Tesoro, c'è un problema tecnico nel Pd

Claudio Cerasa

“Il ministro dell’Economia dovrà essere politico, basta con i tecnici”. Le parole che Stefano Fassina consegna tra virgolette al Foglio ci consentono di aprire un capitolo significativo legato a una gustosa battaglia politica e culturale con cui nelle prossime settimane sarà destinato a confrontarsi il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. La battaglia riguarda una delle caselle più importanti che il leader del centrosinistra dovrà riempire nel caso in cui dovesse essere il vincitore delle prossime elezioni, e la casella naturalmente è quella relativa al prossimo ministro dell’Economia.

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    “Il ministro dell’Economia dovrà essere politico, basta con i tecnici”. Le parole che Stefano Fassina consegna tra virgolette al Foglio ci consentono di aprire un capitolo significativo legato a una gustosa battaglia politica e culturale con cui nelle prossime settimane sarà destinato a confrontarsi il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. La battaglia riguarda una delle caselle più importanti che il leader del centrosinistra dovrà riempire nel caso in cui dovesse essere il vincitore delle prossime elezioni, e la casella naturalmente è quella relativa al prossimo ministro dell’Economia.

    Di nomi in questi giorni ne sono girati tanti (da Fabrizio Saccomanni a Ignazio Visco, da Enrico Letta a Piercarlo Padoan) ma al di là della singola rosa di candidati che Bersani in queste ore sta studiando, ciò che ancora non è emerso con chiarezza nel dibattito sono le due spinte uguali e contrarie con cui si sta misurando il segretario del Pd nella ricerca del profilo giusto da scegliere per il ministero più pesante. Due spinte che rappresentano due scuole di pensiero completamente diverse con cui Bersani dovrà fare i conti per trovare una sintesi che non scontenti nessuno. Fino a oggi, in quasi tutte le sue esperienze di governo, il centrosinistra ha sempre scelto di mettere alla guida del Tesoro delle figure terze, indipendenti, tecniche e non riconducibili direttamente a un determinato partito – è andata così in entrambi i governi guidati da Romano Prodi (nel 1996, Carlo Azeglio Ciampi; nel 2006 Tommaso Padoa-Schioppa); ed è andata così anche in entrambi i governi guidati da Massimo D’Alema (che al Tesoro, tra il 1998 e il 2000, scelse prima Carlo Azeglio Ciampi e poi Giuliano Amato). Il ricorso a un profilo per così dire “tecnico” è sempre stato legato alla ricerca di un volto che fosse considerato autorevole in Europa e che fosse anche espressione di un filo diretto che nel passato il centrosinistra ha sempre voluto mantenere con la tecnocrazia delle grandi istituzioni bancarie, finanziarie e industriali pubbliche e private italiane (eh già, un tempo per il centrosinistra i tecnici erano un proprio personale patrimonio culturale, altro che Ppe…). Anche oggi nel centrosinistra il fronte più liberal-renziano del Pd, quello non a caso più legato all’Agenda Monti, sogna che Bersani possa tirare fuori dal cilindro un nuovo Ciampi o un nuovo Padoa-Schioppa: un nome cioè “terzo” in grado di non far perdere al centrosinistra quel profilo autorevole, rigoroso e rispettato che i progressisti si sono guadagnati durante gli anni alla guida del paese. Dall’altra parte però il segretario del Pd deve fare i conti con un altro significativo fronte di democratici, quelli più marcatamente contrari e alternativi all’agenda Monti, che ha sempre considerato la scelta dei tecnici alla guida dell’economia il simbolo di una certa e insostenibile limitazione della sovranità della sinistra e che per questo vede nella casella “ministero dell’Economia” un terreno importante da espugnare anche per dimostrare che il centrosinistra, qualora dovesse vincere le elezioni, non intende essere commissariato dai tecnocrati europei ma intende invece avere un suo significativo margine di manovra sui macro temi di carattere economico (fermo restando che naturalmente il prossimo governo, con i 45 miliardi di manovra annua previsti dal Fiscal Compact, avrà in buona parte le mani legate).

    “Si tratta di un piccolo scontro di civiltà – ammette Giorgio Tonini, senatore liberal del Pd – ed è comprensibile che Bersani sia di fronte a due scelte opposte: una scelta ‘tecnica’ darebbe la certezza che anche il prossimo governo di centrosinistra, nonostante il suo essere alternativo all’agenda Monti, non sia in discontinuità con quanto fatto da questo governo; una scelta marcatamente politica invece sarebbe il segnale che il prossimo esecutivo intende interrompere una certa tradizione europeista e prendere una rotta completamente diversa. Bersani sarà costretto a fare una sintesi, e chissà che magari – conclude Tonini – il profilo del perfetto ministro dell’Economia del governo Bersani non sia qualcuno che assomigli molto a uno come Enrico Letta”.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.