Favoriti e svenuti nel Pdl

Il Cav. dice sì a tutti ma prepara sorprese choc nelle sue liste elettorali

Salvatore Merlo

Li ha fatti svenire tutti, i suoi uomini, i dignitari del partito riuniti a tarda sera attorno a un grande tavolo di Palazzo Grazioli: “Nelle regioni in bilico decido io, non voglio uomini che indossano il volto della sconfitta”. Insomma il Cavaliere ha domato ancora una volta i suoi tanti cavalli: in Sicilia, in Lombardia e nel Lazio i posti sicuri in lista li sceglie lui, e solo lui. Nessuno è garantito e così nel Pdl si diffonde la ben nota sindrome della tremarella, il panico pre-elettorale (esempio: i tre coordinatori siciliani, visto il risultato delle regionali e del comune di Palermo, non sono precisamente araldi di vittoria).

    Li ha fatti svenire tutti, i suoi uomini, i dignitari del partito riuniti a tarda sera attorno a un grande tavolo di Palazzo Grazioli: “Nelle regioni in bilico decido io, non voglio uomini che indossano il volto della sconfitta”. Insomma il Cavaliere ha domato ancora una volta i suoi tanti cavalli: in Sicilia, in Lombardia e nel Lazio i posti sicuri in lista li sceglie lui, e solo lui. Nessuno è garantito e così nel Pdl si diffonde la ben nota sindrome della tremarella, il panico pre-elettorale (esempio: i tre coordinatori siciliani, visto il risultato delle regionali e del comune di Palermo, non sono precisamente araldi di vittoria). Da qualche giorno, in un clima di incertezza psicotica, nel Pdl circolano leggende, nomi fantasma, tutti vogliono sapere chi saranno quei dieci “favoriti” (o favorite) che il Cavaliere intende mettere in lista, e solo all’ultimo rivelare al pubblico (anche Gianni Letta ha fatto una cernita nella cosiddetta società civile: quattro nomi). I “favoriti” mettono a rischio l’elezione di tanti dignitari, feudatari vecchi, antichi compagni di strada, padroncini e capi elettori: ciascuno di loro sa di dover scivolare giù almeno di un posto per fare largo alle facce nuove, e un posto fa la differenza tra l’essere dentro il Parlamento o l’esserne fuori. Così c’è pure chi cita il vangelo (Matteo, XX, 16) per spiegare un meccanismo che di evangelico ha poco: “Multi sunt vocati, pauci vero electi”, molti i chiamati, pochi gli eletti. Conta la posizione, l’assioma è il contrario dello spirito olimpico: nella elezioni l’importante non è partecipare, ma vincere.

    Da martedì notte, a via dell’Umiltà, sede del Pdl, si discute di deroghe, cioè di quanti – e di chi – potranno essere candidati malgrado il limite delle tre legislature. Comprensibilmente si fa a spintoni (persino Stefania Prestigiacomo, più volte ministro, vive il tormento dell’incertezza). Il centralino del Cavaliere smista decine di telefonate verso Arcore o Palazzo Grazioli: tra Natale, Capodanno e l’Epifania alcuni parlamentari sono riusciti a fargli gli auguri fino a sette volte. Per carattere, e cinismo ludico, il capo non dice di no a nessuno: ai questuanti che vanno a raccomandarsi l’anima, lui offre sempre rassicurazioni, ampi cenni di simpatia, candiderebbe tutti capolista. Poi però, quando rimane solo, alza la cornetta del telefono e raggiunge Denis Verdini, quello che inserisce i nomi nell’elenco. Al suo architetto di retrovia, il Cavaliere segnala qualche altro nome, gente nuova da mettere su, su, in cima alle liste, magari al posto di quello che pure – persino credendoci – lui stesso aveva rassicurato poco prima. Verdini non fa una piega, prende appunti con diligenza, e in questi giorni lo fa assieme al segretario Alfano, l’altro segregato di via dell’Umiltà, rinchiuso pure lui nella sede del partito assediata da pretendenti di ogni calibro.

    Il tormento personale di Verdini e di Alfano è che i pellegrini sono tanto dolci con il Cavaliere quanto minacciosi nei loro confronti – ricordate le parole di Marcello Dell’Utri ad Alfano? – e dunque, dopo una telefonata di Berlusconi, i due si scambiano delle battute che suonano così: “Ha chiamato il dottore… c’è un altro nome da aggiungere: Simonetta Matone, un magistrato, capolista in Lazio”; “Oddio, e adesso chi glielo dice a quelli?”. Dove “quelli” sono i futuri non eletti. Si decide sabato e domenica, in conclave ad Arcore. Il guaio è che se il Cavaliere dice sempre “sì”, a qualcuno tocca invece pronunciare la parola “no”, e ovviamente gli addetti al “no” hanno la certezza di attirarsi imprecazioni e durevoli inimicizie (l’avvocato Carlo Taormina, cui una candidatura fu promessa dal Cav. e mai fu concessa, da anni si esprime in termini non proprio eleganti quando si riferisce a Fabrizio Cicchitto o a Verdini).

    A Palazzo Grazioli la politica forse si semplifica un po’ troppo, assume caratteri da commedia dell’arte, ma certamente perde i vapori dell’alchimia, le cautele da farmacista, l’atmosfera da complotto di loggia: Berlusconi decide, gli altri eseguono. Tutto molto chiaro. E il potere sulle liste ha restituito al Cav. il controllo assoluto anche su quelli che, come Beppe Pisanu (lui bussa ma non gli aprono), per un po’ avevano tentato la via della scapigliatura, una fronda al limite della ribellione. L’altra sera, chez Berlusconi, presenti tutti, ma proprio tutti, da Lupi a Cosentino, da Schifani ad Alfano, il Cavaliere era favorevole a un’alleanza con Pannella e i Radicali. Cosa chiedono? “Riforma della giustizia, amnistia, diritti civili. Vogliono le unioni tra coppie gay”. Gli sguardi puntano sul Cavaliere, i cattolici tacciono in attesa di capire – prima di esprimersi – che cosa pensi il capo, padrone del loro destino elettorale. Lui sorride: “Non è impossibile”. Solo Gianni Letta, arrivato in ritardo, si è opposto.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.