La farsa dell'odio di classe

Salvatore Merlo

Più che un pauperista bastonatore del profitto, è un paradigma della doppiezza italiana. Nichi Vendola non ha mai detto che “i ricchi devono andare all’inferno”, com’è stato un po’ sommariamente riportato ieri da alcuni quotidiani: il presidente della Puglia si riferiva infatti, più modestamente, ai grandi evasori fiscali (e dunque in realtà il suo inferno si popola di un’altra antropologia: quella dei ricchissimi che eludono il fisco). Eppure Vendola, al quale ovviamente i termini della questione non sfuggono, ieri non ha voluto precisare il suo pensiero né tantomeno ha voluto smentire i giornali.

    Più che un pauperista bastonatore del profitto, è un paradigma della doppiezza italiana. Nichi Vendola non ha mai detto che “i ricchi devono andare all’inferno”, com’è stato un po’ sommariamente riportato ieri da alcuni quotidiani: il presidente della Puglia si riferiva infatti, più modestamente, ai grandi evasori fiscali (e dunque in realtà il suo inferno si popola di un’altra antropologia: quella dei ricchissimi che eludono il fisco). Eppure Vendola, al quale ovviamente i termini della questione non sfuggono, ieri non ha voluto precisare il suo pensiero né tantomeno ha voluto smentire i giornali. Al contrario, il principale alleato di Pier Luigi Bersani da un paio di giorni si presta allegramente alle polemiche che lo investono e ai corsivi dei giornali cosiddetti borghesi – attacchi forse convenienti nella prospettiva elettorale del suo partito, Sel. Insomma Vendola ha lasciato che al suo volto di pragmatico (attenzione: molto pragmatico) amministratore di una delle regioni più difficili del Mezzogiorno aderisse la maschera del trinariciuto odiatore sociale. Ma lo è davvero?

    Questa settimana, per dirne una, il bastonatore illiberale e comunista darà il via a una privatizzazione milionaria nella sua regione: la società degli aeroporti pugliesi, la Seap, che gestisce gli scali di Bari, Brindisi, Foggia e Taranto, cederà fino all’ottanta per cento del capitale sociale: sarà a maggioranza privata, un’operazione che per anni, dal 2002, era stata inseguita senza successo e tra mille ostacoli dal predecessore e grande nemico di Vendola, l’ex ministro berlusconiano Raffaele Fitto. Si capisce dunque che la campagna elettorale e gli slogan ideologici (“anche i ricchi piangono”, famoso e sfortunato) stanno a zero quando bisogna governare, gestire un bilancio, rientrare da un deficit (e quello sanitario pugliese è ripianato), coprire una voragine finanziaria. Nella sua arruffata identità politica – cattolico, omosessuale, comunista immerso nelle cose del mondo – Vendola ha mille volti, ma non è un black bloc e non è nemmeno il nuovo Giulio Tremonti che agita il “fascismo finanziario”. O meglio, è tutte queste cose e nessuna di queste: il suo capo di gabinetto si chiama Davide Pellegrino, un tecnico come quel Mario Monti che pure Vendola critica con asprezza, un avvocato con esperienza nel settore dello sviluppo industriale, un uomo trasversale, lontano dall’idea un po’ grossier che in Puglia si pratichi il collettivismo o si puniscano gli investimenti privati. Quando si è trovato di fronte al rischio di veder fallito, travolto dai debiti, l’Acquedotto pugliese (mega infrastruttura pubblica) il presidente comunista non c’ha messo un attimo a sostituire Riccardo Petrella, filosofo dell’acqua, economista no global, autore del “Manifesto per l’acqua bene comune”, con un manager chiamato dal nord Italia, uno capace di usare l’accetta e tagliare la spesa (a proposito, Vendola è stato uno dei promotori del referendum sull’acqua, ma con sapienza pragmatica – molto pragmatica – ha sempre mantenuto attiva quella tariffa del servizio idrico che pure il referendum si proponeva di abrogare). Insomma aderisce al teatro della finzione, la sua via pugliese al comunismo è la doppiezza italiana, la terra del “quasi”: “quasi” occidentale, “quasi” ricca, “quasi” isola (penisola), così come Vendola è “quasi” illiberale e pauperista.

    Vendola non è un bugiardo, ma è doppio, che è un modo italiano di stare al mondo. Come Roberto Formigoni, il governatore Celeste della Lombardia, anche il governatore comunista della Puglia ha pasticciato con la sanità privata, con Dio e con il denaro: puri che alludono all’impurità, capaci di radicalismo ma non estranei al compromesso con la realtà. Tutti ricordano la storia del San Raffaele di Taranto, l’ospedale finanziato dalla regione con 210 milioni di euro, ma affidato alla gestione privata di don Luigi Verzé, quello del San Raffaele di Milano (poi travolto da un collasso finaziario), il prete imprenditore della sanità scomparso a dicembre del 2011, tonaca nera e camice bianco, un’antica amicizia con Silvio Berlusconi. “Votate per lui”, disse don Verzé alla vigilia delle ultime elezioni regionali in Puglia: “Vendola è un uomo di grandissimo valore e cultura. Io credo alla santità dell’uomo e sia Berlusconi sia Vendola possiedono un fondo di santità”. Quando si fa politica, specie quando questa incrocia la spesa sanitaria, ci si mischia con le cose del mondo, che forse poco hanno a che vedere con la fede o l’ideologia. E così Vendola, di recente, è finito suo malgrado anche nelle intercettazioni sull’inchiesta dell’Ilva di Taranto per telefonate dalle quali non sembra emergere nessun reato: viene fuori piuttosto un governatore ancora una volta molto pragmatico, che mantiene ovvii e necessari rapporti con i vertici di un’azienda che garantisce occupazione e pure un certo grado di ricchezza in un territorio depresso; un amministratore cosciente del problema ambientale (promise all’Ilva un intervento sull’Arpa) ma pure preoccupato dalla possibilità che l’azienda siderurgica potesse chiudere. Per i suoi rapporti con la famiglia Riva, i padroni dell’Ilva, è stato aggredito da certi giornali manettari. La sua doppiezza naturale, la sua contraddittorietà, lo rendono fosforescente. Da uno come lui, da un comunista del Ventiduesimo secolo, tragicamente in ritardo sulla storia, ci si aspetterebbe altro: che facesse come il proprietario della Giara di Pirandello, quello che andava in giro con un calepino, un prontuario col quale sempre affrontava e nel quale a forza ficcava i più diversi inciampi della vita. E invece Vendola non ha alcun prontuario di ortodossia, vive nel mondo, e non ha intenzione di costruire una giara nella quale ritrovarsi chiuso. Omnia munda mundis.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.