Per chi vota Sanremo
La campagna elettorale in pieno inverno, l’ex premier che si ripresenta sugli schermi, i sondaggi in bilico e poi la bomba che cambia tutto: Sanremo non è più Sanremo, ora che il Cav. ha detto la frase che lo trasformerà in convitato di pietra di un festival che doveva mettere la politica nel congelatore a due settimane dal voto (tra il 12 e il 16 febbraio).
La campagna elettorale in pieno inverno, l’ex premier che si ripresenta sugli schermi, i sondaggi in bilico e poi la bomba che cambia tutto: Sanremo non è più Sanremo, ora che il Cav. ha detto la frase che lo trasformerà in convitato di pietra di un festival che doveva mettere la politica nel congelatore a due settimane dal voto (tra il 12 e il 16 febbraio).
“Sanremo andava spostato: si aggiunge alla par condicio e complica la possibilità di comunicare, ed è incomprensibile la decisione della Rai, tanto più che ci stiamo giocando il nostro futuro con le prossime elezioni”, ha detto ieri il Cav. nel corso di una chat al Messaggero. E’ la mossa che spiazza, se non la strategia che torna; è l’irrompere dell’elemento “Rai attaccata in campagna elettorale” nel panorama silenziato della Rai dei tecnici (che ieri annunciava il presunto antidoto, le conferenze stampa di Berlusconi, Bersani e Monti su Rai2, sorteggiate dalla Vigilanza e destinate alla concorrenza Auditel con le prime due serate del festival). E anche se il conduttore Fabio Fazio, all’idea di “spostare”, rispondeva su Twitter con una boutade (“ma dove? Aspettiamo proposte”), era chiaro che il piatto era già rovesciato, e non c’era nessun Maurizio Crozza a far ridere, ieri, ché va a Sanremo pure lui (Bersani ieri si imitava da solo con la metafora: “Berlusconi smetta di far volare gli asini”).
E’ il grado zero dell’inverno in cui i simboli ruzzolano dal piedistallo, con piazza San Giovanni che cambia padrone (dalla Cgil a Beppe Grillo) e Anna Oxa che in Sanremo vede proprio una piazza San Giovanni (“il sottoprodotto del primo Maggio”, ha detto). Neanche le vallette dell’Ariston conservano il loro posto, vittime della spending review: una sera a testa e tutto il resto alla bisbetica Luciana Littizzetto.
Se n’era già discusso – spostate il festival, no, spostate le elezioni, si era detto due mesi fa – ma poi era tornato il miraggio di un Sanremo-isola che sterilizza il tutto, e di un felice oblio da canzonetta prima della corsa finale con lunghi coltelli. Ed ecco che la frase sullo spostamento mancato produce il paradosso: la politica (e il Cav.) rientrano dalla porta principale, si attaccano ai fiori della Riviera, al Sanremo che voleva far finta di nulla e restare lì, sul calendario, al centro dell’anomalia tecnico-politica, tra Carnevale e ultime gelate. La sospensione forzata si tramuta nel suo contrario: farà parlare ancora di più di ciò che si voleva sospendere, tanto che c’è già Antonio Ingroia, non certo assente dagli schermi, che, per bocca dell’alleato Leoluca Orlando, reclama più spazio al grido di “Sanremo o non Sanremo”. Torna in prima linea il tema, anche elettorale, della Rai “partisan”, e ci finisce in mezzo anche la querelle bislacca su Carla Bruni che “viene solo per promuovere il suo disco”, così dice l’ex consigliere Rai Antonio Verro per criticare “il ruolo che sembra avere avuto” l’ex première dame “nella vicenda Battisti”: “Spero che Fazio la incalzi”, dice Verro mentre Daniela Santanchè chiede l’intervento del presidente Rai Anna Maria Tarantola (e pensare che Fazio, in un’intervista sul Il, il maschile del Sole 24Ore, aveva appena confessato di invidiare David Letterman che con Carla Bruni può parlare di cappelli).
Non importa se il grande terrore correva sul filo anche prima, quando le elezioni non arrivavano d’inverno e il festival di Sanremo doveva comunque barcamenarsi nell’ansia preventiva della battuta a sproposito e dello sbarco non irreggimentabile di un Celentano o di un Benigni. E non importa se Sanremo si faceva tanto più di sinistra, come nel 2011, con trionfo della retorica su “trasparenza&legalità”, quanto più sullo sfondo si stagliava la sagoma di Ignazio La Russa, organizzatore-ombra dietro a Mauro Mazza, allora direttore di Rai1 in quota An, e a Gianmarco Mazzi, allora direttore artistico vicino al centrodestra: era quello il festival con Benigni che entrava a cavallo a festeggiare l’Unità d’Italia, e con Luca&Paolo che cantavano in diretta “Ti sputtanerò”, finto duetto satirico sulla crisi Fini-Berlusconi. Ma stavolta Sanremo non è Sanremo.
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