Mattatore e spalla

Il Cav. nel circo disarmato di Santoro, il nemico è Monti

Salvatore Merlo

Il Cavaliere da solo, gladiatore in un’arena di leoni sdentati, sorride, fa domande al pubblico, legge lui una letterina al povero Travaglio (“sono il suo core business”), scherza (“Santoro, siamo da lei o siamo a Zelig?”) e l’altro, il conduttore, gli fa da spalla, come Macario con Totò: “No, lei è molto più Zelig di me”. Fino alla confessione finale: “Mi sto proprio divertendo”. Silvio Berlusconi a “Servizio Pubblico” doveva essere una finale di Coppa dei campioni, partita dura e fallosa, la vendetta per quella telefonata di molti anni fa (“Santoro, si contenga”) ed è stata invece un’amichevole, anzi, le due squadre si sono pure unite, a tratti hanno giocato contro il comune nemico, l’assente Mario Monti.

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    Il Cavaliere da solo, gladiatore in un’arena di leoni sdentati, sorride, fa domande al pubblico, legge lui una letterina al povero Travaglio (“sono il suo core business”), scherza (“Santoro, siamo da lei o siamo a Zelig?”) e l’altro, il conduttore, gli fa da spalla, come Macario con Totò: “No, lei è molto più Zelig di me”. Fino alla confessione finale: “Mi sto proprio divertendo”. Silvio Berlusconi a “Servizio Pubblico” doveva essere una finale di Coppa dei campioni, partita dura e fallosa, la vendetta per quella telefonata di molti anni fa (“Santoro, si contenga”) ed è stata invece un’amichevole, anzi, le due squadre si sono pure unite, a tratti hanno giocato contro il comune nemico, l’assente Mario Monti. Il Cavaliere ha invitato a votare per il Pd, e ha scaricato sul professore della Bocconi la colpa di tutto: dalla crisi internazionale fino alla recessione italiana. Poi rullo di tamburi, arriva Marco Travaglio. E che fa Travaglio? Seppellisce Berlusconi che ripete sempre le stesse cose? No. Un po’ a disagio nella sceneggiatura di Totò e Macario, Travaglio sfiora il caso Ruby, per poi scagliare addosso a Berlusconi tutto il peso di Mario Monti, come se il professore fosse un sampietrino o uno sputo schiumoso: “Ora Berlusconi si lamenta, ma chissà chi è che c’ha messo il professore a Palazzo Chigi…”. Lui, il Cavaliere, ovviamente non fa una piega, al massimo gira il pollice nella tasca della giacca, recita un copione identico a quello andato in scena da Vespa (alla fine il più duro di tutti) e da Gruber. E’ un testo che ha studiato e passato a memoria, un canovaccio di teatro dell’arte: “L’Italia è ingovernabile”, “la Corte Costituzionale è di sinistra”, “sono nonno per la settima volta”, “voglio fare il ministro dell’Economia”, “non ho responsabilità sulla crisi”. L’importante è mantenere il silenzio sul programma, come sulle liste elettorali.

    La fila a via dell’Umiltà
    “In che posizione eri nel 2008?”; “ero quinto”; “mhm, fammi dare un’occhiata… Se ne sono andati in due, adesso sei terzo, complimenti!”. Deputati e senatori del Pdl in queste ore fanno la fila a Via dell’Umiltà, la sede del partito, dove Denis Verdini, l’uomo delle liste, ha la sua stanza, una sala d’aspetto affollata come quella di un medico. Ed è una lunga teoria quella dei parlamentari che in queste ore entrano spavaldi nello studio del “compilatore” pensando di convincerlo, di fregarlo con le parole, di riconquistare la candidatura, e ne escono invece incerti, con l’aria spersa di chi è andato per turlupinare ed è stato un po’ turlupinato. Il Cavaliere ha dato un solo ordine, sia a Verdini sia ad Angelino Alfano: silenzio assoluto sulle liste, nessuno deve sapere niente fino all’ultimo momento, fino alla notte del 18 gennaio, quando scadranno i termini per la presentazione. Ed è anche per questo che da Santoro il Cavaliere non ha fiatato, ma nemmeno è stato incalzato.

    Un po’ Berlusconi non sa decidersi, fosse per lui farebbe liste con migliaia di persone, candiderebbe tutti gli italiani se potesse; un po’, invece, il vecchio capo non vuole rogne: sa che dei 205 deputati e circa 115 senatori uscenti ne potranno essere rieletti in tutto, forse, appena 110, meno di un terzo della rappresentanza parlamentare conquistata nella straripante vittoria del 2008. E dunque in queste ore il silenzio è tutto, il segreto diventa un obbligo, solo con l’uso scientifico dell’incertezza, solo dosando mezze parole e larghe promesse, si possono evitare le contromosse ostili di chi potrebbe non essere candidato; solo mantenendo tutti sul filo si conserva un parvenza d’ordine e di unità in un partito già mezzo sbandato. Chi vuole informazioni, soprattutto i peones – perché i dignitari trovano sempre la via di Arcore – viene dirottato da Verdini, l’organizzatore di retrovia. E c’è un rituale: di fronte al poveraccio trafelato, Verdini recupera i vecchi elenchi degli eletti, poi depenna meticolosamente quelli che sono usciti dal gruppo (perché passati con Fini, con l’Udc, con Monti) e cancella pure quanti ormai sono fuori dai criteri di candidabilità (quelli che hanno più di sessantacinque anni e più di tre mandati). Alla fine mostra al questuante in trepidazione il risultato della cernita, con i nomi che rimangono.
    Ovviamente il deputato peone, in questa lista così depurata, ha sempre fatto un grande balzo in avanti, ancora più su che in passato, ancora meglio che nel 2008, con ancora maggiori possibilità di essere eletto: “Sei soddisfatto?”. Quello fa di sì con la testa e quasi ci crede, poi però si ritrova in strada, ci ripensa, e non ne è più così sicuro. Quanti nomi nuovi vorrà inserire il Cavaliere? Quanti dei vecchi spariranno per fare posto?

    Persino i dignitari vivono il brivido dell’incertezza, e si telefonano tra loro alimentando un circolo ansiogeno che meriterebbe di essere studiato in psichiatria: “Tu hai novità? Hai parlato con Lui? Sai qualcosa?”. Circolano leggende, liste fantasma, Dell’Utri che scompare e poi riappare, Cosentino che esce e rientra, Sacconi e Roccella che non ci sono (ma anche sì), tutto vero, tutto finto, tutto verosimile, e nessuno capisce niente perché nessuno in realtà sa niente. Persino Gianni Alemanno è andato a raccomandarsi, lui che pure un suo potentato e i voti ce li ha, non è uno che avrebbe bisogno di chiedere… eppure. Ma gli ex ministri, i capigruppo, insomma la corte non passa da Verdini, si rivolge direttamente al sovrano di Palazzo Grazioli, che si annoia da morire, sbadiglia, ha molto da fare con la televisione ma pure sorride e dice sempre di sì (anche quando non ha sentito la domanda). Pure a Palazzo Grazioli c’è un rituale: Toc toc, Maria Rosaria Rossi, la deputata fidatissima, apre la porta di casa a Via del Plebiscito e l’ex ministro, il grande dignitario arrivato per la questua, viene invitato a fare anticamera nel salottino. La signora Rossi scompare lasciando solo una scia di profumo, e dopo qualche minuto arriva Alfredo, l’affabile e spigliato maggiordomo: pizza calda al gorgonzola, scagliette di parmigiano, un’attesa che può durare a lungo. Alla fine si entra dal capo, finalmente di fronte all’uomo più gommoso della politica italiana: non è mai successo che il Cav. abbia detto a qualcuno: mi dispiace, ma non sarai in lista. Au contraire. Tutti candidati, “tutti primi al traguardo del mio cuore”. Il Cavaliere è in forma, ed è un guaio per molti, se n’è accorto pure Santoro ieri sera.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.