Monti e Bersani, una controstoria

Claudio Cerasa

Ah Nichi ma che stai a di’? Nonostante le minacciose e accigliate dichiarazioni offerte in questi giorni da Nichi Vendola – “Flirtare con Monti ci fa perdere” (7 febbraio), “Io e Monti incompatibili” (6 febbraio), “Io al governo con Monti? Impossibile” (5 febbraio), “Io e Monti non saremo mai alleati” (22 gennaio), “L’alleanza con Monti è fantascienza” (20 gennaio) – c’è più di una ragione per sospettare che in realtà la storia delle convergenze parallele tra Monti e Bersani, evocate dallo stesso segretario del Pd tre giorni fa a Berlino di fronte al ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, sia qualcosa in più di una semplice, estemporanea e un po’ birichina speculazione elettorale.

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    Ah Nichi ma che stai a di’? Nonostante le minacciose e accigliate dichiarazioni offerte in questi giorni da Nichi Vendola – “Flirtare con Monti ci fa perdere” (7 febbraio), “Io e Monti incompatibili” (6 febbraio), “Io al governo con Monti? Impossibile” (5 febbraio), “Io e Monti non saremo mai alleati” (22 gennaio), “L’alleanza con Monti è fantascienza” (20 gennaio) – c’è più di una ragione per sospettare che in realtà la storia delle convergenze parallele tra Monti e Bersani, evocate dallo stesso segretario del Pd tre giorni fa a Berlino di fronte al ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, sia qualcosa in più di una semplice, estemporanea e un po’ birichina speculazione elettorale. Nichi Vendola (e con lui una buona parte del Pd) forse continuerà a negare fino al giorno del voto che in caso di vittoria del centrosinistra le strade di Bersani e Monti sono destinate a intersecarsi – ne ha tutto il diritto, ci mancherebbe, e Nichi d’altronde ha necessità di non farsi scippare del tutto il fronte dell’anti montismo di sinistra. Ma dietro a questo piccolo e gustoso teatrino messo in scena da una parte del centrosinistra c’è una controstoria significativa che merita di essere raccontata per capire qualcosa di più sulle reali intenzioni di Bersani per il dopo elezioni. Ecco: che cosa vuole esattamente il centrosinistra? E cosa intende Bersani quando dice di chiedere il 51 per cento dei voti con l’idea di governare come se ne avesse avuto il 49 per cento?

    Vendola, insieme con il fronte più a sinistra del Pd, sostiene che la questione giornalisticamente etichettabile nella casellina “apertura al centro” sia traducibile con una semplice richiesta di appoggio che il centrosinistra chiederà al centro per approvare le riforme più importanti, magari quelle “costituzionali”. Le cose però non stanno così, e per capirne la ragione è sufficiente riavvolgere il nastro di qualche mese e tornare a una data importante per la coalizione di Bersani: 13 ottobre. Quel giorno i leader dei tre partiti che compongono il fronte dei progressisti (Bersani, Vendola, Nencini) si ritrovarono a Roma per firmare la Carta degli intenti del centrosinistra. E proprio quel giorno i tre misero la loro firma anche sotto a questo passaggio del documento: nella prossima legislatura i progressisti dovranno “cercare un terreno di collaborazione con le forze del centro liberale e s’impegnano a promuovere un accordo di legislatura con queste forze, sulla base della loro ispirazione costituzionale ed europeista e di una responsabilità comune di fronte al passaggio storico, unico ed eccezionale, che l’Italia e l’Europa dovranno affrontare nei prossimi anni”. Testuale: “Collaborazione con le forze del centro” e “accordo di legislatura”. Già, ma che significa? Significa chiedere semplicemente i voti per approvare le riforme (come sostiene Nichi) o significa qualcosa di più? “Quel passaggio del programma che abbiamo controfirmato io, Nichi e Pier Luigi l’ho scritto personalmente – spiega al Foglio Riccardo Nencini, segretario del Psi – e vuol dire una cosa semplice, non ci possono essere fraintendimenti: un accordo di governo tra sinistra riformista e centro. Di governo, proprio così. All’epoca, quando firmammo quella carta, sembrava che dovesse essere approvata una legge elettorale che ci avrebbe obbligato ad allargare la maggioranza anche alla Camera per avere la possibilità di governare. Oggi siamo di fronte a una legge diversa, ma visto il rischio di instabilità che si prospetta al Senato l’interpretazione da dare a quel passaggio è sempre la stessa: il centrosinistra, dopo le elezioni, comunque andranno le cose, chiederà al ‘centrodestra buono’, se così si può dire, ovvero quello di Monti, di fare un accordo di legislatura, e di governare insieme”.

    Al netto dunque della piccola ma giustificabile commedia messa in scena da chi promette di non volersi mai e poi mai alleare con il centro (“Impossibile”, “Non esiste”, “Fantascienza”) salvo aver firmato un accordo con le forze della propria coalizione per allearsi con il centro, c’è poi quello che è il vero modello di governo con cui Bersani negli ultimi tempi è riuscito a conquistare la benevolenza degli osservatori internazionali e di molti leader europei (e non solo quelli di sinistra, che da domani saranno con lui a Torino alla convention dei progressisti). Un modello di governo che nel ragionamento di Bersani prevede l’esportazione in Italia dello stesso genere di grande coalizione con cui Angela Merkel e Gerhard Schröder governarono la Germania tra il 2005 e il 2009 ma con una differenza sostanziale. “Nessun accordo di governo sarà mai possibile nella prossima legislatura col centrodestra berlusconiano – spiega al Foglio Dario Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera – Potrebbero esserci condizioni numeriche o politiche che rendano utile o necessario un allargamento della maggioranza nostra e di Sel a quel fronte moderato a vocazione europea, guidato da Monti”.
    Queste dunque le intenzioni del Pd al netto della messa in scena vendoliana (e questa anche la ragione per cui ieri Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, ha detto che “se Monti e il centrosinistra non hanno insieme la maggioranza al Senato si torna a votare”, nel senso che una partecipazione di Berlusconi a questa grande coalizione bersaniana è esclusa). Intenzioni che però, come è evidente, non comprendono un elemento decisivo: ma Monti ci sta oppure no? E se ci starà, che ruolo avrà? “Dipende – dice Matteo Orfini, membro della segreteria del Pd, esponente della corrente più a sinistra e anti montiana del partito, i giovani turchi – una collaborazione è nelle cose, anche al governo, ma il ruolo e il peso che potrà avere Monti dipenderà da due fattori: se la sua coalizione sarà aggiuntiva oppure decisiva”. Tradotto significa una cosa semplice: se il centrosinistra sarà autosufficiente da Monti per lui si aprono le porte di un grande ministero; se il centrosinistra non sarà autosufficiente da Monti, ma ne sarà dipendente dal punto di vista dei voti in Parlamento, le porte che si potrebbero aprire sono altre e sono ancora una volta quelle del Quirinale. Ma forse, chissà, a Nichi questo è meglio non dirglielo ancora.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.