L'élite dei non candidati

Claudio Cerasa

All’interno di una stuzzicante campagna elettorale in cui i candidati in Parlamento vengono spesso esibiti dai grandi leader con lo stesso stile del “celo celo manca manca” con cui durante la ricreazione solitamente i ragazzi si scambiano le figurine dei calciatori – “L’imprenditore?”. “Ce l’ho! Ce l’ho!”. “E il sindacalista?”. “Ce l’ho! Ce l’ho!”. “E il giornalista?”. “Ce l’ho! Ce l’ho!”. “E l’editorialista?”. “Ce l’ho! Ce l’ho!”. “E il magistrato?”. “Ce l’ho! Ce l’ho!”. “E lo scrittore impegnato?” Ce l’ho! Ce l’ho!” – si può dire senza paura di essere smentiti che i veri protagonisti delle elezioni, a conti fatti, rischiano di essere non i volti candidati dai partiti alla Camera e al Senato ma, più in generale, quei politici che potremmo circoscrivere nella morettiana categoria dei “candidati ombra”.

    “No veramente non... non mi va. Ho anche un mezzo appuntamento al bar con gli altri. Senti, ma che tipo di festa è? Non è che alle dieci state tutti a ballare i girotondi ed io sto buttato in un angolo... no. Ah no, se si balla non vengo. No, allora non vengo. Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce. Voi mi fate ‘Michele vieni di là con noi, dai’ ed io ‘andate, andate, vi raggiungo dopo’. Vengo, ci vediamo là. No, non mi va, non vengo”.
        Nanni Moretti, “Ecce Bombo”, 1978


    All’interno di una stuzzicante campagna elettorale in cui i candidati in Parlamento vengono spesso esibiti dai grandi leader con lo stesso stile del “celo celo manca manca” con cui durante la ricreazione solitamente i ragazzi si scambiano le figurine dei calciatori – “L’imprenditore?”. “Ce l’ho! Ce l’ho!”. “E il sindacalista?”. “Ce l’ho! Ce l’ho!”. “E il giornalista?”. “Ce l’ho! Ce l’ho!”. “E l’editorialista?”. “Ce l’ho! Ce l’ho!”. “E il magistrato?”. “Ce l’ho! Ce l’ho!”. “E lo scrittore impegnato?” Ce l’ho! Ce l’ho!” – si può dire senza paura di essere smentiti che i veri protagonisti delle elezioni, a conti fatti, rischiano di essere non i volti candidati dai partiti alla Camera e al Senato ma, più in generale, quei politici che potremmo circoscrivere nella morettiana categoria dei “candidati ombra”: cioè quegli statisti e quei mezzi statisti che dopo lunghe, drammatiche e sofferte valutazioni, hanno infine deciso che li si nota molto di più non se vengono e se ne stanno in disparte ma più semplicemente se in Parlamento non ci vengono per niente.
    L’elenco dei “non candidati” che alle prossime elezioni, per mille ragioni, non si candideranno in Parlamento ma cercheranno in qualche modo di pesare anche più dei colleghi e non colleghi che invece in Parlamento si candideranno è lungo, variegato ed eterogeneo, ed è un elenco che, a guardar bene, accomuna politici e non politici praticamente di ogni schieramento. Si potrebbe cominciare con lo strano caso dei candidati non candidati a Palazzo Chigi, ovvero di quella curiosa posizione in cui si trovano, accomunati da un insolito destino, tanto Silvio Berlusconi quanto Mario Monti, Roberto Maroni e, guarda un po’, persino Beppe Grillo.

    Il primo (Berlusconi) è alla guida di una coalizione in cui formalmente risulta candidato (pardon, capo della coalizione) ma di cui non può rivendicare la leadership in quanto il suo principale alleato (la Lega) ha posto come condizione irrinunciabile dell’alleanza la sua non candidatura, e quindi, di fatto, i due alleati (Lega e Pdl) andranno alle urne sostenendo un candidato (Angelino Alfano) che però, dannazione, non risultando nei simboli di nessuno dei due partiti, alla fine dei conti può essere tranquillamente racchiuso, anche lui, nella sempre più affollata cerchia politica degli shadow candidati. Il secondo (Monti) – pur non essendo candidato alle elezioni (è già senatore a vita, you know) – è alla guida di una coalizione i cui principali alleati (Luca Cordero di Montezemolo e Andrea Riccardi) non sono candidati, neanche a dirlo, e in cui Monti stesso, pur risultando candidato alla guida della coalizione, non rivendica del tutto la guida formale della coalizione, perché – come spesso ripete il Prof. – “io non sono schierato con nessuno, sono gli altri a essere schierati con me”. Il terzo (Maroni) appoggia invece una coalizione che è senza leader (perché, lo sapete, è il presidente della Repubblica che sceglie il primo ministro…) ma che tecnicamente è guidata dai due leader che compaiono sul simbolo del suo partito: da un lato Roberto Maroni (che alle elezioni non è candidato, anche lui, essendo in gara per la regione in Lombardia) e dall’altro Giulio Tremonti (che secondo Maroni, va da sé, è il vero candidato premier della coalizione, pur essendo, come è noto, candidato solo in Parlamento). Il quarto della lista (Grillo) – pur avendo promesso infinite volte di non avere alcuna intenzione di candidarsi come capo della coalizione (“Ci sarà un nostro portavoce, io non ne voglio sapere niente”) – oggi si ritrova in una situazione comica, e d’altronde come altro poteva essere, e in fondo non troppo diversa da quella di Berlusconi: un non candidato in Parlamento che si candida come capo della coalizione pur non essendo in nessun modo il candidato premier della sua stessa coalizione. Perché, poi, sì, il punto è sempre quello: mi si nota di più se non mi candido proprio oppure se dico che mi candido e poi però me ne sto così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce, e io vi dico andate, andate, vi raggiungo dopo? Chissà.

    La lista della nuova vera grande élite del mondo della politica italiana – quella dei candidati fantasma che a loro modo, e pur non potendolo confessare, si sentono però molto più ganzi e molto più gagliardi di quei poveri politicanti costretti, tsé, a candidarsi per guadagnarsi un misero posticino al sole – non si limita però all’elenco dei quattro candidati non candidati premier ma si estende anche a un numero impressionante di non candidati che in queste elezioni hanno fatto molto più rumore dei semplici candidati. Un elenco così mastodontico e imponente (un primo elenco era stato fatto a ottobre sul Corriere della Sera da Aldo Cazzullo) da aver creato negli ultimi tempi anche alcuni piccoli problemi negli uffici dei severissimi componenti dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che di fronte alle numerose e interminabili richieste di chiarimento arrivate dalle redazioni e dalle produzioni dei talk show televisivi che seguono con i politici in studio l’evolversi della campagna elettorale – “Eccellenze, scusateci, ma come ci dobbiamo comportare con i non candidati che invitiamo in studio? Come funziona con la par condicio? Ci sono dei limiti? Ci sono degli obblighi? Ci sono delle norme? Come facciamo? Vi prego, non capiamo, aiutataci voi…” – e di fronte all’invasione di questi nuovi ultracorpi della politica si sono sentiti in dovere di approvare improvvisamente una modifica al regolamento della par condicio: “I direttori responsabili dei programmi di informazione nonché i loro conduttori e registi – ha reso noto l’Agcom lo scorso 7 gennaio – sono tenuti ad un comportamento corretto ed imparziale nella gestione del programma così da non esercitare, neanche in forma surrettizia, influenze sulle libere scelte degli elettori. Essi devono assicurare in maniera particolarmente rigorosa condizioni oggettive di parità di trattamento ed osservare ogni cautela volta ad evitare che si determinino, anche indirettamente, situazioni di vantaggio o svantaggio per determinate forze politiche, considerando non solo le presenze e le posizioni dei candidati, ma anche le posizioni di contenuto politico espresse da soggetti e persone non direttamente partecipanti alla competizione elettorale”.
    “Soggetti e persone non direttamente partecipanti alla competizione elettorale”, già.

    A sinistra, in questo senso, il “non candidato” più popolare è senz’altro Matteo Renzi, che, come si sa, ha scelto di non candidarsi né per il Parlamento né per un posto al governo (anche se ieri, intervistato da Repubblica, sembrava quasi dispiaciuto di non aver ricevuto da Bersani l’offerta di guidare insieme il tandem del centrosinistra) e ha deciso di restare a Firenze forte della convinzione che una sua marcata distanza da Roma possa rappresentare per lui anche plasticamente una buona occasione per costruirsi in futuro un profilo da candidato alla presidenza del Consiglio più forte e più autorevole e più vincente rispetto a quello avuto durante le ultime le primarie. Accanto a Renzi, poi, oltre al lunghissimo elenco di renziani che dovevano essere candidati e che clamorosamente non lo sono stati (da Roberto Reggi, braccio destro segato di Renzi, ad Alessandro Baricco, passando per Giuliano Da Empoli e arrivando fino a Oscar Farinetti), ci sono naturalmente i due più famosi non candidati del Pd: quelli che i più maliziosi considerano “autorottamati” – perfidi! – e quelli che i più devoti invece considerano semplicemente autori di un meraviglioso, stoico e romantico “beau geste”. Nomi come Walter Veltroni e nomi come Massimo D’Alema. Nomi che – in questo ruolo di non candidati a nulla trattati però dai giornali con la stessa riverenza con cui vengono coccolati quegli uomini che, se solo volessero, potrebbero ricoprire a scelta un ruolo di grande responsabilità compreso in una forbice che va dal Papato al Quirinale – sembra ci stiano cominciando a prendere gusto. Lo ha ammesso qualche giorno fa proprio Massimo D’Alema, che con un sorriso dei suoi ha riconosciuto che “questa situazione da non candidato è davvero divertente, e andare in giro e fare campagna elettorale per gli altri in fondo non è così male”.

    Se molti di questi nomi che avete letto possono tranquillamente rientrare nella sottocategoria dei non candidati che scelgono di fare un passo di lato per tentare di sottrarsi alla più spietata delle equazioni imposte al nostro paese dalla famigerata ondata dell’anti politica (Parlamento uguale Casta, Casta uguale degrado e quindi non Parlamento uguale non Casta e non Casta uguale nuova verginità), dall’altro lato, sempre a sinistra, ci sono anche altri casi di non candidati rimasti fuori dal Parlamento non per propria scelta, stavolta, ma per volontà altrui. Casi che hanno fatto discutere come quelli dei politici appartenenti alla corrente dei così detti “montiani del Pd” a cui – un po’ per vendetta del segretario, un po’ per manifesta lontananza dalla linea del Pd e un po’ per eccessiva fiducia riposta nelle capacità di contrattazione di Renzi – il leader del centrosinistra non ha offerto un posto in Parlamento (da Stefano Ceccanti, a Enrico Morando, da Umberto Ranieri a Marco Follini), lasciando di fatto questi politici in una situazione paradossale: di chi per mesi ha suggerito al proprio partito di seguire l’agenda di governo del non candidato Monti (“ché lui sì che è di sinistra!”) e di chi oggi all’improvviso si ritrova con un ex non candidato come Monti che in campagna elettorale porta la stessa agenda che un pezzo di Pd vedeva come il perfetto programma di governo del centrosinistra e che ora invece viene sponsorizzata soprattutto dai grandi leader del centrodestra. E chissà dunque che non sia anche per questo che i democratici che sognavano a Palazzo Chigi non il candidato del loro partito ma il non candidato Monti siano stati messi in un angolo dal (vero) candidato del centrosinistra.
    “E’ evidente – spiega al Foglio lo storico Ernesto Galli della Loggia – che qui siamo di fronte a un fenomeno prodotto dal grande mito del rinnovamento della classe politica ed è ovvio che i politici che hanno scelto di non candidarsi lo fanno anche con l’idea che una loro distanza dal Parlamento possa corrispondere a una sorta di immersione purificatrice nelle acque del Giordano. Sinceramente, poi, non ricordo di aver mai visto nella storia recente un fenomeno di non candidature così massiccio come quello di fronte al quale ci ritroviamo oggi. Circostanze simili, forse, mutatis mutandis, le abbiamo avute solo in altre due occasioni: in Francia, nel 1816, quando i deputati della Convezione che avevano votato la condanna a morte di Luigi XVI vennero mandati in esilio dalla ‘Chambre introuvable’, con l’accusa di regicidio; e in Italia, invece, nel 1946, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando l’alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo fece piazza pulita di tutti i senatori che avevano servito Benito Mussolini. In entrambi i casi, i provvedimenti di epurazione vennero impugnati perché era in corso un cambio di regime e perché si volevano punire i politici che avevano avuto una complicità con il precedente corso. Questa volta però il processo di purificazione coatto con cui si ritrova a che fare il nostro Parlamento vive in un paradosso non indifferente: viene escluso e si autoesclude chi in qualche modo faceva parte di un vecchio regime con l’illusione che il nuovo regime sia diverso da quello antico, mentre è abbastanza ovvio che invece non sarà affatto così”.

    A sinistra, abbiamo detto. Ma anche al centro, se è possibile, sul fronte dei non candidati, la situazione risulta essere persino più curiosa rispetto a quella vissuta da Bersani e compagnia. Oltre alla circostanza del candidato premier che non si capisce bene quanto sia candidato (“Io veramente non sono schierato con nessuno”, ha ripetuto Monti lunedì sera a SkyTg24), ci sono molti altri significativi passi indietro che oggettivamente sembrano a metà tra il beau geste e la grande terreur, tra il bel gesto e la paura di farsela sotto. Nell’ambito del beau geste possono essere inseriti a vario titolo Francesco Rutelli (che, come tanti, avrà pensato che lo si nota di più se racconta in giro che aveva un mezzo appuntamento al bar con gli altri); Nicola Rossi (magnifico caso di candidato a sua insaputa, considerando che Rossi, ventiquattro ore dopo essersi ritrovato candidato nella lista Monti, ha precisato, con tono sbalordito, che non aveva mai dato la sua disponibilità alla candidatura); Andrea De Giorgi (il direttore di Gay.it che ha rinunciato alla candidatura per via di vecchie foto hard pubblicate da Libero e per via delle sue attività imprenditoriali, come la gestione di alcuni siti internet di escort gay e incontri hot, risultate infine non in perfetta sintonia con il profilo sobrio del presidente del Consiglio); e Corrado Passera (il tecnico che per più tempo è stato candidato a qualsiasi cosa e che proprio a causa di un contestato criterio di selezione delle candidature ha scelto di non candidarsi e di seguire un percorso simile a quello di Renzi: restare lontano dal Parlamento e dal governo e tentare un domani di trasformare in un punto a proprio favore il suo gesto piuttosto clamoroso).

    Nell’ambito invece del passo indietro un po’ sospetto, se si può dire così, possono essere inseriti quelli che dovevano essere, anche a livello personale, i due grandi candidati della lista guidata da Monti: da un lato Luca Cordero di Montezemolo – che chissà se ha scelto di non candidarsi per contribuire al rinnovamento della lista Monti o per paura o di un flop o di una materializzazione in campagna elettorale di un qualche scheletro nel proprio armadio – e dall’altro di Andrea Riccardi: ovvero il capo di Sant’Egidio che dopo aver contribuito a convincere Monti a scendere in campo e a rifiutare il ruolo da grande riserva della Repubblica (e dopo aver promesso più volte di essere disposto a spendersi in prima persona, e a metterci la faccia, per tentare di realizzare il sogno di un grande centro), si è improvvisamente e misteriosamente smaterializzato. Puf. Il tutto più o meno con la stessa velocità e rapidità con cui altri due grandi candidati-non-candidati del centro hanno prima illuso i Moderati di essere pronti a buttarsi nella mischia salvo poi farsi due conti e rimanere gagliardamente e orgogliosamente così, un po’ a bordo campo. Casi come Raffaele Bonanni, leader della Cisl, e casi, naturalmente, come quello di Emma Marcegaglia, ex presidente di Confindustria: entrambi “non candidati” con Monti dopo essere stati a lungo tempo candidati praticamente a quasi tutte le cariche disponibili in Italia – più o meno, anche loro, dal papato al Quirinale.

    Per quanto riguarda il centrodestra, invece, la lista dei non candidati è meno lunga rispetto a quella del centro e del centrosinistra. Il Pdl e la Lega sono forse gli unici che in questa campagna elettorale sono riusciti a far discutere più per le candidature che per le non candidature (Cosentino, Dell’Utri, Scajola, eccetera) e i politici dei due partiti sono quelli che più degli altri hanno capito che, almeno per questa volta, li si nota molto di più se vengono e se ne stanno in disparte piuttosto che se non vengono per niente (ché poi magari se non vengono per niente non se ne accorge nessuno, sai che figura). Ma dall’altra parte la situazione anche qui un po’ paradossale in cui si ritrova il centrodestra, combinata con la ricerca disperata portata avanti per mesi, mesi e mesi dai vertici del Pdl di cercare un vero e nuovo candidato che potesse essere schierato in campo al posto del candidato-non-candidato Silvio Berlusconi o del non-candidato-candidato Angelino Alfano, dimostra che anche nel centrodestra la figura dello shadow candidato, insomma, rappresenta una questione più significativa di quanto si possa credere.

    “La presenza massiccia di politici che per varie ragioni scelgono di non candidarsi – spiega Giovanni Orsina, docente di Scienze Politiche alla Luiss a Roma – dipende da alcune ragioni precise che sarebbe sciocco sottovalutare. Il vero punto è che a forza di parlare di ‘casta’ la vocazione alla politica è diventata meno seducente di un tempo, ed è vero che magari nella prossima legislatura ci saranno più o meno la metà dei parlamentari presenti in questa ma è anche vero che i così detti ‘rinnovatori’ hanno tutta l’aria di essere rinnovatori solo a livello anagrafico: nuove facce, sì, ma tutte figlie di una vecchia e precisa e antica concezione della politica”.

    Motivo? Secondo Orsina tutto nasce dalla solita battaglia anti casta. “La battaglia anti casta aveva come obiettivo primario quello di promuovere un grande ricambio della classe dirigente e favorire l’ascesa, pardon, la salita in politica di una nuova società civile. Ma la raffigurazione del mondo della casta come un luogo contaminato dai peggiori vizi del mondo ha creato una serie di conseguenze impreviste. Non solo ha costretto chi volesse rifarsi una verginità a fare un passo indietro dal mondo della politica ma ha anche disincentivato la società civile a fare quello che doveva fare: scendere in politica, appunto. Si spiega così la ragione per cui molti grandi uomini e donne di centro alla fine hanno scelto di fare un passo indietro dall’esperienza Monti. Si spiega così la ragione per cui alla fine il centrodestra non è riuscito a pescare un candidato che potesse essere all’altezza di Berlusconi. Si spiega così la ragione per cui nel Pd i leader più popolari sono quelli che vengono fuori dal Parlamento – pensate per esempio al caso Stefano Fassina, che arriverà alla Camera forte anche del suo non essere stato onorevole in questa legislatura. E in fondo – conclude Orsina – si spiega così anche la ragione per cui il centrosinistra ha portato avanti un rinnovamento diciamo un po’ cosmetico, un po’ di facciata. E in questo senso mi chiedo che faccia staranno facendo tutti quegli osservatori e commentatori accigliati che a forza di dire che la politica è brutta, sporca e cattiva speravano di ritrovarsi di fronte a una grande ondata di società civile impegnata in politica e che invece, guarda un po’, nel prossimo Parlamento saranno destinati a fare i conti con una grande ondata di nuove facce che, dannazione, rischiano di assomigliare in modo clamoroso a quelle dei vecchi e spernacchiati professionisti della politica. Un po’ buffo direi, non trovate?”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.