Dal “Paroliere” al fenomeno “Ruzzle”, come rimorchiare usando le parole

Michele Boroni

Da qualche settimana sui giornali e nelle chiacchiere alla macchinetta del caffè risuonano, come tante piccole madeleine, nomi e parole di un recente passato: Lea Pericoli, Paroliamo, Scarabeo, Marco Dané, il “Paroliere” e altri nomi di giochi contenuti nella “Settimana enigmistica”. Servono a spiegare, a chi non è stato ancora contaminato, le semplici regole di “Ruzzle”, il gioco più virale del momento. “Ruzzle” è un’applicazione per smartphone e tablet.

    Da qualche settimana sui giornali e nelle chiacchiere alla macchinetta del caffè risuonano, come tante piccole madeleine, nomi e parole di un recente passato: Lea Pericoli, Paroliamo, Scarabeo, Marco Dané, il “Paroliere” e altri nomi di giochi contenuti nella “Settimana enigmistica”. Servono a spiegare, a chi non è stato ancora contaminato, le semplici regole di “Ruzzle”, il gioco più virale del momento.
    “Ruzzle” è un’applicazione per smartphone e tablet. E’ un divertente rompicapo, il cui obiettivo consiste nel comporre il maggior numero di parole possibili collegando con il dito le sedici lettere nella scacchiera che compare sullo schermo touch, entro un tempo massimo di due minuti su tre turni. Un gioco talmente semplice e coinvolgente da diffondersi a macchia d’olio in tutto il mondo: 18 milioni di persone hanno scaricato l’applicazione in oltre cento paesi, e l’Italia è uno di quelli con la maggiore penetrazione.
    C’è chi per spiegare questo clamoroso fenomeno ha evocato una rinnovata scoperta e passione per le parole, per l’italiano scritto, perché in fondo siamo sempre stati un “popolo di enigmisti”. Ecco, non credete a loro. O meglio, non è questo in realtà il motivo scatenante del successo, bensì la costruzione narrativa e sociale del gioco.

    Perché “Ruzzle” è un social game. Tecnicamente è un “asynchronous multiplayer games”, un gioco dove gareggiano più persone ma in modo asincrono, una sorta di versione molto evoluta dei vecchi giochi per corrispondenza. Si gioca da soli, ma quando il giocatore ha completato il proprio turno, lancia la sfida all’avversario, che il più delle volte è un amico nella vita reale oppure su Facebook o Twitter. E non c’è cosa più bella di sfidare e vincere contro i propri amici. La competizione è decisamente uno dei plus del gioco, compresa tutta quella deriva del dileggio verso gli sconfitti: ci sono gli esibizionisti che twittano o postano su Facebook le vittorie e le schermate con i punteggi, oppure si scatena un’animata discussione nella chat interna al gioco. Anche il momento dell’attesa in cui l’avversario deve concludere il proprio turno diventa un elemento drammaturgico importante nell’economia del gioco. Poi, dopo l’eventuale vittoria o sconfitta contro l’avversario, c’è anche spazio per l’umiliazione: alla fine del gioco, il sistema mostra al giocatore le centinaia di altre parole che non è riuscito a comporre: “Hai trovato 25 delle 354 parole possibili” (idiota!).
    Ruzzle ha successo perché è un gioco breve e funziona in mobilità: ideale quando si aspetta il treno o il tram, oppure sul divano quando ci sono le pause pubblicitari in tv. Poco importa se da qualche tempo le persone perdono il treno o non parlano più con il proprio partner. Ci sono fenomeni che hanno i loro costi sociali nella vita reale. Per questo non condividiamo in pieno l’entusiasmo del buon Gerry Scotti che, colpito dalla Ruzzle mania, ha contattato la società svedese che produce il gioco, Mag Interactive, per trasformarlo in un nuovo format tv – difficilmente riuscirà a trasferire le dinamiche tipiche dei social game in un programma televisivo.

    Quelli della Mag Interactive hanno diabolicamente pensato a tutto, non ultimo a far soldi. L’applicazione è gratuita e con la presenza di minibanner pubblicitari. Esiste poi la versione a pagamento (2,50 euro) che elimina la pubblicità e permette di poter esercitarci da soli in modalità off line, per diventare imbattibili. Ci sono poi altre finezze di approccio al tema ludico, come l’idea della sfida su tre partite: le prime due fanno guadagnare pochi punti, ma la terza, grazie alla massiccia presenza dei moltiplicatori su molte lettere, permette vittorie all’ultimo minuto e rimonte incredibili. Per non parlare poi della dettagliata pagina statistiche delle partite già effettuate, come avere un Rino Tommasi o un Flavio Tranquillo sempre nel taschino.
    Certo, il fatto che sia un gioco di parole aiuta, e permette anche di utilizzare “Ruzzle” in modalità avanzata, componendo le parole non per vincere ma per mandare precisi messaggi. Perché, non dimentichiamolo mai, i social game hanno come obiettivo parallelo, e spesso principale, il tacchinaggio e il flirt potenziale. Quando la giovane donna vedrà l’avversario che ha composto solo tre parole, ma inequivocabili, come “usciamo” “insieme” e “stasera”, capirà che l’obiettivo non era vincere il gioco.