Strage nel nulla algerino
Ieri, nel settimo giorno delle operazioni militari della Francia contro la guerriglia in Mali, la crisi internazionale con centinaia di ostaggi nel sud dell’Algeria è precipitata. Dopo 24 ore di assedio, l’esercito algerino ha annunciato che “un’operazione militare” era “in corso per liberare gli ostaggi” chiusi all’interno di un impianto petrolifero della BP controllato con le armi da un gruppo estremista. Non si conosce il numero totale degli ostaggi stranieri. Non si conosce il numero degli ostaggi algerini. Né il numero dei rapitori, né il numero effettivo dei morti di ieri, oppure la dinamica dell’operazione e nemmeno dal sito sono arrivate immagini o video che non fossero vecchissimi e di repertorio.
Ieri, nel settimo giorno delle operazioni militari della Francia contro la guerriglia in Mali, la crisi internazionale con centinaia di ostaggi nel sud dell’Algeria è precipitata. Dopo 24 ore di assedio, l’esercito algerino ha annunciato che “un’operazione militare” era “in corso per liberare gli ostaggi” chiusi all’interno di un impianto petrolifero della BP controllato con le armi da un gruppo estremista. Non si conosce il numero totale degli ostaggi stranieri. Non si conosce il numero degli ostaggi algerini. Né il numero dei rapitori, né il numero effettivo dei morti di ieri, oppure la dinamica dell’operazione e nemmeno dal sito sono arrivate immagini o video che non fossero vecchissimi e di repertorio: il governo algerino ha imposto un blackout informativo rotto soltanto dall’agenzia di stato della Mauritania – che grazie ai suoi contatti con i gruppi estremisti parlava al telefono con uno dei rapitori, che però poi non ha più risposto – e dall’agenzia Reuters, che è riuscita a chiamare alcuni lavoratori algerini sul posto. L’esercito algerino e i sequestratori si sono confrontati nel nulla, un pezzo di deserto trasformato dal governo in una bolla da cui escono soltanto notizie contraddittorie. Al momento in cui questo giornale andava in stampa, anche il ministro dell’Informazione algerino, nella capitale, a 1.200 chilometri di distanza, rilasciava dichiarazioni vaghe: “Non abbiamo ancora il numero dei morti e comunque si tratta di un bilancio provvisorio”. Il vecchio presidente Abdelaziz Bouteflika non ha ancora rotto il suo silenzio.
Secondo una versione 35 ostaggi sono morti quando i rapitori hanno tentato di spostarli a bordo di veicoli, crivellati dagli elicotteri algerini – sarebbero stati uccisi anche 15 rapitori. Reuters ha un bilancio decisamente più basso, 8 ostaggi morti assieme a sei rapitori, compreso il capo dell’operazione, Abu Baraa – legato al comandante Mokthar Belmokhtar che già ieri era stato indicato come capo di questo gruppo terrorista. Secondo altre fonti, c’è stata un’azione coordinata, elicotteri dall’aria e truppe speciali algerine a terra – che hanno cercato senza successo di farsi strada dentro il labirinto di tubature industriali e alloggiamenti spartani che forma l’impianto. Fonti francesi dicono che alcuni ostaggi sono morti in manette quando i sequestratori che indossavano corpetti esplosivi si sono fatti saltare in aria. Seicento ostaggi algerini, secondo la tv di stato, sono stati “liberati”, ma sembra che in realtà non siano mai stati considerati ostaggi – ai sequestratori interessano soltanto gli stranieri, per il loro impatto diplomatico – e sarebbero loro, gli algerini, ad avere visto i corpi e a parlare con Reuters. Un ostaggio irlandese si è sicuramente messo in salvo.
Il rapporto con gli altri governi coinvolti è da verificare. Parigi, che ha cominciato anche le operazioni di terra in Mali, ha ufficialmente delegato la responsabilita della crisi ad Algeri, lavandosi le mani dell’esito, e ci sono persino rumor non confermati sul fatto che abbia appoggiato la soluzione di forza in mezzo al deserto di sabbia e di informazioni – “nessun negoziato con i terroristi, a qualunque prezzo”, ha sottolineato il ministro dell’Informazione algerino. Secondo la rete Cbs, che ha parlato con una fonte del Pentagono, un drone americano non armato ha sorvolato la zona per acquisire immagini video dell’operazione. In teoria l’Algeria ha vietato ai droni americani l’uso del suo spazio aereo, ma questa crisi ha cambiato in corsa le regole. E’ verosimile che il drone arrivasse da una base segreta – nel senso che non se ne conosce la posizione – che dalla fine del 2001 americani e francesi condividono nel sud della Libia, proprio per monitorare gli spostamenti dei gruppi estremisti. Il dipartimento di stato americano ha confermato di essere in contatto con il governo algerino, ma ha ammesso di non avere dati precisi. Il governo di Londra ha detto a metà pomeriggio di sapere che c’era un’operazione dell’esercito algerino in corso, ma anche che il primo ministro David Cameron è stato informato soltanto dopo che lo scontro è cominciato.
In ogni caso, l’attacco riuscito a un sito così importante che da solo produce il 18 per cento degli introiti da gas dell’Algeria, un organo vitale dell’economia del paese, apre una crisi gigantesca dentro l’apparato di sicurezza algerino. La piccola sicurezza giornaliera di In Amenas era gestita da una compagnia privata straniera, il gruppo inglese Stirling, che, in accordo con le leggi algerine, non aveva suoi uomini armati sul posto e aveva affidato il compito a una compagnia locale.
L’insieme di militari e servizi algerini che ora chiude dentro una bolla il sito dell’operazione militare e della strage di ostaggi ha fallito, pur messo sull’avviso che la guerra francese in Mali avrebbe scatenato rappresaglie. Si è lasciato cogliere scoperto da un lato della frontiera che da tempo promette problemi, quello con la Libia, ad appena 30 chilomentri dall’impianto BP.
Nel dicembre 2011, dopo le crisi con gli ostaggi internazionali, per guidare l’intelligence militare algerina è stato scelto un duro, il generale Bachir Tartag. Il clan presidenziale che circonda Bouteflika si era a lungo opposto alla nomina, perché Tartag ha fama di essere troppo violento anche per gli standard algerini – l’ha conquistata durante la guerra civile contro il Gia islamista che fece centomila morti negli anni Novanta – e si temeva che potesse nuocere all’immagine nazionale, ma alla fine aveva acconsentito: i problemi crescenti con i gruppi estremisti, attizzati dalla fine di Gheddafi in Libia, richiedono il pugno duro. Tartag, comanda il Direttorio della sicurezza interna (Dsi), il cuore dell’intelligence militare e secondo un diplomatico francese “chi comanda l’intelligence militare comanda tutto”. Il suo soprannome è “il Bombardiere” – un nomignolo su cui riflettere dopo che gli elicotteri algerini hanno sparato contro i veicoli con gli ostaggi.
*Nella foto forze speciali algerine in addestramento
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