Renzi Light

Claudio Cerasa

Rottamazioni rottamate. La lettura dei nomi scelti da Pier Luigi Bersani per rappresentare il Pd nelle liste della Camera e del Senato dimostra che il sospetto coltivato nelle ultime settimane da una buona parte dei sostenitori di Renzi – “Matteo ha scelto di rimandare a data da destinarsi la sua battaglia interna al Pd e alla fine si accontenterà di un piatto di lenticchie” – in fondo non era un sospetto campato per aria. Il sindaco di Firenze, nonostante abbia promesso pochi giorni dopo le primarie di volersi impegnare in una militanza gentile dentro il Pd, stando attento però a non dissipare il prezioso tesoretto raccolto nella sfida contro Bersani, ha di fatto rinunciato a far pesare nel prossimo Parlamento quel quasi 40 per cento che aveva conquistato ai gazebo.

    Rottamazioni rottamate. La lettura dei nomi scelti da Pier Luigi Bersani per rappresentare il Pd nelle liste della Camera e del Senato dimostra che il sospetto coltivato nelle ultime settimane da una buona parte dei sostenitori di Renzi – “Matteo ha scelto di rimandare a data da destinarsi la sua battaglia interna al Pd e alla fine si accontenterà di un piatto di lenticchie” – in fondo non era un sospetto campato per aria. Il sindaco di Firenze, nonostante abbia promesso pochi giorni dopo le primarie di volersi impegnare in una militanza gentile dentro il Pd, stando attento però a non dissipare il prezioso tesoretto raccolto nella sfida contro Bersani, ha di fatto rinunciato a far pesare nel prossimo Parlamento quel quasi 40 per cento che aveva conquistato ai gazebo. E di fronte alla stesura finale delle liste Pd (14 renziani nel listino invece che 17, appena una quarantina di renziani eletti alle primarie, una potenziale truppa che in Parlamento peserà come i turchi di Fassina e Orfini, per non parlare dell’esclusione del suo braccio destro alle primarie Roberto Reggi, della bocciatura di un mucchio di esponenti liberal del Pd legati a Renzi come Stefano Ceccanti ed Enrico Morando e dell’addio al Pd dell’uomo che aveva più degli altri collaborato alla stesura del suo programma elettorale, Pietro Ichino) l’ex rottamatore si è ritrovato circondato da molti sostenitori della sua battaglia amareggiati e profondamente delusi. Renziani che, per capirci, nelle ultime ore hanno fatto arrivare al sindaco un messaggio chiaro: caro Matteo, scusaci ma forse non ti rendi conto che rinunciare a pesare “adesso” all’interno del Pd e accontentarti di un piccolo diritto di tribuna e un paio di persone piazzate in Parlamento è il modo migliore per autorottamare la tua formidabile battaglia politica; ed è un modo come un altro per diventare quel piccolo capocorrente che mai saresti invece voluto diventare: uno che insomma si rassegna a non portare avanti le proprie battaglie e si accontenta di avere soltanto un paio di uomini di fiducia alla Camera e al Senato.

    Certo: il ragionamento di Renzi e la scelta di restare fuori da questo giro ha una sua logica politica, e non è soltanto il frutto di una vittoria schiacciante di Bersani nella compilazione delle liste elettorali (che comunque c’è stata, eccome se c’è stata). Renzi, infatti, come raccontano alcuni collaboratori, è convinto che la sua militanza discreta ed educata all’interno del Pd possa essere utile per farsi percepire sempre meno come un corpo estraneo e sempre più come una risorsa irrinunciabile per il futuro del centrosinistra (e da questo punto di vista la strategia paga, vedi l’inaspettata dichiarazione di amore offerta domenica scorsa da Eugenio Scalfari su Repubblica, passato in poche settimane da un “Se c’è lui non voto Pd” a un “Adesso m'è diventato simpatico perché anch’io cambio”); e per ritrovarsi un domani (un domani che Renzi considera molto vicino) nella perfetta e comoda posizione di grande predestinato a cui il centrosinistra non potrà non fare ricorso quando l’esperienza di questa classe dirigente volgerà al termine in modo naturale. Un discorso possibile, ovvio, ma che a ben vedere nasconde alcune piccole e non insignificanti contraddizioni che molti renziani in questi giorni non hanno fatto a meno di ricordare al sindaco ex rottamatore. E in effetti, di fronte alla scelta di premiare all’interno del listino bloccato più le sue persone di fiducia che i volti maggiormente significativi anche dal punto di vista simbolico della sua battaglia per le primarie, non si può non notare come il sindaco rischi di cadere in una trappola mica da poco.

     “Renzi – racconta al Foglio un suo sostenitore – ha ricordato spesso in questi anni come la nostra sinistra abbia sempre terribilmente sofferto l’assenza di un Tony Blair italiano. Se però voleva essere Matteo il nostro Blair si sarebbe dovuto ricordare che l’ex leader dei Labour il partito lo ha conquistato non ricevendolo in eredità ma rivoltandolo come un calzino, giorno dopo giorno. Matteo oggi invece si è accontentato di un piatto di lenticchie, ha permesso a Bersani di sbilanciare a sinistra il Pd, non ha combattuto come avrebbe dovuto per trattenere nel centrosinistra punti di riferimento importanti come Pietro Ichino e sinceramente, da sostenitore, non posso non notare che alla fine ha accettato di fare ciò che invece aveva promesso che non avrebbe mai accettato: un premio di consolazione. E capisco che in questa fase la sua linea sia quella della leggerezza. Ma a voler essere troppo leggeri, e Renzi lo sa, si rischia di diventare irrilevanti. E allora mi chiedo: ne vale la pena caro Matteo?”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.