Prevalenza del germe

Annalena Benini

Non è il caso che facciate gli eroi, trascinandovi in ufficio con la faccia stravolta, la tosse e le coperte sotto cui battere febbricitanti sui tasti del computer, sentendovi indispensabili e meritevoli di aumenti (categoria pericolosissima e megalomane è quella dei colleghi che, starnutendovi addosso, vi dicono: stammi lontano che sono malato). State a casa, per carità, infettate i vostri famigliari, spalmate su di loro tutti i virus che possedete.

    Non è il caso che facciate gli eroi, trascinandovi in ufficio con la faccia stravolta, la tosse e le coperte sotto cui battere febbricitanti sui tasti del computer, sentendovi indispensabili e meritevoli di aumenti (categoria pericolosissima e megalomane è quella dei colleghi che, starnutendovi addosso, vi dicono: stammi lontano che sono malato). State a casa, per carità, infettate i vostri famigliari, spalmate su di loro tutti i virus che possedete.

    Perché l’ufficio è il luogo al mondo in cui i batteri viaggiano più veloci: anche se ci si detesta e non ci si sfiora nemmeno per sbaglio, anche se si arriva e si va direttamente nel proprio cubicolo, masticando un generico e scontroso “’ngiorno” senza che nessuno sollevi gli occhi dal computer per rispondere, la regola è che se c’è un raffreddore nel giro di due piani, arriverà da voi in mezza giornata. Volando sulle maniglie delle porte, sulla macchinetta del caffè, sulla fotocopiatrice, sui bagni, sulla cucina comune (pranzare in ufficio, secondo questo allarmante studio dell’Università dell’Arizona, equivale a passeggiare nudi nei lazzaretti di Milano durante la peste del Seicento). Dopo quattro ore di presenza di un untore, anche incubante e inconsapevole, in un ufficio, il suo pestilente virus sarà presente su più della metà delle superfici. E trovandoci noi in un’epoca che schiaccia pulsanti per sopravvivere, le possibilità di ammalarsi sono circa del novanta per cento. Ci sono colleghi che lavorano con la mascherina, ci sono quelli che prima di bere un caffè strofinano il bicchierino di carta con una salvietta igienizzata, e in generale c’è un ambiente sospettoso e colpevolizzante, anche se molto vaccinato, che effettua controlli occhiuti sugli starnuti e sugli occhi lucidi (hai sentito quanto tossisce? Vorrà mica morire qua? I fogli toccati da lui non li prendo, c’è attaccata come minimo la polmonite virale). Forse perché molti vivono con terrore l’eventualità di passare qualche giorno a casa malati, il terrorismo psicologico sui malanni invernali (su quelli estivi causati dall’aria condizionata ci sono guerre combattute a colpi di serrate personali, felpe di pile dimostrative indossate ad agosto con sciarpa, nonché la prova della differenza fra uomini e donne: le donne vogliono aprire la finestra, gli uomini vogliono cementificare qualunque apertura verso l’esterno e tenere il termostato fisso a diciotto gradi) ha prodotto una tale attenzione alle occasioni di contagio che certe torbide storie di letto fra colleghi si sono infrante sul trentasette e uno di lui. In un uomo, del resto, trentasette e uno è la temperatura drammatica oltre la quale si chiede di staccare la spina.

    L’influenza è la nuova peste, e mentre nelle scuole si dà la caccia ai pidocchi, negli uffici c’è chi giura di vedere passeggiare i germi: naturalmente scatenando grande compiacimento darwiniano in quelli che si ammalano di meno e che sono invece costretti a inventarsi un virus per schivare una giornata complicata. Un tempo, quando arrivava una telefonata con voce nasale e affaticata, si sospettava subito la bugia, immaginando vacanze nei mari del sud, adesso invece basta pronunciare la parola virus per venire immediatamente creduti e messi in isolamento. E attenzione ai telefoni, i germi più gagliardi potrebbero presto passare anche da lì.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.