Risse e fughe dal Pdl. Perché il Cav. sta perdendo anche la Sicilia

Salvatore Merlo

“Più che in bilico, la Sicilia è persa”. Nel Pdl non si aspettano niente di buono dalle elezioni nell'isola e così, nella terra che fu di Totò Cuffaro, il centrosinistra si prepara ad acciuffare una vittoria storica, preziosa per espugnare il Senato, la camera incerta, quella dei numeri ballerini, dove si faranno le maggioranze della prossima legislatura. La caduta è nei sondaggi, nella disintegrazione del potere che quasi ininterrottamente si era travasato, di vittoria in vittoria, da Cuffaro a Lombardo – pittoresco ribaltonista che ha cambiato tre maggioranze e quattro governi – fino alle ultime elezioni regionali, quelle dell'astensione record.

Leggi Il candidato Mario

    “Più che in bilico, la Sicilia è persa”. Nel Pdl non si aspettano niente di buono dalle elezioni nell’isola e così, nella terra che fu di Totò Cuffaro, il centrosinistra si prepara ad acciuffare una vittoria storica, preziosa per espugnare il Senato, la camera incerta, quella dei numeri ballerini, dove si faranno le maggioranze della prossima legislatura. La caduta è nei sondaggi, nella disintegrazione del potere che quasi ininterrottamente si era travasato, di vittoria in vittoria, da Cuffaro a Lombardo – pittoresco ribaltonista che ha cambiato tre maggioranze e quattro governi – fino alle ultime elezioni regionali, quelle dell’astensione record, quelle di Grillo nuotatore e del collasso finanziario, quelle vinte – ma a stento – da Rosario Crocetta e da un centrosinistra che fino a ieri non decollava.

    Domanda: quanto valgono oggi Gianfranco Micciché e Raffaele Lombardo, i viceré un tempo ingrassati nel consenso? Risposta di Alessandra Ghisleri, sondaggista del Cavaliere: “0,5 per cento”. Ecco. Silvio Berlusconi in Sicilia era come come la colata lavica, il 61 a 0 del 2001 ancora se lo ricodano tutti. Tempi lontani, il centrodestra si decompone, il potere di Micciché e Lombardo, un tempo grandioso, si sgonfia; gabelloti e campieri sono in fuga verso chi ancora governa la spesa pubblica e amministra i pochi quattrini rimasti, lì dove il presidente Crocetta, fino a ieri traballante, è riuscito a mettere in piedi, lentamente (e sorprendentemente), un nuovo-vecchio sistema di potere. E ovviamente c’è posto per tutti. Dal campo di Lombardo hanno defezionato i tre più grandi feudatari, sulle cui spade l’ex governatore contava: Giovanni Pistorio, il senatore, Lino Leanza, uomo forte dell’ex presidente, e anche Nicola D’Agostino che dell’Mpa è stato capogruppo alla regione. Era la primissima fila del lombardismo. Tutti, assieme ai loro voti, verso l’Udc, tutti indirizzati alla vittoria, verso sinistra, tutti a fare ciao ciao con la mano.

    Persino il fratello di Lombardo, Angelo, con qualche malanimo nei confronti di Don Raffaele ha lasciato il partito e la politica. Anche l’ex ministro Saverio Romano rimane sempre più solo e ha dovuto dire addio al suo Pippo Gianni, vecchia scuola Dc, allievo di Calogero Mannino.
    Il quadro del centrodestra insomma si disarticola, pezzo per pezzo. Nel Pdl siciliano fuggono i notabili da centomila voti: Innocenzo Leontini, Nino Beninati, Marco Zambuto, Mimmo Fazio e Salvatore Iacolino. Il primo era il capogruppo berlusconiano alla regione, il secondo era assessore del governo regionale (di Cuffaro e poi di Lombardo), il terzo era sindaco di Agrigento (casa di Angelino Alfano), il quarto sindaco di Trapani, mentre il quinto, Iacolino, altri non è che il cugino di Alfano. E qui va spesa qualche parola, perché Iacolino ha mollato il Pdl per essere candidato da Micciché che del Pdl è alleato ma che pure è il nemico, acerrimo, di Alfano (“per me Alfano non è nessuno”). La baruffa tra i due è già costata al Pdl la sconfitta alle comunali di Palermo, e poi anche alla regione; con Micciché, irruente, scatenato contro il più mediorientale Alfano: “Avevamo chiuso l’accordo con Berlusconi per la mia candidatura unitaria alla regione, e avevamo la vittoria in pugno. Sono stati i fedelissimi di Alfano, Francesco Cascio e Giuseppe Castiglione, a mettere un veto sul mio nome”.

    A Micciché ancora questa storia non va giù e con le elezioni nazionali comincia il secondo tempo della baruffa: il “ratto del cugino” Iacolino, l’ultimo sfregio ad Alfano (o il primo dono di pace?). Una mossa che tuttavia a Micciché è costata la rivolta dei suoi dignitari. Se ne sono andati in cinque e con tutti i loro voti: Franco Mineo, Michele Cimino, Titti Bufardeci, Riccardo Savona, Toni Scilla. Così il centrosinistra cinge i nuovi arrivati di un abraccio generoso. Mineo e Cimino sono stati indagati per mafia e adesso, mollato Micciché, dopo un’archiviazione (per Cimino), approdano nella sinistra di Crocetta, governatore antimafia, macchina del lavaggio, unico concessionario per la ripulitura di mascariamenti.

    Leggi Il candidato Mario

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.