Uno sciopero così in Cina non si vedeva dai tempi di Tiananmen

Matteo Matzuzzi

Uno sciopero così, in Cina, non lo si vedeva dai tempi dei disordini di piazza Tiananmen, nel 1989. In centinaia sono scesi ieri in strada con cartelli a favore della libertà di parola e tanti mazzi di crisantemi gialli e bianchi a simboleggiare il dolore per la morte della libertà di stampa. L’avevano promesso, i giornalisti del Southern Weekly, prestigioso e influente settimanale di Guangzhou, dopo la censura del capo della propaganda locale, Tuo Zhen, all’editoriale di Capodanno.

    Uno sciopero così, in Cina, non lo si vedeva dai tempi dei disordini di piazza Tiananmen, nel 1989. In centinaia sono scesi ieri in strada con cartelli a favore della libertà di parola e tanti mazzi di crisantemi gialli e bianchi a simboleggiare il dolore per la morte della libertà di stampa. L’avevano promesso, i giornalisti del Southern Weekly, prestigioso e influente settimanale di Guangzhou, dopo la censura del capo della propaganda locale, Tuo Zhen, all’editoriale di Capodanno. Il giornale auspicava che anche la Cina potesse presto aprirsi a un “sistema costituzionale”, considerate anche le prime e timide aperture del presidente in pectore (lo diventerà ufficialmente tra un paio di mesi) Xi Jinping. Tuo Zhen ha però pensato che quell’articolo fosse troppo liberale persino per un settimanale come il Southern Weekly, che della propria indipendenza si è sempre vantato e che per questo è considerato dai media occidentali la fonte più autorevole per capire la Cina. E così ha riscritto di proprio pugno l’editoriale, lodando il Partito e i vertici della Repubblica popolare. Nonostante a Pechino la censura sia normale e di routine – i responsabili della Propaganda servono a questo – quello che ha fatto Tuo Zhen “è qualcosa di inedito”, spiega al Wall Street Journal David Bandurski, ricercatore esperto di media alla Hong Kong University: “Di solito non si assiste a interventi così diretti e massicci delle autorità sui giornali”.

    Ciò che il funzionario non poteva prevedere era la dura reazione dei giornalisti, che hanno scritto una lettera pubblica per chiedere l’immediata rimozione del funzionario, proclamando al contempo uno sciopero. A nulla sono servite le parole del portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying: “Il governo protegge la libertà di stampa”, ha detto. Oltre ai redattori, decine di cittadini (per lo più giovani, i netizens che sfidano i filtri della censura su Internet e che spesso sbeffeggiano i signorotti locali) si sono così presentati alla sede del giornale esibendo i cartelli in cui chiedevano “libertà di stampa, costituzionalismo e democrazia”. La polizia, presente in forze, si è tenuta in disparte e ha permesso anche che i fotografi immortalassero i manifestanti in strada. Che le autorità siano rimaste sorprese dall’effetto della protesta del Southern Weekly lo dimostra anche la quantità di messaggi di solidarietà agli scioperanti apparsa sui servizi di microblogging cinesi. L’attrice Li Bingbing, una che su Weibo (il Twitter cinese) ha 19 milioni di follower, ha scritto che la sua speranza è l’arrivo della “primavera in questo rigido inverno”, mentre la sua collega Yao Chen (che di follower ne ha 31 milioni) ha citato il dissidente russo Alexander Solgenitsin: “Una parola di verità pesa più del mondo intero”.
    Anche gli intellettuali hanno sfidato il regime: in una lettera aperta, decine di accademici e intellettuali hanno detto di essere “preoccupati che a persone come Tuo Zhen sia permesso di rimanere in carica”. E infatti, stando a quanto circola sui social network, il censore del Guangdong avrebbe le ore contate e oggi dovrebbe dimettersi. Una soluzione auspicata (se non voluta) dal nuovo segretario del Partito nella provincia del sud, il giovane e ambizioso Hu Chunhua, già da ora indicato tra i favoriti per succedere tra dieci anni a Xi Jinping. Troppi riferimenti alla primavera e alla democrazia in un paese ancora scosso dalle lotte intestine per il potere. Così, da Pechino è arrivato l’ordine di mostrarsi cauti e aperti, tant’è che perfino qualche media di stato ha pubblicato messaggi di vicinanza e solidarietà ai colleghi ribelli.

    Xi Jinping non vuole perdere il credito (soprattutto internazionale) che si è conquistato nei primi mesi di governo, in cui ha cercato di presentarsi come il nuovo Deng Xiaoping. E se nel profondo sud centinaia di giovani manifestano per il diritto di parola, dalla capitale il responsabile  degli affari legali del Partito, Meng Jianzhu, annuncia che il tempo della rieducazione attraverso il lavoro (che ancora oggi si fa in appositi campi dislocati nelle province più remote del paese) è finito.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.