Politica per famiglie

Così le nozze gay dettano l'agenda in occidente

Nicoletta Tiliacos

Dalla Francia di Hollande alla Gran Bretagna di Cameron, dalla Germania della Merkel agli Stati Uniti di Obama (ormai deciso ad abbandonare al proprio destino quel Marriage Act che riserva il matrimonio a persone di sesso diverso), le nozze gay occupano sempre più l’agenda politica e il dibattito pubblico del mondo occidentale, mentre sono diventate già legge in Olanda, in Belgio, in Spagna, in Portogallo, in Canada, in Sudafrica, in Svezia, in Norvegia, in Danimarca, in Islanda e in Argentina, oltre che in nove stati americani.

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    Dalla Francia di Hollande alla Gran Bretagna di Cameron, dalla Germania della Merkel agli Stati Uniti di Obama (ormai deciso ad abbandonare al proprio destino quel Marriage Act che riserva il matrimonio a persone di sesso diverso), le nozze gay occupano sempre più l’agenda politica e il dibattito pubblico del mondo occidentale, mentre sono diventate già legge in Olanda, in Belgio, in Spagna, in Portogallo, in Canada, in Sudafrica, in Svezia, in Norvegia, in Danimarca, in Islanda e in Argentina, oltre che in nove stati americani.
    Che l’Italia non possa rimanere indenne lo dimostrano, insieme con la domandina rituale in proposito rivolta ai candidati alle elezioni in ogni talk show, certe reazioni di entusiasmo alle dichiarazioni di monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, che lunedì ha parlato di tutela di diritti individuali all’interno delle coppie di fatto, etero e omosessuali. Sbaglierebbe, chi volesse forzargli la mano nel senso del riconoscimento delle coppie gay, perché Paglia ha parlato di “soluzioni di diritto privato e prospettive patrimoniali all’interno dell’attuale codice civile” e ha ribadito il no alle nozze omosessuali.

    Ma sbaglierebbe anche chi non notasse una diversità di toni rispetto al presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco. Il quale, riferendosi domenica scorsa all’ormai prossima approvazione del “mariage gay” in Francia, aveva detto che ci troviamo “sull’orlo del baratro” e che “paesi europei che hanno ormai varato leggi sbagliate sulla vita, sulla famiglia, sulla libertà stanno dimostrando che non acquistano in termini di una civiltà più umana e solidale ma, semmai, più individualista e più regressiva”. Qualsiasi cosa si pensi della marcia dei “nuovi diritti”, se sia ineluttabile o meno la loro affermazione nella postmodernità, colpisce la tendenza ad alzare sempre più il tiro, là dove si è aperto alle unioni civili, trasformate in istituti riconosciuti dalla legge. In Italia, finora fedele alla sua eccezione, non ci sono unioni civili ma da sinistra si punta direttamente al matrimonio gay.

    Non manca di sottolinearlo Nichi Vendola – che dice di veder dilagare a Roma l’omofobia, con il sindaco Alemanno che si offende – che chiede le nozze gay. Seguito, forse più per inerzia che per convinzione, da Ingroia e Grillo, mentre Bersani si attesta su un “modello tedesco” e rischia la figura del retrogrado. In Germania, la proposta dei Verdi di matrimonio gay è stata respinta nel luglio scorso dal Bundestag, ma la Spd ci riproverà. A fare la differenza è la possibilità di adozione, non prevista dall’unione registrata tra omosessuali (è però possibile adottare i figli naturali del partner).
    In Gran Bretagna – dove, per inciso, nel 1967 esisteva ancora il reato di omosessualità – dal dicembre del 2005 il Civil Partnership Act  riconosce alle coppie dello stesso sesso la possibilità di unione registrata, con diritti e tutele ricalcati su quelli matrimoniali, compresa la possibilità di adottare congiuntamente minori. La pubblicità vivente dell’istituto, che ora Cameron ritiene insufficiente e che vuole trasformare in matrimonio anche in barba a una parte del proprio stesso partito, è la popstar Elton John, che con il suo civil partner David Furnish ha appena presentato alla stampa il secondo bambino ottenuto da una madre surrogata californiana.

    Appena un po’ meno largo di manica è il Patto civile di solidarietà francese, che dal 1999 garantisce diritti civili e patrimoniali a coppie di uguale o di diverso sesso, ma non l’adozione (possibile per i singoli). Ed è il più famoso dei “pacsé” (o ex pacsé), il presidente François Hollande, ad aver trasformato la promessa elettorale del matrimonio gay con possibilità di adozione e, un domani, di procreazione medicalmente assistita, in una fiera battaglia politica che dovrebbe concludersi il 10 febbraio.
    I fatti dicono dunque che il riconoscimento delle unioni civili si trasforma spesso nel primo passo verso il matrimonio gay. Al cuore del problema non c’è dunque il semplice riconoscimento di diritti patrimoniali e civili, la possibilità di aver voce in capitolo se il partner è malato o di subentrare nell’affitto della casa comune e nemmeno l’omofobia evocata da Vendola. Il matrimonio, da istituto che garantisce i diritti dei figli nati all’interno della coppia – si è strutturato come legame tra un uomo e una donna perché solo un uomo e una donna possono procreare – sta diventando il luogo dove ottenere figli per via di tecnoscienza o di adozione è il modo per garantire la legittimazione delle coppie omosessuali. Anche in Italia, e soprattutto a sinistra, la partita sarà (è) su questo.

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