Nel X arrondissement

Giustiziate tre donne a Parigi per sabotare il negoziato Turchia – Pkk

Daniele Raineri

Ieri poco prima delle due di notte tre donne sono state trovate uccise con colpi di pistola al petto e un colpo finale di sicurezza alla nuca dentro l’Istituto di cultura curda a Parigi. La porta della stanza era chiusa a chiave: “Sembra la scena di un’esecuzione”, ha detto il ministro dell’Interno francese, Manuel Valls, dopo un sopralluogo dentro l’edificio al 147 di Rue Lafayette.

    Ieri poco prima delle due di notte tre donne sono state trovate uccise con colpi di pistola al petto e un colpo finale di sicurezza alla nuca dentro l’Istituto di cultura curda a Parigi. La porta della stanza era chiusa a chiave: “Sembra la scena di un’esecuzione”, ha detto il ministro dell’Interno francese, Manuel Valls, dopo un sopralluogo dentro l’edificio al 147 di Rue Lafayette. Due erano attiviste giovani, Fidan Dogan, rappresentante del Congresso nazionale del Kurdistan (Knk) con base a Bruxelles, e Leyla Söylemez. La terza donna è Sakine Cansiz, fondatrice del Partito curdo dei lavoratori (Pkk), che Turchia, Stati Uniti, Nazioni Unite e Unione europea considerano un’organizzazione terroristica. Ex guerrigliera, a capo di un gruppo nel nord dell’Iraq, coriacea, capelli rossi, Cansiz è passata per anni di detenzione e torture nella prigione di Diyarbakir dopo il golpe militare del settembre 1980 in Turchia e dal 1991 è stata accanto ad Abdullah Ocalan, leader storico del Pkk, quando lui dirigeva le attività del gruppo al sicuro, dalla Siria, dove si è rifugiato con il consenso di Damasco tra il 1979 e il 1998.

    Fuori dall’istituto i curdi parigini hanno improvvisato una manifestazione in cui hanno accusato “la Turchia e i suoi fascisti” di essere mandanti del triplice omicidio. Zubeyr Aydar, rappresentante per l’Europa del Pkk, parla di “forze oscure dello stato turco” (Francia e Germania hanno comunità curde numerose e libere, come osserva spesso il governo turco con note di protesta). L’accusa diretta contro Ankara suona però vuota, come ammettono anche i curdi. “In Turchia c’è uno ‘stato profondo’, uno stato dentro lo stato – dice Songul Karabulut, che si occupa delle relazioni con l’estero per il Comitato nazionale curdo, al Foglio – ci sono forze che non accettano il dialogo tra Ocalan e la Turchia”. In questo momento i rapporti fra Pkk e il governo nemico stanno imboccando cautamente una fase di negoziato. Il 2012 è stato un anno cruento, gli scontri tra soldati turchi e i guerriglieri del Pkk sono costati più di 500 morti, però prima di Capodanno il capo dei servizi segreti turchi, Hakan Fidan, nominato a capo dei colloqui da Ankara, ha passato due giorni sull’isola carcere di Imrali per trattare con Ocalan, rinchiuso lì da quando è stato arrestato dalle forze speciali turche nel 1999. Ci sono ancora dubbi sul potere del leader in cella di rappresentare ancora il movimento fuori, ma un paio di mesi fa con una sola dichiarazione ha fatto interrompere uno sciopero della fame dei detenuti curdi nelle carceri.

    Abdülkader Selvi, giornalista del quotidiano Yeni Sefak, è riuscito a conoscere il contenuto dei negoziati tra il capo dei servizi segreti turchi e Ocalan, articolati su tre punti. Primo, Ankara vuole che il movimento curdo abbandoni l’idea di un’entità territoriale separata e – secondo – anche quello di uno status separato per i curdi (la proposta si chiamava  “democrazia autonoma”). Terzo punto: la Turchia vuole dai curdi anche “cooperazione in Siria”. Il giornalista turco non specifica meglio, ma il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, da tempo lavora alla caduta del presidente Bashar el Assad a Damasco. Il potere del governo siriano si sta disintegrando alla moviola nella guerra civile, la minoranza curdo-siriana potrebbe accelerarne la fine se si unisse ai ribelli. L’obiettivo dei negoziati è arrivare a un disarmo del Pkk entro aprile-maggio, quando di solito con la bella stagione riprendono le incursioni e gli scontri duri lungo il confine.

    La curda Karabulut nega, ma non c’è soltanto lo “stato profondo” turco a volere sabotare questo processo di disarmo, ci sono anche altri curdi, l’etnia non è mai stata un blocco monolitico, è disunita, ci sono lotte interne. C’è una leadership del Pkk in libertà, attiva e rintanata sui monti Qandil, e ci sono frange dure che prendono ordini altrove. L’accordo impossibile tra Erdogan e Ocalan in Turchia è nato nel nord dell’Iraq, nel Kurdistan iracheno che si è scoperto ricchissimo di petrolio e vive in pace da dieci anni, dall’invasione americana nel 2003. L’autorità curda agisce in autonomia, vende il petrolio ai turchi, per farlo entra anche in conflitto con il governo centrale di Baghdad, sfrutta questa sua posizione forte da “primo stato curdo” per agevolare il processo di pace tra il Pkk e Ankara. I curdi che lottano ancora per il separatismo in Turchia oppure quelli che appartengono a gruppi sponsorizzati da stati rivali di Ankara – Siria e Iran – sono contro questo progetto e hanno tutto l’interesse a mandare killer nell’affollata comunità mediorientale di Parigi per un’esecuzione a sorpresa.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)