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Merkel non fa la guerra
Ma dov’è la Germania?, chiede irritato l’ex segretario di stato ai Rapporti europei del governo di François Fillon, quel Pierre Lellouche che dall’Assemblea nazionale di Parigi lamenta come la Francia in Mali sia stata lasciata sola a combattere contro gli islamisti filoqaidisti. La campagna d’Africa dell’Armée è iniziata da dieci giorni, ma da Berlino – per ora – sono arrivati soltanto due aerei di appoggio e l’impegno a fornire, nel quadro di una missione dell’Unione europea, un numero imprecisato di addestratori per l’esercito regolare di Bamako. Di più, per ora, non se ne parla.
Ma dov’è la Germania?, chiede irritato l’ex segretario di stato ai Rapporti europei del governo di François Fillon, quel Pierre Lellouche che dall’Assemblea nazionale di Parigi lamenta come la Francia in Mali sia stata lasciata sola a combattere contro gli islamisti filoqaidisti. La campagna d’Africa dell’Armée è iniziata da dieci giorni, ma da Berlino – per ora – sono arrivati soltanto due aerei di appoggio e l’impegno a fornire, nel quadro di una missione dell’Unione europea, un numero imprecisato di addestratori per l’esercito regolare di Bamako. Di più, per ora, non se ne parla. Il ministro degli Esteri, Guido Westerwelle, tranquillizza chi in patria si mostra allarmato dallo scarso interesse tedesco per la guerra iniziata nel Sahel da François Hollande: “Noi siamo fermamente impegnati nella lotta al terrorismo”, ha detto in un’intervista pubblicata domenica sulla Bild am Sonntag. Eppure, a Parigi non bastano le parole generiche del miglior alleato sul continente, servono i fatti: “Si parla tanto di amicizia franco-tedesca, ma in realtà ogni volta che abbiamo bisogno della Germania sui grandi temi di politica estera, non la troviamo”, continua Lellouche, capofila del vasto e trasversale schieramento francese che lamenta l’abbandono da parte degli alleati, europei e d’oltreoceano.
Jean-François Copé, presidente dell’Ump, pur premettendo che il suo partito sostiene l’intervento – anche se “l’estremo isolamento diplomatico della Francia è palese” – si domanda fino a quando sarà possibile sobbarcarsi il peso della missione senza che gli Stati Uniti e l’Europa diano una mano. Hollande si aspettava di più proprio da Angela Merkel, sostenere finanziariamente le truppe africane non è sufficiente: bisogna andare sul terreno a combattere ora, per gli addestratori ci sarà tempo. Ma la Germania tentenna, non si sbilancia. La cancelliera tace, manda avanti Westerwelle, anche quando si tratta di dire no al presidente della Costa d’Avorio, Alassane Ouattara, andato appositamente a Berlino per chiedere “un ruolo più importante” per i tedeschi, “anche con truppe sul campo”.
Eppure, i tedeschi il Mali lo conoscono bene, ha scritto domenica lo Spiegel, e proprio da ciò deriverebbe l’imbarazzo della Cancelleria nel decidere se e come partecipare alla guerra maliana. Tutto risale al febbraio e marzo del 2003, quando quattordici turisti europei (tra cui nove tedeschi) furono rapiti nel Sahara da un gruppo integralista algerino, i salafiti per la predicazione e il combattimento (Gspc), legati ad al Qaida. Mesi di trattative infruttuose e di appelli da parte delle autorità tedesche non portarono a nulla, così i servizi segreti di Berlino si affidarono a Iyad Ag Ghali. Tuareg impegnato per la liberazione dell’Azawad, sembrava la persona giusta per trattare la liberazione degli ostaggi. “Sì, era un nostro uomo”, confermano allo Spiegel ex funzionari di spicco del governo tedesco, e grazie alla mediazione di Ag Ghali i turisti tornarono a casa sull’Airbus della Bundeswehr – l’esercito tedesco – su cui viaggiava anche l’allora viceministro degli Esteri, Jürgen Chrobog. Con lui, spiega il magazine tedesco, anche cinque milioni di euro per il riscatto. Soldi finiti nelle mani di Ag Ghali, incaricato di portarli di persona ai salafiti algerini.
Nel frattempo, quello che era l’uomo di fiducia dei servizi di Berlino a Bamako è diventato il leader di Ansar Eddine, il principale gruppo terrorista attivo nel Mali settentrionale: 1.500 combattenti pronti a tutto pur di vincere la battaglia contro le truppe regolari. Ecco perché Merkel si muove con estrema cautela e non ama l’idea di andare a sfidare sul terreno con uomini e mezzi quello che fu il proprio referente privilegiato in quella regione (lo era anche di altre potenze mondiali, a dirla tutta). “E’ vero che la Germania ha riconosciuto che il rischio di una diffusione dell’integralismo in Mali può rappresentare un pericolo anche per Berlino”, dice al Foglio Svenjia Sinjen, esperta di strategie militari e di difesa della Dgap, uno tra i maggiori think tank di politica estera tedeschi. “Tuttavia – aggiunge – non credo che la cancelliera interverrà attivamente, mandando soldati in Africa. Innanzitutto perché dal Dopoguerra in poi, la Germania ha sempre mostrato reticenza nell’usare la forza militare. L’Afghanistan è stata un’eccezione, un passo che sembrava poter indicare una svolta nella politica di difesa”. Poi però c’è stato l’Iraq, e Berlino (assieme all’allora inseparabile alleato francese) non partecipò alla guerra voluta da George W. Bush per rovesciare Saddam Hussein. “Quest’anno si terranno anche le elezioni politiche, si è appena votato in Bassa Sassonia e si voterà in settembre in Baviera. Non esiste al mondo alcun governo che manderebbe in guerra propri uomini durante la campagna elettorale”.
Il fatto è, spiega Sinjen, che “sul piano della politica di difesa la Germania è un nano: vuole giocare un ruolo completamente sproporzionato al suo potere finanziario ed economico. E’ già tanto che abbia assicurato due aerei di rifornimento, anche perché altrimenti i festeggiamenti per i cinquant’anni della firma del trattato dell’Eliseo sarebbero finiti assai male”. Fino a oggi, Parigi non ha avanzato alcuna richiesta specifica agli alleati, “ma quando lo farà, soprattutto se si troverà in difficoltà sul terreno, sarà interessante vedere come si comporterà Berlino”. Quel giorno si capirà se la cautela della prima potenza europea metterà a repentaglio l’asse di ferro del continente.
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