Pd, Renzi fuori è un autogol

Claudio Cerasa

Per sintetizzare la questione in modo molto brutale, possiamo dire che anche i sassi hanno ormai capito che l’unico volto possibile che il centrosinistra può mettere in campo per tentare di sedurre il famoso elettorato indeciso, per provare a non farsi rubare troppi voti dal listone Monti e per cercare di frenare la rincorsa insieme creativa e scombinata di Silvio Berlusconi coincide perfettamente con il profilo desaparecido del sindaco di Firenze Matteo Renzi.

    Per sintetizzare la questione in modo molto brutale, possiamo dire che anche i sassi hanno ormai capito che l’unico volto possibile che il centrosinistra può mettere in campo per tentare di sedurre il famoso elettorato indeciso, per provare a non farsi rubare troppi voti dal listone Monti e per cercare di frenare la rincorsa insieme creativa e scombinata di Silvio Berlusconi coincide perfettamente con il profilo desaparecido del sindaco di Firenze Matteo Renzi. Finora, lo avrete notato, il sindaco ha scelto di esprimere il suo senso di fedeltà alla “ditta” senza contrapporsi in alcun modo al suo vecchio sfidante (Bersani) e cercando piuttosto di indossare sempre di più le vesti del politico che, in nome della grande e sacra unità della coalizione, rinuncia a difendere le proprie idee all’interno del partito al punto da non aver neppure voglia di protestare anche in quei casi in cui (vedi la storia della composizione delle liste per la Camera e il Senato) gli viene gentilmente offerto un grazioso piatto di lenticchie.

    Ora, sempre in nome della fedeltà alla ditta, ha promesso al segretario, dopo il famoso pranzo di alcuni giorni fa al ristorante romano “Grano”, di uscire dal silenzio e  dare il suo contributo in campagna elettorale. Il contributo di Renzi consisterà nel fare molte interviste televisive (la prima, come annunciato ieri dal sindaco, sarà mercoledì 23 su La7, alle “Invasioni Barbariche”) e nel partecipare a parecchi comizi organizzati nelle zone, elettoralmente parlando, più delicate e più in bilico del paese (Lombardia e soprattutto Veneto). Basterà? Ovvio: la presenza di Renzi in campo darà una mano a Bersani ad allargare la sua offerta e a rivolgersi a un bacino più ampio di elettori (molti dei quali, secondo tutti i sondaggi, sarebbero tentati dal passare con Monti). Ma basta?
    Nel centrosinistra c’è chi dubita che la strategia della dimessa e temporanea presenza in campo di Renzi sia sufficiente a colmare il gap della coalizione e per questo, seppure sotto voce, c’è chi tra i bersaniani sta pensando di tirare fuori una proposta che farebbe notizia e scandalo, ma porterebbe influenza e voti, molto probabilmente. Renzi ministro, e magari vice insieme con Vendola. Anche nel corso del pranzo tra Renzi e Bersani, il segretario in persona, dopo aver a lungo sondato il terreno con i suoi collaboratori, ha avuto l’aria di essere aperto alla prospettiva di un uso pubblico, forte e politico, del sindaco. Renzi però, che durante le primarie ha sempre detto di non voler premi di consolazione, ha nicchiato, e i suoi amici dicono che è difficile che cambi idea. Non tanto per una questione di incompatibilità tra le cariche (i sindaci possono fare i ministri, ricordate Antonio Bassolino sindaco di Napoli che nel 1998 per un anno fece il ministro del Lavoro del governo D’Alema?) quanto per paura di vedersi raffigurato come uno di quei tanti leader e mezzi leader del passato (e del presente) che alle primarie corrono non per vincere ma solo per avere un posticino al governo. Oltre tutto, l’offerta in realtà non è così chiara e impegnativa per chi la fa.

    Il punto è: ma siamo sicuri che si tratti di una scelta giusta? Sicuri che i calcoli di Renzi siano azzeccati? Sicuri che, come crede il sindaco, non conviene mischiarsi con questo governo perché non durerà più di un paio di anni? E sicuri che, anche in nome delle ambizioni del sindaco, convenga accontentarsi di fare il presidente dell’Anci e non convenga fare come Nicolas Sarkozy che la sua rupture e la sua successione a Jacques Chirac la costruì dall’interno del governo e non dall’esterno? “Sento – dice al Foglio Angelo Panebianco – che c’è qualcuno che vorrebbe vedere Renzi come ministro dell’Economia di un governo Bersani. Quel ruolo sarebbe suggestivo ma arduo: per guidare il superministero economico, ormai, occorre avere una grande caratura internazionale. Piuttosto – conclude il professore con un sorriso malizioso – se proprio Bersani volesse sparigliare dovrebbe fare una mossa a sorpresa: convincere Renzi a fare il ministro del Lavoro: e lì sì che, come dire, il centrosinistra ce ne farebbe davvero vedere delle belle”.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.