Il lato umano

Annalena Benini

Il tilt di Maurizio Crozza a Sanremo ha svelato subito, come ogni momento di sincerità inaspettata, molto di noi: c’erano quelli che soffrivano davanti alla televisione e distoglievano lo sguardo per il dolore, sperando che Crozza si riprendesse e facesse ridere tantissimo tutti (ti prego fai Ingroia con la pistola, ti prego racconta di Giulia Sofia che inchioda centinaia di Ferrari per chiedere in che stagione siamo), c’erano quelli  contenti, anzi euforici per la disgrazia finalmente altrui, e infine i freddi, i razionali, che si limitavano a scuotere la testa: non ce la fa, è paralizzato, e spiegavano cosa avrebbe dovuto tecnicamente inventare Crozza per uscire dall’impasse.

    Il tilt di Maurizio Crozza a Sanremo ha svelato subito, come ogni momento di sincerità inaspettata, molto di noi: c’erano quelli che soffrivano davanti alla televisione e distoglievano lo sguardo per il dolore, sperando che Crozza si riprendesse e facesse ridere tantissimo tutti (ti prego fai Ingroia con la pistola, ti prego racconta di Giulia Sofia che inchioda centinaia di Ferrari per chiedere in che stagione siamo), c’erano quelli  contenti, anzi euforici per la disgrazia finalmente altrui, e infine i freddi, i razionali, che si limitavano a scuotere la testa: non ce la fa, è paralizzato, e spiegavano cosa avrebbe dovuto tecnicamente inventare Crozza per uscire dall’impasse: ridere e continuare, ribattere come sanno fare gli americani nella stand up comedy, prendere in giro i disturbatori come fa lui di solito con gli ospiti a “Ballarò”, scendere e fare a botte. Ma tutti si sono specchiati in quei secondi terribili, quando Crozza non riusciva ad andare avanti, sopraffatto dalla mascalzonata degli urlatori (“pirla!”, “vai a casa”). E’ stata la materializzazione di molti incubi, che affliggono non soltanto gli uomini da show: restare lì con la bocca secca, davanti a mezzo mondo (pure i russi), il vuoto nella testa e gli occhi sbarrati. Crozza poi, con il soccorso di Fabio Fazio, è arrivato fino in fondo al copione, ha fatto il picco di ascolti, l’Ariston gli ha tributato applausi di conforto, ma i suoi cavalli di battaglia erano avvolti a quel punto da uno strato di imbarazzo ghiacciato (oltre al fatto che ci avevamo già tanto riso sopra e li sapevamo a memoria) e lui non vedeva l’ora di andarsene. Dopo la parodia di Luca Cordero di Montezemolo, che di solito fa molto meglio, è quasi fuggito, con la faccia terrea e il suo lato umanissimo scoperto per sempre. E’ successa quella cosa che dicono accada con la televisione: ti svela l’anima. Così il super brillante e cattivo Crozza, depresso dalle urla dei disturbatori, è diventato uno di noi, quelli col senso di inadeguatezza e la battuta non pronta, quelli mai abbastanza preparati alla stronzaggine degli altri, quelli con gli attacchi di panico, quelli fragili. Quelli che restano zitti e dopo venti minuti creano interi mondi immaginari di risposte fulminanti: potevo dirgli così e così, l’avrei steso (anche se in questo Festival, come ha scritto la Littizzetto nella sua letterina, non si può nemmeno dire: culo).

    Ma la politica è un affare sanguinoso, e il contraddittorio immediato (inteso anche come urlaccio dalla platea: pirla!) è dappertutto, tranne che negli articoli di giornale e nei monologhi in tivù. Crozza pensava di poter fare il suo monologo consolidato, divertente ed equi-cattivo per la par condicio della satira, come un editoriale elegante e crudele, ma il palco era anomalo e il pubblico pieno di aspettative diverse (qualcuno sperava che Crozza osasse fare Joseph Ratzinger). Perfino Beppe Grillo è stato comprensivo: “Capisco Maurizio Crozza: pubblico disattento, rumoroso, il più difficile. Io ne ho fatti sei: non hai una platea attenta, non è un teatro, sei in una diretta. Lo sbaglio forse è stato entrare vestito da fantasma, da Berlusconi, che oramai è in oblio. Crozza comunque è straordinario”. Lo sbaglio forse è stato arrivare a Sanremo pensando che fosse un posto come gli altri, dove far sfilare freddamente la propria genialità, senza tener conto che la politica, praticata o presa in giro, è roba da cattivi, e bisogna essere pronti e cattivissimi per resistere sempre, col sorriso sulla faccia.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.