Nichi in porta (a sinistra) vale poco

Marianna Rizzini

Nichi Vendola va a “Piazzapulita” per “ragionare su come sbarrare la strada al ritorno di un repertorio di fantasmi”, ma qualcosa nell’aria dice che anche lui, il governatore pugliese, rischia di assomigliare sempre più al fantasma di se stesso. Doveva coprire a sinistra, Vendola, anche se Fausto Bertinotti si era dissociato dalla sua linea di sinistra che “sale sul treno” e anche se Pierluigi Bersani, in nome di una certezza (ora non così certa), aveva sopportato persino la frase “dovrai guadagnarti i miei voti”, detta da un Vendola capriccioso e perdente tra primo e secondo turno delle primarie.

    Nichi Vendola va a “Piazzapulita” per “ragionare su come sbarrare la strada al ritorno di un repertorio di fantasmi”, ma qualcosa nell’aria dice che anche lui, il governatore pugliese, rischia di assomigliare sempre più al fantasma di se stesso. Doveva coprire a sinistra, Vendola, anche se Fausto Bertinotti si era dissociato dalla sua linea di sinistra che “sale sul treno” e anche se Pierluigi Bersani, in nome di una certezza (ora non così certa), aveva sopportato persino la frase “dovrai guadagnarti i miei voti”, detta da un Vendola capriccioso e perdente tra primo e secondo turno delle primarie. Doveva coprire a sinistra, Vendola, da postcomunista pragmatico quale è – grande sfogo alla narrazione pauperista, ricchi che piangono e precari nel cuore, tanto poi i fatti sono i fatti, come il San Raffaele di Taranto gestito da Don Verzé, che non a caso vedeva Vendola “santo” quanto il Cav. – e però è evidente che la “copertura a sinistra” vacilla, rosicchiata su più fronti (da Antonio Ingroia, in primis, alla faccia della maggioranza in Senato, tanto più che l’ex pm non deve, come Vendola, rassicurare sulla futura governabilità). Vendola dice (e deve dire) “con i centristi dopo il voto sarà possibile discutere della riforma dello stato”, ma sono parole indigeste per il potenziale elettorato vendoliano, e non importa quanto poi il governatore pugliese si definisca, per scongiurare la sua stessa implosione, “alternativo” a Monti.

    “Voglio diventare padre”, dice da paladino della genitorialità omosex, ma c’è chi si chiede se poi non si acconterà di quello che ha chiamato il “minimo comune denominatore” con il resto del centrosinistra (riconoscimento blando alle coppie di fatto?). Sia come sia, la copertura a sinistra di nuovo perde colpi. Sembrano passati anni da quando Vendola attaccava, con (finto) sdegno di classe, gli avversari di primarie Bersani e Renzi al grido di “quelli che hanno i jet privati”, e anzi il Nichi televisivo ora si mostra più “evangelico” che “leninista”, parole sue, quando manda “all’inferno” non i ricchi tout court, ma soltanto i grandi evasori fiscali – intanto i rifondaroli duri e puri, ringalluzziti dall’alleanza con Ingroia, attaccano Vendola perché difende “il Pd neoliberista”. Non copre a sinistra neanche quando dice “no” alla “legge del più forte” e depreca l’operazione “cuori-forti” (richiesta di cassa integrazione della Fiat a Melfi), il Vendola-Stranamore che conserva il riflesso del “dàgli al capitale” non agito nella quotidianità pugliese: gli si rimprovera di essersi incamminato lungo la strada del compromesso, e questo basta a favorire le incursioni nel suo campo di chi dei compromessi (per ora) può fregarsene. E mentre Bersani e Monti, in coro, sferrano attacchi ai “populismi” in ogni intervista, anche estera, paradossale appare la sorte di un populista organico come Vendola, alleato di Bersani e futuro co-inquilino dei centristi, depotenziato nel ricorso all’arma emotiva proprio nel momento della battaglia (i suoi concorrenti a sinistra la usano a man bassa).

    Con i sondaggi che dicono a Bersani “anche se vinci non è detto sia sufficiente”, e con Sel in calo (ora è al 4 per cento) rispetto alle liste ingroiane (oltre il 5 secondo Emg), Vendola, futuro vicepremier, non può neanche più puntare sul coup de théâtre del parlare poetico durante i talk-show, ché la scena della fascinazione mediatica gli è stata scippata dal Berlusconi che spolvera sedie, tira con affetto cartelli ai giornalisti e fa il gesto delle manette a Ingroia mentre lo incrocia nei corridoi de La7.    

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.