Conseguenze dello strike

Israele si prepara al dopo Assad con una buffer zone e una nuova mappa

Giulio Meotti

“Per il governo di Benjamin Netanyahu la caduta della leadership alawita in Siria sarebbe un colpo durissimo all’influenza iraniana nel Levante e al suo alleato in Libano, Hezbollah. Se la Siria si disintegrerà, Israele proteggerà i suoi interessi strategici”, dice al Foglio Yossi Alpher, ex consulente del ministro della Difesa Ehud Barak, che ha alle spalle anche molti anni nel Mossad. Domenica Barak ha per la prima volta lasciato intendere che il governo di Gerusalemme ha fatto lo strike militare in territorio siriano per neutralizzare la possibilità che le armi chimiche fossero trasferite a Hezbollah.

    “Per il governo di Benjamin Netanyahu la caduta della leadership alawita in Siria sarebbe un colpo durissimo all’influenza iraniana nel Levante e al suo alleato in Libano, Hezbollah. Se la Siria si disintegrerà, Israele proteggerà i suoi interessi strategici”, dice al Foglio Yossi Alpher, ex consulente del ministro della Difesa Ehud Barak, che ha alle spalle anche molti anni nel Mossad. Domenica Barak ha per la prima volta lasciato intendere che il governo di Gerusalemme ha fatto lo strike militare in territorio siriano per neutralizzare la possibilità che le armi chimiche fossero trasferite a Hezbollah. Secondo il New York Times, l’obiettivo era il Syrian Scientific Studies and Research Center, il centro in cui il regime svolgeva ricerche chimiche e nucleari. Si tratterebbe di una replica dell’Operazione Frutteto con cui Israele, nel 2007, mise fuori uso il reattore nucleare di Damasco.

    “Bashar el Assad combatterà fino all’ultimo siriano, nessuno in Israele sa ancora che cosa possa accadere al crollo del regime”, ci dice Mordechai Kedar, che oltre a essere professore di Arabo alla Bar Ilan University si è occupato di Siria nell’esercito di Gerusalemme. Israele ha pronto un piano, come ha anche raccontato il Sunday Times citando fonti del governo: sta pensando di entrare in territorio siriano e creare una “buffer zone” di quindici chilometri per proteggere le alture del Golan da eventuali attacchi terroristici (secondo al Jazeera, ieri in quella zona ci sono stati scontri tra ribelli e regime). Per Kedar, “gli israeliani si preparano al dialogo anche con i Fratelli musulmani, perché lo stato siriano si dissolverà in almeno sei enclave omogenee e Israele deve parlare con tutti”. Secondo alcuni analisti vicini a Benjamin Netanyahu, lo scenario più realistico è la frammentazione del paese in aree confessionali: “Il paese potrebbe dividersi in uno stato alawita a ovest; uno stato curdo a nord, come in Iraq; uno stato druso a sud; una enclave beduina a est e uno stato sunnita a Damasco e Aleppo. Cinque stati sulle macerie della Siria. Il sangue alawita che sarà versato è più di quello versato fino a oggi”. Efraim Inbar, presidente del Besa Center e consulente di Netanyahu, è meno convinto che il regime abbia i giorni contati. “La guerra civile continuerà fino al collasso del sistema – dice al Foglio – Quanto a discutere con i sunniti: Israele parla con Hamas, figuriamoci se non siamo pronti a farlo con i Fratelli musulmani a Damasco. La posizione di Israele è puramente pragmatica, punta al venir meno dell’influenza russa e iraniana in Siria. Ma una ‘pace democratica’ è molto improbabile”.

    I movimenti sul Golan
    Mentre l’Iran minaccia rappresaglie, per Israele decisiva è la sorte dell’arsenale di Assad. “Al momento le possibilità che Assad colpisca Israele con armi non convenzionali sono basse”, dice al Foglio il colonnello Danny Shoham, esperto israeliano di armi di distruzione di massa e noto microbiologo. “L’arsenale siriano si basa su un elemento volatile come il gas nervino. Ci sono poi agenti patogeni come l’antrace e il botulino. La situazione dei depositi di Assad però non è stabile ed è questione di tempo prima che l’esercito muova ancora gli armamenti. Allora potrebbe esserci un nuovo strike”. Anche Yossi Alpher reputa realistica la buffer zone: “Israele teme che i salafiti attacchino dal Golan come hanno fatto dal Sinai. Da qui l’idea della zona cuscinetto”. Quanto al dialogo con i Fratelli musulmani, Alpher dice: “Per adesso la Fratellanza vuole parlare con Israele, come accade in Egitto, ma noi siamo pronti a parlare con loro”. Anche Alpher considera probabile la disintegrazione del paese: “La Somalia sarebbe il modello del dopo Assad. Comunque Israele non ha buone alternative: se Assad prevale nella guerra, Iran e Hezbollah saranno forti ai confini del paese; se Assad cade, i Fratelli musulmani prenderanno il potere a Damasco”.

    A confermare i possibili incontri fra israeliani ed esponenti dell’opposizione siriana è Ely Karmon, docente all’Istituto di antiterrorismo in Herzliya e consulente di molti governi. “Tutto dipende da quale opposizione sarà riconosciuta dagli Stati Uniti in concerto con i russi, la cui presenza va garantita. L’opposizione siriana ha paura di parlare con Israele ed essere accusata di ‘tradimento’. Gerusalemme teme che i villaggi sul Golan finiscano agli islamisti, come in Sinai, e che gli alawiti si ritirino in una specie di Kosovo sulla costa di Latakia, sostenuti dagli iraniani. E’ lo scenario più verosimile per Israele, e anche il peggiore. La creazione di un cantone filoiraniano collegato a Hezbollah, che potrebbe accedere alle armi di distruzione di massa”.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.