Chi ride prima?
Per quanto suoni cinico, concediamo pure che la politica sia un gioco delle parti, e che i princìpi, i proclami e le ideologie siano, come scriveva Sciascia a margine del “Contesto”, “pure denominazioni” utili al gioco. Ciò non toglie che, perché il gioco funzioni agli occhi del pubblico votante, bisogna dare quanto meno l’impressione di credere alla parte in commedia che ci si è assegnati. Un po’ di addestramento al metodo Stanislavskij (che poi, in politica, è il metodo Berlusconi) non guasterebbe in campagna elettorale.
Per quanto suoni cinico, concediamo pure che la politica sia un gioco delle parti, e che i princìpi, i proclami e le ideologie siano, come scriveva Sciascia a margine del “Contesto”, “pure denominazioni” utili al gioco. Ciò non toglie che, perché il gioco funzioni agli occhi del pubblico votante, bisogna dare quanto meno l’impressione di credere alla parte in commedia che ci si è assegnati. Un po’ di addestramento al metodo Stanislavskij (che poi, in politica, è il metodo Berlusconi) non guasterebbe in campagna elettorale; perché quando dici qualcosa con tono che si vorrebbe stentoreo, fermo, fiducioso e tutti vedono lontano un miglio che stai per scoppiare a ridere, o a piangere sconsolato, è evidente che qualcosa non va. Ne abbiamo avuto esempio in questi giorni: c’è un tale (Antonio Ingroia) così poco persuaso da ciò che dice da sembrar sempre sul punto di ridere; e c’è un altro tale (Matteo Renzi) che quanto più tenta di sprizzare entusiasmo, tanto più vorresti andar lì a confortarlo e a dirgli che la vita continua.
E’ il duo di “Luci della ribalta”: un Keaton pazzotico che può suonare su qualunque spartito, un Calvero che si mette al violino con un sorriso spiritato e finisce a singhiozzare sulla coda del pianoforte.
Per quanto tentasse d’insufflarsi vita da solo, il Renzi che si è visto alle “Invasioni barbariche” era uno strano incrocio tra il reduce di un processo staliniano dopo l’abiura e un protagonista di “Meteore”, uno di quelli che si ha piacere di rivedere anche solo per constatare che non sono morti. Il sorriso, la speranza, la rottamazione, la coerenza, la lealtà, le metafore sportive, c’era tutto: ma suonava già come il repertorio di una vecchia stella. Renzi era costretto a recitare a denti stretti una parte che non gli si addice – il tifoso di Bersani e del centralismo democratico – ma già gli sentivi addosso quel senso di fallimento che è stato di tutti gli aspiranti riformatori dai tempi di Segni, di quelli che hanno perso l’attimo nell’illusione che ci fosse un secondo giro, che si sono trovati davanti praterie e non hanno avuto la prontezza di capire che in un baleno ci si sarebbero accampate intere mandrie. “Voglio che Bersani vinca e il Pd governi per cinque anni”. Com’è che suonava così falso?
La performance dei tag
Ingroia, al contrario, porta stampato in faccia un mezzo sorriso guascone, quasi una parodia strafottente del bel sorriso arabosiculo di Falcone, e con tutta la buona volontà non si riuscirebbe a prenderlo sul serio. Basta leggere la bozza di programma di “Rivoluzione civile” per sentire questa risata serpeggiante, quest’aria di sottile presa per il culo. Definirlo un programma-patchwork non sarebbe neppure corretto; è un generico menu a dominante rifondarola assemblato con il criterio dei “tag”, parole chiave che gettano l’amo a tutte o quasi tutte le famiglie dell’indignazione italiana: no alla Tav, no alla mafia, no alla guerra, no al razzismo, no agli ogm, no allo smog. E ovviamente, i due tag del momento: “beni comuni” (la formula a più bassa densità semantica del tempo presente) e “femminicidio”. Anzi: “Aborriamo il femminicidio” (gli altri, a quanto pare, lo caldeggiano).
Non siamo ancora al signoraggio e alle scie chimiche del suo antesignano e alleato Antonio Di Pietro, che non buttava via nulla pur di radunare il suo esercito di rosiconi, ma ci si arriverà.
Ma quale che sia lo spartito, la performance è sempre la stessa: lui parla, argomenta, s’indigna, si accalora e tu proprio non riesci a sospendere l’incredulità. E capisci che si potrà dibattere di tutto con Ingroia, ma sarà sempre una gara a chi ride prima.
Il Foglio sportivo - in corpore sano