Mentre Monti fa il duro con Bersani, Casini & Co. si attovagliano col Pd

Salvatore Merlo

Mario Monti resta fermo, polemizza con il Pd e sorride all’elettorato del Pdl, mentre Andrea Riccardi e Pier Ferdinando Casini nel frattempo trafficano negli angoli bui del Palazzo e cucinano un patto all’amatriciana con il Partito democratico. Movimenti, certo, ancora sotterranei, sommersi, dunque fragili e incerti, ma di cui il professore, che ama il controllo, ha avuto sentore tanto da essersi, così pare, un po’ infastidito.

    Mario Monti resta fermo, polemizza con il Pd e sorride all’elettorato del Pdl, mentre Andrea Riccardi e Pier Ferdinando Casini nel frattempo trafficano negli angoli bui del Palazzo e cucinano un patto all’amatriciana con il Partito democratico. Movimenti, certo, ancora sotterranei, sommersi, dunque fragili e incerti, ma di cui il professore, che ama il controllo, ha avuto sentore tanto da essersi, così pare, un po’ infastidito. In queste ore, chissà, Corrado Passera e Annamaria Cancellieri, i due ministri che si sono sfilati dalla squadra montiana avvertendo il rischio di un’egemonia tripartita Casini-Riccardi-Montezemolo, stanno pensando la stessa cosa: avevamo avvertito Monti di stare attento a quei democristiani di antico pelo.

    Il professore dà segni di inquietudine. Quando la polemica si sposta all’interno di una coalizione, tra alleati, è sempre il sintomo di un problema politico. “Io e Casini? Ognuno va per la sua strada, in modo coordinato sullo stesso progetto ma interpretato in modi diversi”, ha detto Monti marcando le distanze. E lui, il rentier neo democristiano, Casini: “Stiamo facendo la parte dei donatori di sangue. Se non ci fosse stata l’Udc Monti non sarebbe mai arrivato a Palazzo Chigi”. Ma che succede sotto il pelo dell’acqua? Il leader dell’Udc ha l’ambizione di sedere alla presidenza del Senato, e per riuscirci ha bisogno dei voti di Pier Luigi Bersani. I colloqui sono aperti da tempo, e la natura dello scambio è ormai nota persino ai giornalisti: Casini a Palazzo Madama, Dario Franceschini (o Rosy Bindi?) alla presidenza della Camera. Ma in movimento, alle spalle di Monti, non c’è solo l’Udc. Il ministro Riccardi – che pure smentisce con convincente nettezza – osserva con interesse la poltrona di Gianni Alemanno, il sindaco di Roma che dovrà lasciare (ma è ricandidato) il Campidoglio a maggio, cioè dopo le elezioni politiche. E dunque anche Riccardi, come Casini, si fa pure lui costruttore di ponti verso sinistra, e i suoi amici mormorano un adagio che suona all’incirca così: la candidatura romana sarebbe il sigillo sull’alleanza di governo con Bersani. La congiuntura, tra l’altro, è di quelle buone, quasi irripetibili per un candidato esterno all’apparato del centrosinistra. Il Pd si è infatti incartato, a Roma ha un eccesso di candidati, ha rimandato le primarie a data da destinarsi e nei volti dei troppi concorrenti per il Campidoglio (Gentiloni, Sassoli, Marino, Prestipino, Marroni) il partito si rivela debole, diviso in rivoli correntizi, insomma permeabile a un’opa esterna. Così la candidatura di Riccardi – che guarda caso non ha voluto farsi candidare in Parlamento – risulterebbe persino salvifica. Come dice Andrea Romano, braccio destro di Luca Cordero di Montezemolo, e futuro deputato nella lista di Monti: “Riccardi sarebbe un grande sindaco per la Capitale. Il Pd non ha uomini alla sua altezza e con il suo carisma. Non vedo come il centrosinistra potrebbe opporsi a una sua eventuale candidatura”. E così la voce gira, l’idea suscita interesse, il patto all’amatriciana di Casini con il Pd si fa più robusto. Ma il professor Monti, che è un accentratore diffidente, non ha intenzione di siglare accordi preventivi specie se sono stati negoziati da altri. E non ha soprattutto interesse a stringere (anzitempo) quei legami con il Pd che pure negli ambienti di confine, nella zona grigia, in tanti considerano inevitabili (“è la legge del Tina: ovvero, there is no alternative”, dice Enrico Letta), ma solo dopo le elezioni.mer

    Casini è un enigma e una variabile pericolosa per Monti, già da un minuto dopo l’insediamento della nuova legislatura. “Considererei deludente un risultato inferiore al 15 per cento”, dice in pubblico. Mentre in privato, al riparo dalle telecamere, il leader dell’Udc sussurra: “Verosimilmente prenderemo il 12”. Getta i semi del divorzio. Chissà. Il professor Monti ne è al corrente, e la domanda è: che intenzioni ha Casini per il dopo elezioni? Ma qui si entra ovviamente nel campo delle speculazioni, dei timori e delle chiacchiere fatte tra dirigenti dell’Udc al tavolino di un bar. Tutto molto evanescente, eppure verosimile. Dalle parti di Montezemolo considerano Casini una zavorra e si fanno forza dell’idea che alla Camera, dove gli alleati corrono ognuno col proprio simbolo, la lista civica di Monti doppierà quella dell’Udc. Ma Casini, anche nelle sue triangolazioni con il Pd (non solo area D’Alema), si è concentrato tutto sul Senato. E’ a Palazzo Madama, dove balleranno i numeri della prossima legislatura, in quella che sarà la Camera decisiva per la composizione della futura maggioranza, che il giovane-vecchio democristiano ha piazzato con estrema perizia il grosso dei suoi uomini. Se Monti dovesse resistere alle avance del Pd, anche solo per ottenere di più (per sé e non per l’Udc), Casini dalle mani libere che farà?

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.