Così la sequoia Bersani ha trasformato il grigio nella sua arma anti cabaret

Marianna Rizzini

Essere grigio, quella è l’arma e non la zavorra, e infatti Pier Luigi Bersani non la dismette, l’arma che pare zavorra, e anzi ieri l’ha rilanciata. Chissà cosa gli diranno, ora che ha dichiarato solennemente che lui no, lui, Bersani, il “cabaret” elettorale e il “bar sport” proprio non li fa, gli sembrano “fuori dai binari” e non lo “soddisfano per niente”. Gli avevano detto “caro Bersani complimenti per la campagna immobile, scarpe con la para e telefoni silenziati” (Maurizio Crozza), “caro Bersani deve cominciare a insultare qualcuno” (Fiorello), “caro Bersani lei non dà mai un titolo, non detta l’agenda” (Massimo Gramellini).

    Essere grigio, quella è l’arma e non la zavorra, e infatti Pier Luigi Bersani non la dismette, l’arma che pare zavorra, e anzi ieri l’ha rilanciata. Chissà cosa gli diranno, ora che ha dichiarato solennemente che lui no, lui, Bersani, il “cabaret” elettorale e il “bar sport” proprio non li fa, gli sembrano “fuori dai binari” e non lo “soddisfano per niente”. Gli avevano detto “caro Bersani complimenti per la campagna immobile, scarpe con la para e telefoni silenziati” (Maurizio Crozza), “caro Bersani deve cominciare a insultare qualcuno” (Fiorello), “caro Bersani lei non dà mai un titolo, non detta l’agenda” (Massimo Gramellini). Gli avevano consigliato di dire qualcosa di grosso, buttare il gessato, buttarsi nella mischia, tornare almeno alle metafore, tra bambole pettinate, tacchini sul tetto e saggezza contadina un po’ fané, ma lui, Bersani, candidato premier del centrosinistra, ieri, all’apertura della campagna elettorale nei teatri e nelle piazze, ha fatto tutto il contrario, e ha parlato a una platea di giovani di “valori”, “onestà”, “riscossa morale”, roba “che ti insegnano tuo padre e tua madre”, roba che ti fa guardare sereno allo specchio, roba da dire dopo aver fissato “i cittadini negli occhi”. E aveva l’aria preoccupata ma fiduciosa del parroco alla messa, Bersani, e la bonomia triste di chi sa come è fatto il mondo: io sono io, tu sei tu e che cosa ci vuoi fare.

    Ha detto anche che “quello che non mette il nome sul simbolo è l’unico che non si è scelto da solo”, Bersani, bollando come “tumore” la “regressione” di un “sistema” in cui “le persone” (gli altri) invece fanno l’opposto, e ha innalzato la bandiera del tozzo di pane che hai già in tasca (“vi facciamo vedere quello che abbiam fatto”). “Così vinci male”, gli dicono, ma il segreto del successo – e del chiasso con sordina che piace a Bersani – è proprio quello: non fare mattane, non essere imprevedibile, stare fuori, di lato, al piano di sopra o di sotto, e andare nei programmi tv ma nascostamente, a spiegare infinite ragionevolezze mentre il Cav. e Santoro fanno lo show degli show a “Servizio Pubblico”. E poi ancora non raccogliere, non provocare, neanche abbozzare (ma senza strafare). Non promettere cammelli (“miracoli non se ne possono fare, qualcosa di serio sì”), non minacciare (“non voglio fare il Robespierre”), definirsi “la lepre da inseguire” ma poi mascherarsi da sequoia, inamovibile di fronte alle incursioni pirata del Cav. e al nuovo ritmo ballabile del premier, saggio come il nonno davanti alla marachella, più “preside” di Monti quando era soltanto il capo del governo tecnico: “La nota te la metto ma se fai il bravo posso sempre ricredermi”, dicono gli occhi non incattiviti ma neppure pacificati di Bersani.

    “…Eh ragassi, la situazione è quella lì”, dice il segretario del Pd quando il problema è tale da fargli moltiplicare i sospiri a mani giunte con cui inizia gli interventi a “Porta a Porta”, a “Ballarò” e a “Italia domanda”, la “casa del nemico” (Canale 5), come dicevano le presentazioni del programma, ma tanto, amici o nemici che siano, a Bersani deve sembrare sempre tutta una Via Crucis, una necessaria scocciatura, da affrontare senza nulla di bellicoso e nulla di gioioso, senza “bacchetta magica”, come preannunciava mesi fa, ma senza più maniche arrotolate, con la sopportazione rassegnata di chi, come ha detto ieri, “si carica l’alternativa alla destra”, e il lessico è lo specchio della sfacchinata interiore, vittoriosa quanto più incolore.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.