L'effetto masochista delle seriose sfumature di grigio cui s'affida il Pd
Sul sito di “Bersani 2013”, una preoccupazione s’annota (nei pressi dell’annuncio dell’iniziativa “La prima volta”, dedicata ai diciottenni che inaugurano l’urna gratificando Pier Luigi: però, detta così…). E la preoccupazione annotata è la seguente: che la campagna elettorale non sia fatta “di cabaret”. Giusto. Però sbagliato. E’ come rivedere quell’antico manifesto di Prodi nel 2006: “La serietà al governo”. Giusto. Pure lì, però (a memoria, a conti fatti), sbagliato.
Sul sito di “Bersani 2013”, una preoccupazione s’annota (nei pressi dell’annuncio dell’iniziativa “La prima volta”, dedicata ai diciottenni che inaugurano l’urna gratificando Pier Luigi: però, detta così…). E la preoccupazione annotata è la seguente: che la campagna elettorale non sia fatta “di cabaret”. Giusto. Però sbagliato. E’ come rivedere quell’antico manifesto di Prodi nel 2006: “La serietà al governo”. Giusto. Pure lì, però (a memoria, a conti fatti), sbagliato. Adesso Bersani ha scelto, e ha fatto affiggere lungo le strade di tutta la penisola, uno slogan, “L’Italia giusta”, e una curiosissima foto, con curiosissimo sguardo – che non evoca affatto quello, felicissimo, di Crozza quando lo imita, piuttosto quello di Salvo Randone quando faceva il Generale dei gesuiti in qualche bel film di Luigi Magni: sorriso ingrugnito e le mani quasi raccolte in preghiera – se non il cilicio, almeno una posta di rosario, altro che rassicurante pompa di benzina a Bettole. (Tanta deve essere stata l’impressione generata da quella foto, che proprio Crozza ne ha fatto insieme elogio (perfido) ed epitaffio (inevitabile): “Campagna perfetta e immobile. Non dice niente, niente, niente…”. Ora, non che Bersani non abbia ragione: i giorni son grigi, grigia la prospettiva, l’umore in giro è grigio. Però, già che di grigio ce n’è tanto, aggiungerne altro non serve.
Invece, tutte e tre le campagne più importanti del centrosinistra (quella di Bersani per Palazzo Chigi, quella di Zingaretti nel Lazio, quella di Ambrosoli in Lombardia) hanno, visivamente e quasi filologicamente, scelto questa tonalità ombrosa tra il pastello e la nebbia mattutina – “una nebbia che sembra / di essere dentro a un bicchiere / di acqua e di anice eh già”, come nella canzone di Paolo Conte – magari opportuna, certo non necessaria sottolineatura. Così da non far intendere, esattamente, al proprio elettorato, che si va davvero verso il meglio (“Italia giusta”) e non verso una possibile cremazione. E’ sempre buona necessità, a sinistra, apparire seri – con la buona probabilità di risultare inutilmente seriosi. Anche e soprattutto perché si è verificato un fenomeno, negli ultimi giorni: il ritorno del Cav. al meglio – pur (a generalizzato giudizio) di ogni speranza orbo, non c’è serata o mattinata o pomeriggio in cui non metta in scena una trovata, non piazzi un gesto fulminante (quello dell’ammanettato di fronte a Ingroia era un capolavoro, quasi come lo spolvero della sedia di Travaglio), non si faccia scappare una battuta inopportuna e felice. E’ lo show al meglio: avendo scoperto il piacere di frequentare la casa del nemico, anziché starsene ibernato nel salotto dorato e claustrofobico di Palazzo Grazioli, con improbabili librerie e servili telecamere, il Cav. sta sfoggiando un’anima pop da antologia, da “grande mimo”. E non sono i suoi a lodarlo – sono gli avversari a riconoscerlo, da Grillo (“Santoro ha fatto l’ospite in un programma di Berlusconi”) a Repubblica (“si può ipotizzare che ancora disponga di un potere ipnotico”) all’antipatizzante Marco Belpoliti sul Fatto (“è il perfetto Vitellone felliniano, goliardico, infantile. Soprattutto simpatico. E sa una cosa? Funziona”).
Come scrive Pigi Battista sul Corriere, “anche i suoi acerrimi nemici diventano la spalla ideale delle sue gag”. E se persino Ingroia ha cercato di arruolare Dylan Dog (oddio, alle primarie del Pd quelli si sono presentati come i Fantastici Quattro…) e Grillo promette lo Tsunami Tour (da divertirsi o da toccarsi?) e Monti azzarda qualche battuta di spirito (gelida, bancaria, ma è ancora in rodaggio), possono Bersani e i suoi stare mestamente tra foto in bianco e nero (Zingaretti, che ha magnifica pelata come il noto fratello commissario, con certi riccioli giovanili da piangerne per un mese la dipartita), annunci di pranzi domenicali con la mamma, e – tra “el nost Milan” vigile e democratica – Ambrosoli ha disseminato il suo sito, accanto alla faccia perbene e (troppo) seria, di slogan raccolti in un cerchio color giallino subito evocativo di una pasticca per abituali urgenze? Ecco: il cabaret del Cav. no, ma pure farsi appena un po’ pop non rende meno seri, ma di certo meno (noiosamente) seriosi.
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