I serpenti nell'Spd
Gli ultimi sondaggi registrano una rimonta strepitosa di Stephan Weil, sindaco socialdemocratico di Hannover e sfidante del governatore uscente della Bassa Sassonia, il cristiano-democratico David McAllister. Fino a poche settimana fa il distacco tra i due partiti era di dieci punti, ora soltanto di due. Weil ha girato il suo Land paese per paese, conquistando gli elettori con la retorica della solidarietà, delle pari opportunità, dell’ambiente.
Gli ultimi sondaggi registrano una rimonta strepitosa di Stephan Weil, sindaco socialdemocratico di Hannover e sfidante del governatore uscente della Bassa Sassonia, il cristiano-democratico David McAllister. Fino a poche settimana fa il distacco tra i due partiti era di dieci punti, ora soltanto di due. Weil ha girato il suo Land paese per paese, conquistando gli elettori con la retorica della solidarietà, delle pari opportunità, dell’ambiente. A volte è ricorso anche a paragoni bizzarri, come quello usato per spiegare che cos’è la socialdemocrazia: non un piatto raffinato, piuttosto una patata al forno, croccante, gustosa e capace di saziare. S’è preso pure un bell’applauso.
Weil, 53 anni, prima di essere eletto sindaco, è stato avvocato, giudice, magistrato, funzionario del ministero di Giustizia – un burocrate, insomma. Al di là degli undici anni che lo separano dal governatore uscente, partiva svantaggiato nei confronti dell’assai più prestante McAllister, ma ora pare che ce la possa fare domenica, quando la Bassa Sassonia è chiamata a eleggere il nuovo Landtag e il nuovo governatore. Sarebbe anche più fiducioso, Weil, se su di lui non pesassero il macigno chiamato Peer Steinbrück, leader dell’Spd, e il macigno sondaggi-in-caduta-libera a livello nazionale.
Come ha scritto all’inizio della settimana il quotidiano liberista Die Welt, oggi un elettore socialdemocratico su quattro sostiene Angela Merkel e la vorrebbe riconfermata cancelliere anche per i prossimi quattro anni. Il 45 per cento degli intervistati è convinto che se veramente l’Spd vuole una chance di vittoria alle politiche di questo autunno, deve assolutamente cambiare il candidato cancelliere. I più sono convinti che Peer Steinbrück non ce la possa fare. Anzi, che rischia addirittura di rovinare la vittoria anche a chi ce l’ha praticamente in tasca. Si riferiscono ovviamente a Weil, e sono piuttosto irritati: Weil si mostra rilassato e fiducioso, ma c’è il sospetto che anche lui sia ugualmente irritato. Lunedì scorso, durante un comizio assieme a Steinbrück, nella città di Braunschweig s’è assistito a una curiosa inversione di ruoli: in base alla logica, avrebbe dovuto essere Steinbrück a sostenere Weil, a fare campagna elettorale per lui. Come ricordavano ancora in questi giorni i media, il fatto che l’Spd abbia nominato Steinbrück candidato cancelliere già alla fine di autunno, anziché attendere, come prevedeva la tabella di marcia, l’inizio di questo anno, rappresentava una mossa strategica per sostenere la competizione di Weil in Bassa Sassonia. E invece a Braunschweig si è avuta l’impressione che fosse soprattutto Weil a spendersi per il compagno Steinbrück, che ce la può fare, che la gente è dalla sua parte.
“Ce la può fare” è anche la frase pronunciata, con l’abituale tono perentorio che non ammette replica, anche dall’ex cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt, quando già nell’autunno 2011 aveva indicato Steinbrück come il candidato per la sfida a Merkel alle politiche del 2013. Questa incoronazione precoce aveva suscitato in molti l’impressione che Schmidt – troppo scafato per bruciare il suo pupillo anzitempo – avesse voluto in questo modo prevenire una guerra intestina all’interno dell’Spd. Il grande vecchio conosce bene i suoi polli, registra le tensioni, la volatilità delle frange più oltranziste, soprattutto quelle più a sinistra. A quei tempi, Steinbrück pareva a dire il vero già piuttosto lontano dalla politica attiva. Scriveva libri e, come ogni politico di rango che si rispetti, si dedicava – richiestissimo – a convegni e dibattiti. Molti compagni non erano affatto dispiaciuti della lenta dipartita: da sempre Steinbrück era parso troppo liberista. Ma Schmidt l’ha ripiazzato d’imperio al centro della scena politica, e il partito si è piegato al suo volere.
Sono passati due anni intanto, e chissà se il grande vecchio è ancora convinto della sua scelta. Lo Spiegel, che ha dedicato a Steinbrück la copertina della settimana scorsa, ha espresso tutt’altra convinzione. E a quel “ce la può fare” non solo ha aggiunto un velenoso “non”, ma ha scelto anche un titolo insolente: “Il dilettante”. Nel lungo articolo che seguiva, ci si chiedeva se la scelta di Steinbrück non debba essere considerata un enorme errore. Quasi tutto quello che lo sfidante di Merkel ha fatto e detto fino a oggi gli si è rivoltato contro. I mesi passati sono stati una corsa a ostacoli per lui e per l’Spd.
Ecco le tappe salienti: il partito aveva appena comunicato la designazione di Steinbrück come candidato al Kanzleramt che subito avevano cominciato a uscire le notizie sui lauti compensi che lui aveva intascato per interventi a forum e convegni aziendali: dal novembre 2009 al luglio 2012 aveva guadagnato in questo modo 1,25 milioni di euro, gli faceva i conti in tasca il settimanale. Senza tralasciare il fatto che per queste sue partecipazioni aveva anche bigiato più di una seduta del Bundestag (il che aggiungeva nell’opinione pubblica irritazione a irritazione). Tra tutti i compensi, ce n’era stato soprattutto uno particolarmente sconveniente: quello ricevuto dalla municipalizzata di Bochum, la quale, sull’orlo del fallimento, gli aveva ciononostante corrisposto 25 mila euro. Anche la scelta del responsabile del suo ufficio elettorale è risultata un passo falso: Steinbrück aveva nominato nientemeno che l’ex portavoce di un hedge fond, un tipo di società che agli occhi di ogni socialdemocratico che si rispetti equivale al diavolo in persona. Ovviamente ha dovuto sostituirlo. L’ultimo incidente è stato il tranello di un giornalista che voleva sapere che cosa ne pensasse Steinbrück dello stipendio che compete a un cancelliere tedesco. Lui nemmeno aveva avuto sentore che qui si stava preparando l’ennesima trappola e diretto come gli piace essere aveva risposto che lo trovava del tutto inadeguato, visto che i direttori di banca spesso guadagnano di più. Apriti cielo. La base s’è scatenata. Steinbrück, si cinguettava, farebbe bene a non piangere sui magri compensi di un cancelliere. Primo, perché nessun cancelliere mai, Merkel compresa, se ne è lamentato. Secondo, perché c’è di peggio. Avrebbe fatto meglio a parlare di quel che guadagna un operaio, una parrucchiera, un lavoratore interinale, costretto a fare spesso due lavori per mettere insieme uno stipendio passabile. I perfidi media, dopo avergli fatto lo sgambetto, si domandavano attoniti davanti a tanta ingenuità: “Steinbrück ci fa o ci è?”, “Vuole o non vuole diventare cancelliere?”. Mentre il mensile di attualità politica Cicero nemmeno si poneva più il problema e sentenziava: “Steinbrück non è adatto a guidare il paese”.
La Cdu e Merkel si godono naturalmente lo spettacolo. E vista la ferocia degli attacchi, si potrebbe quasi credere che la cancelliera in alcuni momenti abbia provato addirittura un moto di simpatia per l’avversario. Lui, in fondo, era sceso nell’arena promettendole una contesa elettorale seria, senza sconti, ma sempre corretta, nel pieno rispetto dell’altro. E invece, eccolo lì, messo in croce, e nemmeno per mano della Cdu. E’ vero che un trattamento così era già stato riservato all’ex cancelliere Gerhard Schröder, ma soltanto sul finire del suo secondo mandato. Nel 1998, invece, quando era sceso in campo contro il cancelliere Helmut Kohl, i media l’avevano sostenuto con entusiasmo.
Ora però qualcuno comincia a stancarsi di questa caccia all’uomo e inizia a chiedersi se la colpa sia tutta e solo di Steinbrück. Una domanda che si è posto il quotidiano progressista di Berlino Tagesspiegel, dove, martedì scorso, in un lungo e articolato intervento, Christoph Seils, cercava di spiegare perché: “Nel pantano dei problemi che assilla l’Spd, Steinbrück non è il problema più grande”. Certo, a Steinbrück manca a volte una sensibilità squisitamente “socialdemocratica”, ma ciò non toglie che lui è l’avversario più tosto da far scendere in campo contro Merkel. L’unico che potrebbe rappresentare un pericolo per lei e per una sua terza riconferma alla guida del paese. L’affermazione di Schmidt resta valida, non fosse che l’Spd da anni si comporta come un paziente traumatizzato. Il trauma si chiama Hartz IV, la riforma dello stato sociale voluta tanto testardamente da Schröder da giocarsi pure l’incarico di cancelliere. Una riforma che rappresenta uno dei pochi successi della socialdemocrazia continentale europea. Peccato che parte dell’Spd non l’abbia fino a oggi accettata. E questo nonostante il fatto, che proprio grazie a Hartz IV la Germania è oggi l’unico paese nell’Ue in cui l’economia va bene: il tasso di disoccupazione si è dimezzato, e oggi è sotto il 7 per cento; il fisco per il 2012 ha incassato 6 miliardi di euro più del previsto.
Ma quel che si è rivelato salutare per il paese, è diventata la malattia cronica del partito. Una malattia che ha fatto vittime eccellenti: dopo Schröder è stata la volta di Franz Müntefering, che ha addirittura rincarato la dose e durante il suo mandato di vicecancelliere e ministro per il Lavoro ha fatto passare anche la riforma delle pensioni, con il graduale innalzamento dell’età a 67 anni. Poi è stata la volta di Kurt Beck al timone dell’Spd. Lui si era provato in ardite contorsioni, per accontentare le varie anime del partito, ma dopo una feroce campagna interna contro di lui, si è dimesso.
Con l’arrivo di Sigmar Gabriel, nel 2009, il partito sperava di riuscire a voltare pagina. Era un esponente di spicco dell’ala più riformista, ma aveva fama di combattente e nonostante la “giovane” età (è del 1959) un rispettabile curriculum politico: ex governatore della Bassa Sassonia, ministro per l’Ambiente nella Grande coalizione. Le speranze sono state disattese. A distanza di poco più di tre anni, il grande ma anche unico merito di Gabriel è stato quello di tenere insieme l’Spd, senza però riuscire a dargli una direzione di marcia. Senza riuscire a trovare un punto di equilibrio tra le sue agguerrite fazioni.
Trovare questa sintesi non è facile se una parte del partito rinnega ancora oggi uno dei suoi più grandi meriti. E chissà quanto deve bruciare a Gabriel, a Steinbrück e agli altri sostenitori dell’agenda Schröder, sentir dire a Merkel dal pulpito del Bundestag o da quello del Congresso di partito che la Cdu, diversamente dall’Spd, che l’ha introdotta, non rinnega Hartz IV, anzi ne riconosce lo straordinario effetto positivo. Senza mai dimenticarsi di aggiungere che proprio per questo la Cdu, ai tempi all’opposizione, l’aveva votata convinta.
Come scrive anche Seils sul Tagesspiegel, il pantano nel quale si trova attualmente l’Spd nasce da questo disconoscimento. Il partito è spaccato. Una parte continua a non vedere nella globalizzazione anche un’opportunità ma esclusivamente un pericolo e resta aggrappata all’idea di uno stato-balia. L’elettorato registra la divisione e reagisce con diffidenza, soprattutto in tempi tanto incerti. Per questo, anche molti tra gli elettori socialdemocratici si augurano che Merkel sia riconfermata.
E’ sempre dal trauma originario causato dall’agenda di Schröder che sono scaturiti a catena tutti gli altri errori e le ambiguità del partito. Come la pantomima di quest’estate messa in scena dal triumvirato Steinbrück, Gabriel e Frank-Walter Steinmeier, dati tutti e tre come possibili sfidanti di Merkel, anche se era abbastanza chiaro sin dall’inizio che, se questa era la rosa dei candidati, solo uno poteva veramente provarci. Far riscendere Steinmeier nella contesa, anche se molto gradito a parte della base, sarebbe stata un’operazione suicida, dopo il disastroso risultato che aveva portato a casa nel 2009 (il 23 per cento dei voti, il peggior risultato nella storia dell’Spd). Gabriel non è mai riuscito a conquistare il cuore degli elettori socialdemocratici. Restava soltanto Steinbrück. Inviso alla sinistra del partito, stimato dagli elettori che l’avevano apprezzato in veste di ministro delle Finanze della Grande coalizione, durante la crisi del 2008-2009. Quella messa in scena aveva finito però per dare l’impressione che l’unico rimasto a bordo fosse proprio lui, visto che Steinmeier e Gabriel, per un motivo o per l’altro, si erano già dileguati. Ma peggio ancora ha fatto il partito dopo. A parole tutti giuravano fedeltà a Steinbrück per puntare insieme alla vittoria. Nei fatti, molti si sono subito arrangiati con l’idea di diventare ancora una volta partner di minoranza di una Grande coalizione. E il segnale in questo senso più inquietante è arrivato proprio dal capo del partito, da Sigmar Gabriel, che ha rilasciato, la settimana scorsa, una lunga intervista al settimanale Zeit. Il contenuto non trattava però della sfida elettorale, né del programma. Gabriel parlava della sua difficile infanzia e adolescenza. Del padre rimasto nazista fino alla morte; del padre violento che alzava le mani sui figli e la moglie. La storia è toccante, ma perché Gabriel l’ha tirata fuori proprio ora? Viene il sospetto che ai suoi occhi fosse l’unico modo per contrastare l’assedio di Steinbrück. Eppure gli basterebbe ripartire dal suo libro, “Links neu denken” (Ripensare la sinistra), uscito nel 2008, per avere almeno una falsariga di documento programmatico per le elezioni.
Diversamente dai Verdi, che hanno usato l’abbandono di Joschka Fischer e gli anni sui banchi dell’opposizione per arrivare finalmente a un punto di incontro tra le due anime, quella pragmatica dei Realo e quella più radicale degli Sponti, l’Spd è rimasta paralizzata dalle sue contraddizioni. Una paralisi che domenica potrebbe fare l’ennesima vittima: Stephan Weil. Parte dell’Spd indicherebbe come responsabile della disfatta nella Bassa Sassonia Peer Steinbrück. E potrebbe anche chiederne la testa. Ma questa potrebbe davvero essere la mossa fatale. L’Spd si condannerebbe alla sconfitta ancor prima dell’inizio della contesa – proprio nell’anno in cui il più antico partito socialdemocratico d’Europa festeggia il suo centocinquantesimo anniversario.
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