Prospero Gallinari

E' morto il brigatista irriducibile che fu boia di Aldo Moro. Lanfranco Pace se lo ricorda così

Alessandro Giuli

Prospero Gallinari è morto a sessantadue anni senza un’ombra di pentimento. Contadino di Reggio Emilia, figlio robusto di braccianti poverissimi (“Prospero forte come due uomini”, diceva il padre alludendo alla sua complessione), “un autentico figlio del comunismo italiano”, dice ora di lui Lanfranco Pace, ex di Potere Operaio con lontani rapporti di consuetudine nel paesaggio brigatista. Pace conosce Prospero quando l’ex figicciotto è già divenuto “Gallo”, un capo br fatto e finito, protagonista del rapimento di Aldo Moro. “Lo vidi in piena notte sotto casa mia – racconta Pace – poco dopo l’uccisione del presidente della Dc, mi aspettava con altre persone: ‘Ti dobbiamo parlare’.

    Prospero Gallinari è morto a sessantadue anni senza un’ombra di pentimento. Contadino di Reggio Emilia, figlio robusto di braccianti poverissimi (“Prospero forte come due uomini”, diceva il padre alludendo alla sua complessione), “un autentico figlio del comunismo italiano”, dice ora di lui Lanfranco Pace, ex di Potere Operaio con lontani rapporti di consuetudine nel paesaggio brigatista. Pace conosce Prospero quando l’ex figicciotto è già divenuto “Gallo”, un capo br fatto e finito, protagonista del rapimento di Aldo Moro. “Lo vidi in piena notte sotto casa mia – racconta Pace – poco dopo l’uccisione del presidente della Dc, mi aspettava con altre persone: ‘Ti dobbiamo parlare’. Mi disse che Morucci e la Faranda erano scappati con soldi e armi: ‘Hanno tradito il codice proletario’. Aveva un tono risentito ma pacato. Tenne conto delle mie osservazioni sull’inutilità di un atto di giustizia proletaria”. Pace e Gallinari si incontreranno più volte nelle settimane seguenti, “in pieno centro storico, nessuno ci riconobbe mai, nemmeno un giudice istruttore, forse era Alibrandi, accanto al quale ci ritrovammo seduti in un bar romano”.

    La frequentazione più durevole avviene in carcere. Settembre 1979, Pace è recluso nel braccio G8 di Rebibbia (detenuti politici): “Mi vedo arrivare Prospero con sciarpa e passamontagna, gli avevano messo una calotta di titanio dopoché un poliziotto gli aveva sparato in testa in occasione dell’arresto”. La versione di Gallinari è in queste parole di Lanfranco Pace: “Aveva due ore di tempo prima di partire per Firenze, dove era fissata una riunione strategica delle Brigate rosse. Decise di andare a San Giovanni per ‘aiutare’ le reclute con il parco macchine rubate, alle quali si cambiavano targhe e posti per non dare nell’occhio”. Invece fu lui a cadere sotto tiro. “Si fermò una volante, scese un poliziotto insospettito dal tramestio, Prospero lo puntò con l’arma ma non s’accorse di quell’altro che lo aveva aggirato e che gli sparò in testa”. Operazione d’urgenza. “Mi disse di aver percepito un lampo bianco e poi giù. Al medico che lo operava giunsero decine di telefonate anonime: ‘Lei è responsabile della vita del compagno Gallo’; e lui: ‘D’accordo, ve lo salvo, ma lasciatemi lavorare’”. Si salvò, si proclamò sconfitto ma rimase un irriducibile del partito armato. “Era un uomo schematico, lineare, tostissimo, con qualche venatura di senso d’onnipotenza”, ricorda ancora Pace.

    Aneddoto. “Aveva una sorella più piccola cui era legatissimo, e che il padre trattava con paternalismo arcaico. Padre e figlia litigarono per il desiderio di lei di andare a ballare, lui la picchiò. Ma fu l’ultima volta: Prospero lo prese per il collo e disse ‘ti ammazzo se lo fai di nuovo’”. Secondo aneddoto. “In galera – dice Pace – mi raccontò di quando aveva visto per la prima volta Moro dopo il rapimento: ‘Lo guardavo dal buco della serratura e mi dicevo: lui è Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana; io sono Prospero Gallinari, contadino emiliano’. Era il suo modo per sottolineare il senso dei rapporti di classe, un senso netto e forte”. La convivenza in cella non fu un problema: “Faceva un buon caffè con la crema e guardava sempre la ronda. Lo ammonii: ‘Ma che vòi fa’, c’hai la testa sfasciata, ti stendono con un cazzotto’. Lui: ‘Bisogna sempre tenersi pronti’. Forse era il suo modo di polemizzare con quello che riteneva essere un intellettuale”. Era malato di cuore, l’hanno trovato dentro la sua automobile parcheggiata nel garage di casa, muto come un buon carceriere, ma stavolta senza respiro come Aldo Moro nella celebre R4 rossa. “Mi dispiace, era un uomo socievole”.