La rivoluzione di Obama contro le agenzie di rating parte dal diritto

Alberto Brambilla

Il derivato strutturato che ha portato al fallimento la società finanziaria New York Insurance nel 2008 aveva il nome di una piccola costellazione visibile dall’emisfero nord del globo, la Corona Borealis. Artefice del celeste inganno era la banca d’affari Lehman Brothers che aveva sottoscritto il titolo finanziario, cui l’agenzia di rating Standard & Poor’s attribuiva il giudizio massimo pur sapendo che si trattava di un prodotto tossico per i bilanci dell’istituto.

    Il derivato strutturato che ha portato al fallimento la società finanziaria New York Insurance nel 2008 aveva il nome di una piccola costellazione visibile dall’emisfero nord del globo, la Corona Borealis. Artefice del celeste inganno era la banca d’affari Lehman Brothers che aveva sottoscritto il titolo finanziario, cui l’agenzia di rating Standard & Poor’s attribuiva il giudizio massimo pur sapendo che si trattava di un prodotto tossico per i bilanci dell’istituto. Quello della banca newyorchese è solo uno dei tanti casi che ha portato la settimana scorsa l’Amministrazione Obama ad accusare S&P’s di truffa con la richiesta di risarcimento per 5 miliardi di dollari (causa che potrebbe toccare anche Moody’s e Fitch). “I conflitti di interesse delle agenzie e i conseguenti rischi di inaffidabilità del rating sono sul tavolo da tempo. Solo con la crisi finanziaria sono diventate bersaglio di critiche diffuse, ma la storia del rating è ricca di errori spesso fatali”, dice al Foglio Mauro Bussani, esperto del tema e professore di Diritto comparato all’Università di Trieste.

    Per dimostrare la fallibilità delle agenzie, Bussani ricorda che solo nel 2008 S & P’s aveva declassato per la prima volta il merito di credito greco, Moody’s l’aveva fatto un anno dopo salvo poi definire “marginale” il rischio default della Grecia. Secondo Bussani, “il vero valore aggiunto” delle iniziative del dipartimento di Giustizia americano è il tentativo di rendere le agenzie di rating responsabili delle loro decisioni in sede civile: “Finora si era usato un approccio a dir poco sorprendente – dice – specie se si considera che, sul fronte giudiziale, le agenzie sono state sempre e ovunque considerate sostanzialmente immuni da ogni responsabilità”. Per Bussani, che è anche direttore della International Association of Legal Sciences, “la responsabilità delle agenzie di rating per i danni causati dalle proprie azioni rappresenta dunque un pilastro fondamentale della civiltà occidentale”. Da un lato, dice Bussani, “nessuno può negare che la responsabilità civile offre d’abitudine incentivi efficaci a impedire o prevenire condotte potenzialmente negligenti”, e dall’altro “è paradossale che un imprenditore debba sempre rispondere dei danni causati e le agenzie mai”. Considerazione ancora più importante se si pensa che le agenzie “operano in regime di oligopolio, non esiste possibilità di controllo ex ante sui giudizi da parte dei potenziali danneggiati e che i costi sociali prodotti dalle loro condotte e dai loro giudizi possono di gran lunga superare i benefici da essi generati”, ricorda Bussani. “Certo, dai giudici americani non possiamo aspettarci mirabilie perché sono molti i limiti tecnici a smorzare le azioni intentate contro le agenzie. Ma qualche raggio laser – prosegue il giurista – verrà certamente proiettato in quella giungla fitta di intrecci fra asettici algoritmi e umane, troppo umane, connivenze”.

    Per ora è quasi impossibile fare a meno dei rating di S & P’s, Moody’s e Fitch (a proposito: curioso che quest’ultima abbia declassato la sorella S & P’s dopo la decisione presa a Washington). “Finché i costi delle analisi indipendenti rimarranno alti – nota Bussani – nessuno può attendersi che gli investitori cessino di fare affidamento sulle agenzie di rating dei tre oligopolisti”, auspicio espresso anche da Mario Draghi quand’era ancora presidente del Financial Stability Board. Dall’idea che le agenzie siano le uniche a potere emanare “rating” nasce la convinzione che siano fornitrici di un servizio pubblico: “Visione che sottende la scelta normativa statunitense ed europea di affidarsi a una sorveglianza di natura amministrativa”. Un’impostazione che ha risvolti sia positivi sia negativi. “E’ promettente la consapevolezza acquisita che debba essere esercitato un controllo pubblico sui poteri ‘de facto’ regolatori attribuiti dal mercato alle agenzie”, dice Bussani. “Il lato oscuro si ritrova invece nell’assenza di un disegno complessivo che consenta agli stessi attori sul mercato di esercitare un controllo decentrato sulle attività di rating, attraverso azioni risarcitorie volte a ripianare i danni arrecati dalle agenzie”. La proposta di regolamento europea è di “faticosa e lunghissima gestazione”, quella americana non è stata efficace, infatti il Dodd-Frank Act non è alla base delle azioni intentate ora dal dipartimento di Giustizia. Perciò le risposte dovrebbero essere di natura globale: “Non basta immaginare soluzioni solo americane o solo europee – conclude Bussani – perché la frammentazione normativa rischia di aumentare i costi sia dei controlli nazionali sia quelli legali per i soggetti, dislocati ovunque nel mondo e ingiustamente danneggiati dalle agenzie”.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.