Mario tolstojevic Monti
Dalla redazione del Foglio mi hanno chiesto di scrivere un pezzo di sedicimila caratteri sul cambiamento di Mario Monti in questo periodo di campagna elettorale. Per chi non si occupa di queste cose, sedicimila caratteri sono l’equivalente di una decina di pagine di un libro; un capitolo, praticamente. E io, un capitolo di un libro su Mario Monti, non so come dire, non mi sentivo preparato, per scriverlo. Solo che, nonostante non mi sentissi preparato, io alla fine ho detto di sì, che li avrei scritti, sedicimila caratteri su Mario Monti. Non lo so, come mai.
Dalla redazione del Foglio mi hanno chiesto di scrivere un pezzo di sedicimila caratteri sul cambiamento di Mario Monti in questo periodo di campagna elettorale.
Per chi non si occupa di queste cose, sedicimila caratteri sono l’equivalente di una decina di pagine di un libro; un capitolo, praticamente.
E io, un capitolo di un libro su Mario Monti, non so come dire, non mi sentivo preparato, per scriverlo.
Solo che, nonostante non mi sentissi preparato, io alla fine ho detto di sì, che li avrei scritti, sedicimila caratteri su Mario Monti. Non lo so, come mai. Anche perché io, veramente, del cambiamento, di Monti, non lo so, era cambiato?
A me non sembrava, tanto cambiato, probabilmente per via del fatto che io, questa campagna elettorale, non è che la stia seguendo con un’attenzione che sto molto attento, no, mi ha un po’ stancato, è appena cominciata e mi ha già un po’ stancato allora martedì sera, che sono andato a cena in una pizzeria bolognese con un gruppo di studenti della scuola elementare di scrittura emiliana, che è una scuola che facciamo a Bologna una o due volte all’anno, ed era una cena che riuniva diciotto persone di varie età, provenienze e formazione politica io, la prima cosa che ho detto è stata: “Ragazzi, mi hanno chiesto di fare un pezzo di sedicimila caratteri sul cambiamento di Mario Monti, cosa mi dite?”.
E loro mi hanno guardato con una faccia come per dire: “E’ cambiato, Mario Monti?”. Tutti e diciassette la stessa risposta.
Che io ho pensato: “Ecco, andiam bene”.
Anche se avrei dovuto esser contento, perché questa risposta mi dava ragione per esempio sul fatto che questa, era una campagna elettorale che la gente non ne vuol mica tanto sapere, e che Mario Monti, in particolare, era una figura che io non credo che la gente ne sapesse tantissimo.
Se fosse stato per esempio Guido Rossi, a me sarebbe venuta in mente l’opera n. 155 delle Opere complete di Learco Pignagnoli, che è un libro bellissimo di Daniele Benati che contiene un’opera che si intitola Opera n. 155 che fa così:
Opera n. 155
E Guido Rossi? Guido Rossi… Un bel tipo, quello lì.
Che non è un’opera che dice tantissimo, di Guido Rossi, però dice almeno di più del niente che dicono (le Opere complete di Learco Pignagnoli) su Mario Monti, che Monti, per Learco Pignagnoli, potrebbe anche non essere mai esistito che sarebbe la stessa cosa, per dire le cose con una certa brutalità e una franchezza che io credo che potrebbero essere apprezzabili anche per i supporter di Monti, che è vero che non ho detto ancora niente, di Monti, però almeno sono sincero.
E dopo poi, quando sono poi andato a casa, dopo quella cena lì in una pizzeria bolognese, ho cercato su Internet qualche notizia, su Monti, e ho trovato la pagina a lui dedicata su Wikiquote, “antologia libera e multilingue di aforismi e citazioni che tutti possono consultare e migliorare”, e la prima citazione, di Monti, sulla sua pagina di Wikiquote, è questa qui: “Avete visto che bella giornata” [la mattina del giorno della sua nomina a presidente del Consiglio].
Che non è una brutta frase, però, se la confronto con delle frasi che a me piacciono, come per esempio le poche frasi che compongono l’Opera n. 109 di Learco Pignagnoli, e che sono queste qua:
Opera n. 109
C’era un tipo, un certo Fofi, da non confondere con il critico, che una volta siamo andati al cinema insieme, lui russava, io russavo. Abbiamo visto un bel film.
Ecco, la frase di Monti, dicevo (che, vi ricordo, è: “Avete visto che bella giornata”), confrontata con le frasi di Pignagnoli un po’ si frantuma, ho pensato martedì notte.
Forse, se dovessi parlare di quel che mi piace, forse sarebbe meglio se parlassi di Pignagnoli, ho pensato, solo che Pignagnoli, anche di Pignagnoli, l’unica cosa che so di lui è quello che leggo nella nota biografica (aletta di destra delle Opere complete di Learco Pignagnoli, dove si legge: “Learco Pignagnoli è nato a Campogalliano e a San Giovanni in Persiceto. Lavora presso la ditta Scoppiabigi e Figli, dove tiene dietro al loro lupo”).
Non ne so tanto neanche di Pignagnoli, ho pensato, e poi mi son detto che io, comunque, avevo preso l’impegno di scrivere sedicimila caratteri su Mario Monti e dovevo scrivere sedicimila caratteri su Mario Monti, mi sono detto martedì notte.
Cosa potrebbe essere, questo cambiamento di Monti?, mi sono chiesto, e mi son detto che, forse, potrebbe essere il fatto che lui, prima, quando l’avevan chiamato a fare il presidente del Consiglio non era mica stato lui, a proporsi di fare il presidente del Consiglio, eran stati loro che l’avevan chiamato, e allora lui era in quella condizione lì che in un certo senso era superiore; adesso, invece, che aveva praticamente fondato una specie di partito politico, Scelta Civica di Mario Monti, lui era diventato un po’ come gli altri, che son cose rischiose, ho pensato, che ti fan fare tutto il contrario di quello che dovresti fare di solito, e mi è venuta in mente una poesia di Raffaello Baldini che si intitola Gli anni e è raccolta in una raccolta che si intitola Intercity e la sono andata a cercare e l’ho copiata e fa così:
Gli anni
E’ uno sbaglio, che non debbano capire che è uno sbaglio, / che lo fanno anche gli uomini, non lo fanno solo le donne, / di calarsi gli anni, io ne ho conosciuto più d’uno, / non vogliono invecchiare, e credono, che invece così è peggio, / tutto l’opposto bisogna fare, non ci arrivano, / invecchi meno se te li aumenti, gli anni, io anche da giovane, / quando avevo trent’anni, / “Quanti anni hai?”, “Trentacinque”, “Porca masola, già trentacinque? Non te ne davo nemmeno trenta”, / nemmeno trenta, meno di trenta, hai capito? / Se te li cali tu è una bugia, gli anni / te li devono calare gli altri, / calarteli e farti i complimenti, / adesso io ne ho sessantuno, / e dico sempre che vado per i sessantanove, / che rimangono, tutti: “No, davvero? Ma va’ là, / sessantanove? Hai una faccia, te ne darei / a dir poco, dieci di meno, anche dieci dodici”, / in modo che raggranelli due tre quattr’anni, / poi c’è da fare un altro discorso, che pare così, / ma se sono sessantuno e dici che sono sessantanove, / sono otto anni che hai ancora da campare, / ma siccome hai detto che li hai campati, / sono otto anni che, in un certo senso, / ci hai messo una mano sopra, / è, come si può dire?, una prenotazione, / sempre in un certo senso, / ma per tornare al discorso di prima, io / voglio fare un esempio che non sta in piedi, / una cosa esagerata, / che non si può, che è da ridere, ma si fa per parlare, / metti che tu abbia settant’anni, / ti domandano “Quanti anni hai?”, e tu rispondi: “Novantadue”, che l’altro rimane: “Ehi, / mi prendi per il culo?”, “Ne ho novantadue”, / “Non ci credo”, “E non crederci”, “Porca paglia, / a novantadue anni, ma sei un ragazzo!”, / ecco, quel che voglio dire, io, che l’ho detto, / l’ho detto fino adesso, però capisco, / sì, è una cosa che, in un primo momento, / uno può dire: come, già che ne ho tanti, / e me li devo anche crescere? Pare che non stia in piedi, / invece è una cosa che non sbagli, / non puoi sbagliare, parlo per esperienza, / ma poi ci vuol poco a far la prova, prova, / prova anche tu, vogliamo scommettere? Arrivi, / si fa sempre per dire, che a settant’anni / addirittura puoi diventare un ragazzo
scrive Raffaello Baldini, e secondo me, Monti, adesso non dico che la debba leggere, questa poesia, ma, secondo me, se la leggesse, non gli farebbe mica male, perché lui, a me, io credo, dev’essere una persona intelligente, anche, che le cose le capisce, e se te gli spieghi che si è messo in una posizione difficile che lo obbliga a parlare bene di se stesso “Votatemi che io son capace”, ma no, ma son cose che non si possono sentire, ecco secondo me lui, a leggere questa poesia lo capisce, e cambia, e magari lì davvero salta fuori il cambiamento di Monti, ho pensato martedì sera, poi però ho pensato che lui, poveretto, lui magari cambierebbe, anche, ma non è mica poi da solo, ha delle responsabilità, Fini, Casini, Montezemolo, poi ormai c’è tutto un baraccone che è in moto, no, ho pensato, ormai non cambia più, ho pensato martedì notte, e sono andato a dormire convinto che sarebbe finita così, che Monti non cambiava.
Solo che poi, mercoledì mattina, mi è venuta in mente una cosa che mi son detto che, se leggesse quella, Monti, forse, davvero, potrebbe rendersi conto che ha preso una strada che non va mica bene, e la cosa che mi è venuta in mente è un pezzetto di un libro di Lev Tolstoj che si intitola Che fare? che è un libro che racconta cosa succede a Tolstoj quando si accorge che al mondo ci sono un sacco di poveri, e si mette in testa di provare a aiutarli.
Comincia a dargli dei soldi, ma si accorge che questi soldi, loro, li bevono, in Russia bevono, hanno questa abitudine che bevono che io ce l’avevo anch’io, quando ero giovane, intanto che andavo a prendere quel libretto lì di Tolstoj, dicevamo, e dopo l’ho preso, l’ho aperto, e dopo ho trovato quel pezzo che mi interessava che è un pezzo che a un certo momento si chiedeva, Tolstoj, dentro il suo libro:
Chi sono io, io che voglio aiutare gli uomini? Voglio aiutarli, e mi alzo a mezzogiorno, dopo un’interminabile partita di whist, infiacchito, molle, bisognoso dei servigi e dell’aiuto di centinaia di persone; e vengo ad aiutare – chi poi? Uomini che si alzano alle cinque; che dormono su tavole, che mangiano pane e cavoli, che sanno arare, falciare, immanicare la scure, squadrare, aggiogare cucire; uomini che per padronanza di sé, per forza, per abilità, per temperanza, valgono cento volte più di me, e io voglio aiutarli! Cosa altro, se non vergogna, posso provare quando entro in rapporto con loro? Tutta la mia vita passa così: mangio, parlo, ascolto; mangio, scrivo e leggo, cioè ancora parlo e ascolto; mangio, gioco, mangio, di nuovo parlo, e ascolto, mangio e di nuovo vado a dormire, e così ogni giorno, e non posso e non so fare altro. E perché possa permettermi di fare tutto questo, occorre che dalla mattina alla sera lavorino per me il portiere, l’inserviente, la cuciniera, il cuoco, il lacchè, il cocchiere, la lavandaia; per non parlare degli operai necessari a produrre gli oggetti di cui questi cocchieri, cuochi, lacchè hanno bisogno per lavorare per me: martelli, botti, spazzole, vasellame, legname, carne di bue. Ognuno di loro lavora duramente tutto il giorno e tutti i giorni perché io possa parlare, mangiare, dormire; e proprio io, questo individuo gramo, ho immaginato di poter aiutare gli altri, quegli stessi uomini che mi nutrono.
Non è straordinario, che io non abbia aiutato nessuno e che abbia provato vergogna; la cosa più straordinaria è che mi possa essere venuta in mente un’idea tanto assurda
scriveva Tolstoj nel 1886.
E se lui, Tolstoj, che era Tolstoj, sapeva, nel 1886, di non esser capace di aiutare gli uomini, come fa Monti, nel 2013, a esser convinto di poter aiutare gli italiani, da dove la può ricavare, Monti, tutta questa superbia?, ho pensato mercoledì mattina e, per qualche ora, mi sono convinto che Monti, se, per un caso non tanto facile da immaginare ma nemmeno improbabile del tutto avesse letto questo articolo, avrebbe veramente potuto dare una svolta alla sua campagna elettorale in un senso che non mi viene da definire in altro modo che tolstoiano, cioè di stare un po’ più tranquillo, se così si può dire.
Solo che poi, non so come mai, non ero convinto del tutto, e sono andato a guardare ancora su Wikiquote e ho trovato ancora una dichiarazione di Monti, che era, ho letto nelle note, una “comunicazione del Presidente del Consiglio dei Ministri alla Camera dei Deputati della Repubblica Italiana il giorno della richiesta della fiducia al Governo Monti”, ed era del novembre del 2011, cioè più di un anno prima che Monti si presentasse alle elezioni, cioè più di un anno prima del suo cambiamento, e lì Monti di se stesso diceva:
Il giorno in cui proibii una fusione tra due grandissime società americane, benché fosse intervenuto anche pubblicamente il presidente degli Stati Uniti su di me, l’Economist scrisse: “Il mondo degli affari americano considera Mario Monti il Saddam Hussein del business”
aveva detto Monti, cioè, in sostanza, forse ero io che capivo male, ma si dava dell’importanza fin da prima di fondar la sua lista, Monti, se non avevo capito male.
Allora mi erano venuti tutti dei dubbi, e ero andato anche su YouTube a sentire delle sue dichiarazioni, di Monti, e avevo trovato una cosa che mi aveva stupefatto.
Cioè che lui, Monti, in un’intervista a “Ballarò” del 22 gennaio del 2013, cioè dopo che si era presentato alle elezioni e quindi dopo il suo cambiamento (che io, devo dire, non avevo ancora capito che cambiamento era stato), lui Monti aveva dichiarato, in quell’intervista lì, che lui era una parte della società civile, dal momento che non era mai stato iscritto a nessun partito, e allora io ho pensato a mio nonno, che era un signore che faceva il muratore e che è morto fulminato su un cantiere, negli anni Settanta, e che era, nella mia famiglia, quello che più di tutti si è occupato di politica, ed era comunista, ed era iscritto al Partito comunista italiano, ed era un autodidatta che leggeva un sacco di romanzi russi, e i libri da grandi che ho cominciato a leggere sono i libri che ho ereditato da lui, e se son laureato in Letteratura russa credo dipenda dal fatto che ho avuto un nonno del genere, che era un nonno con tessera del Partito comunista italiano, e quindi, secondo Monti, non era parte della società civile, che è una cosa che io, non so, sarò io, ma secondo me, con tutto che Monti è così intelligente, questa distinzione tra società civile, cioè quelli che non hanno mai preso la tessera di nessun partito (di cui farebbe parte lui, Monti), e gli altri, che hanno preso la tessera di un partito e quindi non sarebbero parte della società civile, a me, con tutta l’intelligenza che mi sembra di riconoscere in varie dichiarazioni di Mario Monti, a me questa mi sembra una gran stupidata, ho pensato mercoledì mattina.
E mi è venuto in mente che da piccolo, una cosa che mi piaceva guardare, alla televisione, e che facevan vedere fin da quando io ero piccolo, in bianco e nero, era l’elezione del presidente della Repubblica, e io sapevo che avrebbero potuto eleggere uno qualsiasi, sia un deputato che un non deputato, e io mi ricordo che rimanevo davanti alla televisione ad ascoltare tutto lo spoglio, e che mi aspettavo che, da un momento all’altro, tra un Saragat e un Andreotti, qualcuno avrebbe detto Gaspare Chiapponi, che era il nome di mio nonno, che era un nonno che a me sembrava così bravo che per forza qualcuno avrebbe dovuto votarlo come presidente della Repubblica, e invece non l’ha mai votato nessuno, e quella credo sia stata la prima delusione politica della mia vita.
E a questo proposito ci sarebbero ancora diverse cose da dire solo che sono quasi arrivato a sedicimila caratteri, mi resta appena lo spazio per copiare un’ultima cosa, e l’ultima cosa che voglio copiare è l’Opera n. 79 delle Opere complete di Learco Pignagnoli, che forse non c’entra tantissimo, anche se riguarda Kennedy, che è uno che comunque, con la politica c’entra, anche se forse con Monti non tanto, però comunque a me piace, e quindi, anche se non c’entra, la copio lo stesso, e fa così:
Opera n. 79
Quando hanno ucciso Kennedy, me lo ricorderò sempre. Stavo facendo i compiti sulla tavola della cucina. Nei giorni seguenti c’è stato un trambusto di notizie, avevano preso Lee Oswald, il presunto assassino. Dico presunto perché mio zio ha incominciato a dire che a uccidere Kennedy era stato Frank Sinatra. Non di persona, ma come mandante. Subito diceva che era stato Frank Sinatra, poi, dopo qualche giorno, s’è messo a dire che era stato Frank Sinatra insieme a Dean Martin e Sammy Davis. Tutti quelli là di Las Vegas, diceva, l’hanno accoppato loro. E s’arrabbiava moltissimo se qualcuno non gli dava ragione. Batteva i pugni sul tavolo. Sinatra come cantante gli era sempre stato sui coglioni.
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