L'onorata società civile
Sul Corriere della Sera, a inizio settimana: “Invece i ministri tecnici in carica non ‘peseranno’ allo stesso modo: Andrea Riccardi ha ripetuto che non sarà candidato per restare nella ‘società civile’, mentre…”, ecc. ecc. Dove pensava che lo volessero portare, il tecnico-cattolico-ministro (praticamente un incarico e tre professioni): allo zoo comunale? in curva allo stadio? tra “i watussi, gli altissimi negri”? Il mantra lagnoso della società civile – i meglio, i buoni, gli onesti, onesti sempre e soprattutto, magari coglioni, a volte sì, ma onesti comunque – che sempre si ripresenta, adesso travalica ogni fragile argine rimasto in difesa del buonsenso e della logica.
Sul Corriere della Sera, a inizio settimana: “Invece i ministri tecnici in carica non ‘peseranno’ allo stesso modo: Andrea Riccardi ha ripetuto che non sarà candidato per restare nella ‘società civile’, mentre…”, ecc. ecc. Dove pensava che lo volessero portare, il tecnico-cattolico-ministro (praticamente un incarico e tre professioni): allo zoo comunale? in curva allo stadio? tra “i watussi, gli altissimi negri”? Il mantra lagnoso della società civile – i meglio, i buoni, gli onesti, onesti sempre e soprattutto, magari coglioni, a volte sì, ma onesti comunque – che sempre si ripresenta (a ogni elezione, a ogni promessa di buona intenzione, a ogni comico autodafé della politica penitente), adesso travalica ogni fragile argine rimasto in difesa del buonsenso e della logica. Non ce n’è uno – da Bersani al Cav., da Ingroia a Grillo, da Nichi a Monti: che per la sua “salita in politica” esige escursionisti a civiltà sociale vidimata e certificata personalmente dal professor Bondi – che non voglia qualche scalpo da piazzare sulle picche a presidio della novella e candida e santa “civitate Dei” edificata “contra paganos”: chi da porco bardato, chi di bottino satollo, chi di legislature stipato. Così che, per dire, se è stata immediatamente calata la lama, senza dubbio alcuno, e con generalizzata esultanza: ah, soddisfazione!, oh, goduria!, ehi, salve novatori!, sulla testa di un Massimo D’Alema (professionista della politica, pure inciucista professo, parlamentare di Prima e Seconda e mezza Repubblica) e si è affacciata tra le cronache persino l’ipotesi di veder candidato zio Michele da Avetrana. Mediaticamente, e ormai irreversibilmente, si sistema così la faccenda: si fa obbligo di dir bene, sempre, della società civile, pure davanti a fesserie acclarate, senza che s’abbia poi a chieder mai che cosa codesta società civile sia, donde viene e donde va, una transumanza di gruppi scombinati e malamente assortiti e variamente intenzionati, a modello di Brancaleone e il Penitente: “Addo’ ite?”. “Ah, così, sanza meta…”. “Venimo?”. “No, no… ite anco voi sanza meta, ma de un’altra parte…”– chi arriva, giura, per mollare calci nel culo, chi si propone, spiega, di rigenerare la politica tutta. Intanto vagano, a volte con certificata professionalità, altre con sospetta inabilità, a batter le mani nell’aria così a segnalare presenza e sostanza: “Semo la società civile! Semo la società civile, mica dei magnaccioni!”.
Soggetto misterioso, la società civile – che vi sia ognun lo dice, cosa sia nessun lo sa: soggetto, ecco, da criptozoologia, come lo Yeti o il drago Tarantasio o l’Homo saurus. Segue per istinto Concita De Gregorio? Si appassiona per sapienza al dotto indignarsi del professor Zagrebelsky? Si attarda nella ferramenta del paese? Difende la dignità delle prostitute? O va a mignotte la sera? Spulcia i saggi di Paul Ginsborg? A teatro va per Travaglio o per il Cirano? Ha pronto un (altro) cappio da ostentare – ché ogni stagione richiede il suo nodo? Ama il cinema coreano sottotitolato o pende dalla parte di Bombolo (versione Venticello)? Ha frequentato (a ragione) la manifestazione delle donne a piazza del Popolo? O è (comprensibilmente) un utente di YouPorn? Aspira a Machiavelli? Si contenta di Pancho Pardi? S’ode e si manifesta, per esemplificare, l’azione sociale e civile di due della società civile in consiglio d’amministrazione Rai, a movimenti di società civile espressamente richiesti?
Ecco – chi mai può dire chi incivile è e chi invece civile si qualifica? Dubbio che risolse, un paio di decenni fa, a suo modo e con acume, nella piazza davanti a Montecitorio, l’onorevole Teodoro Buontempo detto “er Pecora” (soprannome che splendidamente alla società civile predisponeva). Dunque, primi anni Novanta. Sampietrini assolati. Rivoluzione berlusconiana in piena fioritura. Una parlamentare di fresca elezione arriva a passo di carica. Corpo da maggiorata, camicetta a disegno pitonato stretta e con vistosa scollatura, a costeggio di capezzoli. Pantaloni adeguatamente abbinati. Quando varca il portone, lo sguardo sognante dei due militarini di guardia, a rischio congiuntivite, segue il retrostante della nuova eletta (accertata non professionista della politica, un passo dalla vetta suprema della società civile) – e allora s’ode l’urlo ammonitore e preveggente del simpatico Buontempo: “Aho, fate largo, che adesso entra la società civile!”. E’ la furbata estrema – sarà, la società civile, ciò che per alcuni è il patriottismo ostentato? – la rapida via di scampo, il nulla spacciato per molto, un ammassare magari generoso, certo confuso. Con risultati che sono (perché non è questa la prima evocazione, né sarà la prima irruzione sui marmi del Transatlantico della stessa) già assicurati a un livello minimo, praticamente di scarto, di danno. Anticipati dal professor Giovanni Sartori a Lettera 43: “E’ un’idea sciocchina che nasce dalla demagogia trionfante. Io sono uno studioso di scienza politica e faccio molta fatica a seguire la mia letteratura. Figurarsi questi altri poveracci della cosiddetta società civile che si troveranno a recitare discorsi di cui non capiscono niente e a maneggiare argomenti che non conoscono”. Non sarà molto popolare, con l’aria che tira, l’argomentare del politologo, che qualche sgradevole verità, ai forconisti di oggi (ché pure i forconi, a miglior impulso di rinnovamento futuro, si sono visti), ha da presentare: “La politica non può essere una professione nel senso weberiano del termine, perché quando l’unica occupazione diventa quella di essere eletto in Parlamento allora si creano le clientele, i collegi sicuri, la corruzione. Detto questo però, inondare le Camere di persone che non hanno alcuna competenza sulle cose di cui devono decidere mi lascia assai preoccupato”.
In un’analisi di nove anni fa sul Corriere, Ernesto Galli della Loggia (Titolo: “Il mito e la realtà della società civile”: ogni cosa nuova è cosa vecchia e sempre in replica, pare) ricorreva una citazione di Leopardi del 1820, “parole che sarebbero riecheggiate infinite volte, si può dire fino ai giorni nostri”, per spiegare quanto fasullo fosse questo mito, e quanto espressione, al più, di una povera illusione: “In Italia la società stessa, così scarsa com’ella è, è un mezzo di odio e di disunione (…); la società che avvi in Italia è tutta a danno ai costumi e al carattere morale, senza vantaggio alcuno”. “Il mito era ed è semplicissimo” – scriveva Galli della Loggia, “da un lato ci sarebbe l’insieme dei partiti, raffigurati alla stregua di un covo di clientelismo, di inefficienza, e soprattutto di politicantismo corrotto (la ‘partitocrazia’); dall’altro, invece, e ovviamente contrapposta ai primi, l’Italia operosa degli ‘onesti’ (un tempo si parlò addirittura di dar vita a un ‘partito degli onesti’), dei difensori della legalità, pensosi del bene comune e di quelle istituzioni che i partiti invece avrebbero occupato come terra di conquista”. Era ed è – appunto. Spiegò, sponsorizzando a sorpresa (avendo a mente la storia della “merchant bank” di Palazzo Chigi) D’Alema, arditamente definito “un vero liberale”, per il Quirinale, nei giorni in cui prevalse Napolitano, il professor Guido Rossi: “L’idea di una società civile, di una borghesia che possa impedire alla politica di esprimere il proprio primato perché ne ha paura, e cerca vagamente una terzietà, non esiste. Non esiste in nessun paese del mondo un presidente espressione della società civile”.
Ma tant’è. L’epica della società civile non conosce mezze misure, è il bene che affronta la bestia nera del male – figlia com’è di quell’imperativo che nei giorni danzanti dei girotondi prese piede: “Senza se e senza ma” – e fu sempre D’Alema, uno che con il mito dei migliori ha un conto aperto ora salito a valori incalcolabili, a replicare che casomai, a voler mantenere un minimo di senso delle cose, “la politica si fa con i se e con i ma” – essendo tanto “se” quanto “ma” indispensabili se le persone si vogliono parlare senza affrontarsi a grugniti. E, onore al merito, mentre il mondo politico occhieggia e tace, o tace e fa l’occhiolino, il solito D’Alema rimise i piedi nel piatto: “La politica è peggiorata da quando vi è entrata in massa la società civile”. Pur se così è, gran parte della politica invece si sgola a richiamare la sua benevola attenzione, accarezza la belva sperando alla belva di non dover mostrare la gola, un po’ vigliaccheria e un po’ mala furbizia, così da atteggiarsi come quelli che pensavano con “il buon selvaggio” di avere a che fare. Certo che l’equivoco del perenne ritorno in scena della società civile è piuttosto favorito dall’inciviltà di tanta parte della politica; altrettanto certo che, ogni volta che è stata messa alla prova, questa fantomatica società civile si è rivelata per quella che (il più delle volte) era: chiacchierona, inconcludente, pezzentona, contagiata dai piaceri della casta con impressionante rapidità. E cosa furono, in sostanza, le calate sul Parlamento dei leghisti e dei dipietristi – tutti inizialmente ben intenzionati a purificare il sacrilego luogo: barbari e giustizialisti e ardenti innovatori? Ma la furia del momento è sempre furia di pancia e annebbiamento di memoria – nessuno ricorda mai, tutti promettono che…: sempre un nuovo surrogato consolatorio (o vendicativo). Che non ammette – e nei decenni se ne sono sentite di tutti i colori: in nome dell’onestà, riecco!, in nome della gente, in nome della democrazia. Diretta, va da sé, smaneggiata a frotte, a mucchi, assordata dalla sua stessa invocazione. Così che nessuno s’azzardi a contestare qualcosa, a rammentare altro, se qualcosa o altro succede di contestare o rammentare. E così può succedere anche questo, a quelli costituenti militanti che sempre con la Costituzione in mano stanno, e alta sulla testa la issano, come il Santissimo in processione, come con l’ombrello sotto il diluvio – che possano insultare coloro che la Costituzione richiamano, non adeguandosi il richiamo al costituzionalismo da società (in)civile. Questo era nel forum che dibatteva (e figurarsi) l’invito di Di Pietro: “Candidiamo insieme la società civile” – e per inciso, a lui che una rivoluzione del genere capitanò, dopo la non smagliante figura di tanti suoi social-civilisti sbarcati in massa a ripulir le stalle di Augia della solita partitocrazia, adesso tocca farsi gregario e cedere il passo, avendo perso i gradi di comandante in prima della stessa società civile: “Non mi candido capolista. (…) Sarebbe scorretto decidere prima di aver chiuso gli accordi con la società civile”. Bene, ecco un appassionato che gli scrive – dopo lo show televisivo di Benigni sulla Costituzione (a lode, a santificazione, a generalizzato applauso): “E’ un peccato vedere Benigni comportarsi come una prostituta del potere”. E che ha combinato mai, l’orrido individuo, tanto immignottito dal sistema? “La Costituzione deve essere modificata proprio nel suo primo articolo, ‘la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione’. A sentir Benigni, il popolo italiano dovrebbe essere contento di aver delegato tutti i suoi poteri ai partiti politici e ai suoi rappresentanti (Parlamento). E come se non bastasse Benigni ha la spudoratezza di affermare che il popolo vorrebbe che questo vincolo non fosse mai levato. (…) E i beoti continuano a belare”.
Pur avendo dato ottime dimostrazioni, questa società civile, di come possa persino inquinare una politica screditata e scriteriata e sputtanata, sempre di se stessa – se stessa come proiezione, come angelo vendicatore, come il piede virginale che schiaccia il serpente – parla e sempre in nome di se stessa si arruola. Nel 2008, in pieno allarme per il ritorno del Cav. al potere, sulla Stampa, Gian Enrico Rusconi si augurava, per la solita manifestazione di protesta, che non venisse adottato lo slogan “forze antiberlusconiane della società civile”, come suggerivano da Micromega: “Capisco perfettamente la logica contestativa dello slogan. Ma sarebbe ingannevole nella sostanza. Il berlusconismo infatti è anche espressione della società civile italiana”. E non che il professore contestasse il “combattere energicamente il berlusconismo”, piuttosto “l’obiezione è assai più radicale. Si tratta di ammettere che il male è dentro la società civile, non fuori di essa. E quindi non ha senso di evocarla come una soluzione”. E invece rieccola, come a ogni vigilia di apertura di urne (dopo pensose, adrenaliniche serate passate magari al Palasharp o nello Spazio Krizia, assembramenti su Facebook, vociare su Twitter, visioni su Flickr o su YouTube), sorta di pietra filosofale – capace di moltiplicare per mille le buone intenzioni, ma con il rischio (certezza già visionata, anzi) di confonderle, queste buone intenzioni, di sottrarre e di moltiplicare a capriccio, illuminare il caos e farsi sfuggire tutto di mano, come le “tigri azzurre” di un racconto di Borges. E nessuno, nessuno, ma proprio nessuno, una riverenza pubblica (magari accompagnata da pernacchietta privata) si risparmia.
A leggere i giornali è tutto un mendicare e un garantire sottomissione – in un frenetico accorrere di olimpionici, giornalisti (ma quanti!), magistrati (ma quanti!), scrittori, militari, casalinghe, movimentisti vari, antimafiosi certificati, professori a valanga… Persino l’operaio viene segnalato – e ciò che era classe, nientemeno, nobile classe, pure essa finisce imbrattata nei titoli come società civile. Sfogliando qua e là. Tanto per cominciare l’istruttivo manifesto “Io ci sto” del dott. Ingroia: “I promotori sono espressione della società civile e della politica pulita…” – “un cacchio, dico cacchio”, avrebbe esclamato stupito Totò: e gli altri, messo il cappello sulla società civile e la politica pulita, chi sono: cani e porci (beh, qualcuno in verità sì)? Il Giornale: “Il Pdl ‘arruola’ la società civile…”. Sempre il Giornale: “Video online di Albertini: ‘Con me la società civile’”. “Esponenti della società civile” va cercando il Cav. in Liguria, come se fosse il pesto. De Magistris: “Favorire il protagonismo di un solo fondamentale soggetto: la società civile”. Monti: “Alleo società civile e politici scelti con rigore” – sai che allegria. Pure “Grande sud apre alla società civile”. Minchia! Il Fatto: “Elezioni, i professori lasciano Ingroia. Che per le liste punta sulla società civile”. Nientemeno Alemanno: “Vogliamo un candidato dalla società civile” – adesso si dà un’occhiata si vede cos’è rimasto in dispensa. Ovviamente pure Bersani il suo bel carico ha dovuto fare: “Liste Pd: tanto territorio e società civile”. O piuttosto non rischia di confondersi, la tanto invocata, la tanto instradata, con quella stessa “società incivile” che proprio su Repubblica fu indagata, qualche anno fa, da Guido Crainz? E lo stesso, ad allertamento dei tanti (molti a destra, folle a sinistra) esaltatori, quello che ricordò, con antipatizzante analisi, Famiglia Cristiana, quando Monti andava a Palazzo Chigi senza la frenesia di salire (c’è aria buona, lassù) in politica: “Mentre Berlusconi declina, quindi, sarà opportuno ricordare che la sua avventura politica ha avuto come fondamento il mito della società civile, del professionista borghese prestato alla politica”. Dai giorni – un concentrato di buongusto, al confronto – degli Indipendenti di sinistra del Pci, embrione della società civile nel Palazzo, di acqua ne è passata, e parecchio si è intorbidita. Non c’è più (quasi) speranza, neanche dove (quasi) certezza di speranza c’era – così che si trova pure un bollettino del Vaticano con il testo di un discorso del Papa, così titolato: “Incontro con esponenti della società civile….” – e chi è, il Papa, Mario Monti? Però ci si può sempre consolare. Come propose Lidia Ravera dopo una delusione elettorale (ipotesi ingiustamente sottovalutata sul Sole 24 Ore), “limitando l’impegno politico alla tristezza condivisa di tante cene intelligenti” – società civile, perciò, non meno che satolla, ma senza scivolare nella cena di gala. O, meglio ancora – molto meglio sì! – consolandosi con Oscar Wilde: “Non si può per legge di Parlamento rendere la gente morale – ed è già qualcosa”. Tanto per non ritrovarsi tra le carezzevoli grinfie della società civile.
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