, e lo si era capito presto (“Il ministro che non c’è”, titolava L’Espresso in agosto). Da allora non ha cambiato né registro né agenda, ma dice che quella di Monti doveva essere “più coraggiosa”.
I sindacati lo criticano per una politica del “laissez-faire” che non ha frenato la deindustrializzazione del paese: chiudono ormai 200 imprese al giorno, secondo i dati Cerved. Non ha preso di petto i dossier più importanti a partire dai cosiddetti campioni nazionali: Finmeccanica, guidata da un amministratore delegato delegittimato dagli scandali, viene venduta a pezzi; ha schiaffeggiato retoricamente Sergio Marchionne, salvo poi non mantenere la promessa delle “agevolazioni per l’export” chieste dalla Fiat; Fincantieri, con le commesse e le acquisizioni all’estero, sembrerebbe l’unica nota di merito del ministro banchiere che su altri tavoli industriali è rimasto taciturno. Quando si annunciava la chiusura dell’Ilva di Taranto, Passera dalla Cina preferiva non commentare. E’ poi fuggito in elicottero dai minatori del Sulcis che lo inseguivano.
Passera aveva dei vincoli di bilancio e politici che lui stesso ha ricordato ieri al Corriere per giustificare l’impasse (“troppe le pressioni”, come nel caso della mancata costituzione dell’Autorità dei trasporti), cosa che viene ricordata anche in ambienti bancari milanesi. Ciò che è mancata, si dice chiaro al ministero dello Sviluppo, è stata però la strategia in una battaglia difficile come il Vietnam (“Alla base di molti dei nostri errori c’è la nostra incapacità di organizzare i vertici del potere esecutivo per affrontare efficacemente la complessità di questioni politiche e militari”, ammetteva anche il segretario alla Difesa americano Robert McNamara nel 1975). Sebbene all’inizio del percorso si sia portato con sé fidati collaboratori, “non è risucito a fare squadra con chi già lavorava nei ministeri e non ha mai cercato di costruire un percorso integrato per l’industria portando nuove idee e lasciando intoccata la ricerca”, dice una fonte di via Veneto che preferisce l’anonimato. Non molti credono che Passera intenda rimanere fuori dalla politica. L’ultima frase da politico (“il ritorno di Berlusconi non è un bene per l’Italia”) è stato il casus belli fornito al Pdl per affossare il governo Monti. Poi c’è stata la riunione costitutiva del movimento montiano al convento delle suore di Sion a Roma, dove Passera si è presentato davanti a Fini e Casini con l’intenzione di fare valere il suo parere, rimanendo isolato. In dote, però, non portava molti voti, dicono i maliziosi. Né un curriculum governativo tale da renderlo indispensabile per il prossimo governo, dicono i più esigenti, visto che il bocconiano Francesco Giavazzi, ad esempio, imputa a lui il mancato taglio dei sussidi alle imprese. E qualcuno parla di sue incertezze per un’indagine in corso (“atto dovuto”) a Biella in qualità di ad di Intesa, indagine su fatti del 2006-’07 che culminerà in primavera.
“Ha dimostrato di essere un ministro sopravvalutato”, dice al Foglio Giuliano Cazzola, onorevole del Pdl che ha deciso di unirsi a Monti. “Non vedo una particolare utilità derivante da un suo eventuale impegno in politica. Ha avuto limiti oggettivi, in particolare sul piano delle risorse. Ma se si mette a confronto il lavoro del ministro con quello della sua collega Fornero la differenza è significativa”. Passera parteciperà comunque alla campagna elettorale, anche su Twitter, vuole “dare un contributo”, ha detto. Si toccheranno temi che lo riguardano, come la vendita di Alitalia tornata in auge dopo indiscrezioni – smentite ieri – sull’imminente arrivo di Air France. Cessione che Passera aveva evitato nel 2008 con la cordata capitanata da Intesa.
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