Spotify, la rivoluzione digitale che rischia di influenzare anche Sanremo

Michele Boroni

Il Festivàl di Sanremo non è mai stata una manifestazione innovativa, essendo ancora legata alla televisione come medium supremo, al sindaco garrulo presente in prima fila e a tutti quei “dirige l’orchestra il maestro…”. Quest’anno però in concomitanza con il Festivàl avrà luogo un evento che rischia di modificare il modo in cui ascolteremo la musica nel futuro prossimo venturo. E’ nato ieri Spotify Italia: Spotify è un servizio di streaming musicale che offre oltre venti milioni di brani, distribuiti dalle quattro principali major discografiche (Sony, Emi, Universal e Warner) e da alcune etichette indipendenti, su computer, smartphone e tablet.

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    Il Festivàl di Sanremo non è mai stata una manifestazione innovativa, essendo ancora legata alla televisione come medium supremo, al sindaco garrulo presente in prima fila e a tutti quei “dirige l’orchestra il maestro…”. Quest’anno però in concomitanza con il Festivàl avrà luogo un evento che rischia di modificare il modo in cui ascolteremo la musica nel futuro prossimo venturo.
    E’ nato ieri Spotify Italia: Spotify è un servizio di streaming musicale che offre oltre venti milioni di brani, distribuiti dalle quattro principali major discografiche (Sony, Emi, Universal e Warner) e da alcune etichette indipendenti, su computer, smartphone e tablet. Detto più prosaicamente: da oggi, iscrivendosi gratuitamente al sito (www.spotify.com) sarà possibile ascoltare tutte le canzoni che ci vengono in mente, comprese alcune canzoni di Sanremo, e creare delle playlist personalizzabili da condividere con gli amici sui social network.

    Ascoltare, non possedere. Accesso, non possesso. Streaming, non download. Se gli mp3 vi sembravano evanescenti, qui siamo al massimo della liquidità baumaniana: nel vostro computer o smartphone non rimane nulla, le canzoni stanno nella celeberrima cloud e non potrete ascoltare niente se non siete connessi a internet. Tutto questo in modo legale. E gratuito. Accedendo alla versione free del servizio, l’unico limite saranno le dieci ore di brani da poter ascoltare al mese e alcuni messaggi pubblicitari sia in forma sonora che visiva mentre si ascoltano i pezzi scelti.
    Spotify è un servizio nato in Svezia nel 2008, conta più di 20 milioni di utenti in 17 paesi (tra cui Francia, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti) e oltre cinque milioni di abbonati, ovvero coloro che pagando 4 euro e 99 al mese possono ascoltare contenuti d’audio in alta qualità senza nessun limite (versione “unlimited”) oppure per 9 euro e 99 al mese (versione “premium”) è possibile scaricare sul proprio pc i brani e usufruirne su più dispositivi. L’Italia arriva buon ultima a godere del servizio di Spotify, non tanto per le ridotte dimensioni del nostro mercato musicale e neppure per i mancati accordi con le case discografiche, ma semplicemente per un problema di pagamenti dilazionati praticato dalle agenzie di pubblicità, sui quali si finanzia Spotify.

    Il mercato discografico è profondamente cambiato negli ultimi dieci anni. La diffusione della musica in formato digitale, se da una parte ha ucciso il vecchio scenario di dischi e cd (solo nel 2012 è calato del 22 per cento rispetto all’anno prima – dati Fimi), dall’altra ha permesso sia agli utenti sia ai musicisti emergenti di allargare a dismisura i propri orizzonti. Grazie alla “viralità” e alla condivisione sui social, la Rete è diventata il maggior veicolo globale di diffusione musicale.
    Se fino a oggi il mercato digitale (che in Italia vale ancora poco, il 33 per cento) era principalmente costituito da iTunes, riuscirà Spotify con la sua forma all-you-can-listen a modificare radicalmente il nostro modo di fruire la musica così come è avvenuto nel resto del mondo? Ne riparleremo tra circa sei mesi, intanto buon Festivàl. 

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