Migliaia in piazza
Che cosa cambia in Tunisia dopo l'assassinio di oggi
Dégage, dégage - vattene, vai via - era lo slogan che nel gennaio 2011 migliaia di persone riunite nel cuore di Tunisi gridavano rivolgendosi al dittatore. Zine el Abidine Ben Ali è caduto, la Tunisia ha votato. Ora è di nuovo in piazza a urlare quel vecchio slogan contro un nuovo governo. Migliaia di persone sono scese in strada a Tunisi e in altre città del paese mercoledì dopo l'assassinio di un politico dell'opposizione tunisina. Chokri Belaid è stato freddato da quattro colpi di pistola mentre usciva di casa e saliva sulla sua automobile.
Dégage, dégage - vattene, vai via - era lo slogan che nel gennaio 2011 migliaia di persone riunite nel cuore di Tunisi gridavano rivolgendosi al dittatore. Zine el Abidine Ben Ali è caduto, la Tunisia ha votato. Ora è di nuovo in piazza a urlare quel vecchio slogan contro un nuovo governo. Migliaia di persone sono scese in strada a Tunisi e in altre città del paese mercoledì dopo l'assassinio di un politico dell'opposizione tunisina. Chokri Belaid è stato freddato da quattro colpi di pistola mentre usciva di casa e saliva sulla sua automobile. I proiettili lo hanno colpito al viso, al collo e nel petto, vicino al cuore, racconta al telefono da Tunisi, con la voce rotta, Radhia Nasraoui, avvocato per i dirtti umani, militante di vecchia data: "La liquidazione fisica degli oppositori è una svolta grave nel paese", dice.
Chokri Belaid, leader del partito dei Patrioti democratici, laico, di sinistra, era un critico feroce e rumoroso del gruppo islamista al potere, Ennahda, e di altri movimenti religiosi. Soltanto pochi giorni fa, in una conferenza stampa, aveva accusato Ennahda d'incoraggiare la violenza politica in Tunisia.
Alla radio, sempre pochi giorni fa, ha denunciato salafiti e membri del partito al potere d'essere all'origine di un recente attacco contro di lui. In altre occasioni, ha raccontato alle telecamere di aver ricevuto minacce per le sue posizioni politiche e per il suo flusso di critiche.
Da mesi, la Tunisia della transizione è percorsa da tensioni e in un paese non abituato all'instabilità, le violenze sono in aumento, spesso legate all'azione di gruppi islamisti radicali, come i salafiti - corrente ultra conservatrice dell'islam - che nei mesi passati hanno preso d'assalto mostre, bar, locali che servivano alcol. Non soltanto: membri dell'opposizione, giornalisti, sindacalisti hanno accusato nei mesi scorsi un'associazione, la Lega per la Difesa della Rivoluzione, d'essere dietro ad attacchi contro di loro. Per le opposizioni, la Lega - che avrebbe come missione la protezione dei principi rivoluzionari - sarebbe vicino a Ennahda, che invece smentisce. Nonostante il rafforzarsi delle tensioni, in pochi in Tunisia avrebbero potuto prevedere un assassinio politico come quello di mercoledì.
"Siamo a una svolta. E' l'evento più grave dalla rivoluzione - ha detto al Foglio Omar Mestiri, attivista per i diritti umani e giornalista più volte arrestato sotto Ben Ali - Finora in Tunisia la violenza è stata marginale rispetto all'Egitto post rivoluzione. Sapevamo che c'erano aggressioni, un discorso politico radicalizzato, ma ora sentiamo che c'è il rischio del crollo del processo di transizione democratica". E' un atto criminale e politico, spiega il giornalista, "chi ha fatto questo voleva la fine del processo democratico".
E' stato un atto criminale, "terroristico" anche per il premier Hamadi Jebali, politico islamista di Ennahda. Dalla maggioranza e dall'opposizione arrivano condanne, ma i familiari di Belaid, la moglie Basma e il fratello Abdelmajid, hanno accusato senza mezzi termini il governo islamista, facendo nomi e cognomi: il colpevole, hanno gridato in tv, sarebbe per loro il leader del movimento Rachid Ghannouchi. Ennahda smentisce ogni coinvolgimento con l'assassinio e Ghannouchi ha firmato sul sito del partito una forte condanna dei fatti: ha parlato di un crimine odioso contro Belaid e contro l'intera Tunisia. Le sue dichiarazioni non sono bastate a calmare la folla. Migliaia di persone sono scese in strada a Tunisi, lungo quell'avenue Bourguiba che è stata centro della rivolta di gennaio 2011. "Al shab yurid isqat al nizam", il popolo vuole la caduta del regime, ha urlato la folla scandendo l'ormai famoso slogan delle rivoluzioni arabe. Ci sono stati piccoli scontri con la polizia. In altre città tunisine, sedi del partito Ennahda sono state prese d'assalto. I manifestanti accusano il governo islamista e il suo ministero dell'Interno di non essere in grado di controllare la situazione e di chiudere un occhio sulle violenze. Nell'ermergenza, il presidente Moncef Marzouki è tornato di fretta a Tunisi, cancellando una visita al Cairo, mentre le opposizioni vicine al partito di Belaid hanno annunciato di volersi ritirare dall'Assembela costituente eletta a ottobre 2011 e hanno chiamato la popolazione a uno sciopero generale in occasione del funerale.
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