Interessi in conflitto

L'ultimo azzardo del Cav. si chiama accordo con Bersani

Salvatore Merlo

“Non credo che il Pdl possa andare in aiuto del Pd in Senato. Lo farà Grillo”. Ieri mattina, intervistato dall’Ansa, Silvio Berlusconi si è fatto scappare un’ammissione di debolezza. Voleva escludere ogni ipotesi di accordo con il Pd, ma il Cavaliere ha invece fatto capire di ritenere lui per primo improbabile che il Pdl possa costituire un consistente gruppo di minoranza in Senato nella prossima legislatura. La sconfitta, amara, è dietro l’angolo? Pare di sì.

    “Non credo che il Pdl possa andare in aiuto del Pd in Senato. Lo farà Grillo”. Ieri mattina, intervistato dall’Ansa, Silvio Berlusconi si è fatto scappare un’ammissione di debolezza. Voleva escludere ogni ipotesi di accordo con il Pd, ma il Cavaliere ha invece fatto capire di ritenere lui per primo improbabile che il Pdl possa costituire un consistente gruppo di minoranza in Senato nella prossima legislatura. La sconfitta, amara, è dietro l’angolo? Pare di sì, e la cosa non sorprende nessuno negli ambienti più informati del Castello berlusconiano. E’ l’aria, disincantata e realista, che tira a Palazzo Grazioli e in via dell’Umiltà. I proclami vittoriosi e le fanfare appartengono alla scena pubblica, al teatro, mentre alle spalle del proscenio è tutta un’altra cosa: la Sicilia, un tempo roccaforte e granaio di voti, è data definitivamente per persa, e in bilico (tendenza Pd) ci sono anche Campania, Lazio, Lombardia, Puglia. Queste due ultime regioni, poi, dopo i recentissimi guai giudiziari di Roberto Formigoni e Raffaele Fitto, sembrano irrimediabilmente compromesse. Insomma il Cavaliere, lucido nella sua folle rincorsa elettorale, sa che le elezioni sono irrimediabilmente perdute; sa benissimo che la favola del pareggio è propaganda (una leggenda cui si presta volentieri anche Bersani che ovviamente stimola la logica del voto utile agitando lo spettro di un evanescente ritorno del “puzzone” di Arcore).

    Ma allora che succede davvero? Da uomo adulto qual è, Berlusconi si prepara a giocare alla meglio le carte che gli sono rimaste in mano. Al di là dalle dichiarazioni pubbliche, messe da parte le affermazioni di prammatica e i richiami pugnaci (“mai un governo di unità nazionale con il Pd”), il Cavaliere conserva in tasca una lima di furbizia che si prepara a estrarre, ma solo un minuto dopo la chiusura delle urne. Lo ha confessato ai suoi uomini pochissimi giorni fa: “Proporrò un accordo a Bersani – ha detto Berlusconi – Ma non a Monti, che considero la più grande delusione della mia vita. Voglio tendere la mano al segretario del Pd”. E perché a Bersani, e non a Monti tornato a essere, archiviata la durezza della campagna elettorale, un interlocutore e un terzista? Semplicemente perché Monti è pericoloso, il professore anima un polo concorrenziale nei confronti del vecchio centrodestra del Cavaliere.

    Quella del tecnocrate bocconiano è una forza che punta esplicitamente ad attirare verso di se parecchio personale politico, deputati e senatori, dalle file di un Pdl già sfilacciato e lontano dal governo e dal potere vero. Così la proposta di un patto di legislatura avrebbe per Berlusconi un doppio vantaggio: gli permetterebbe di sedere al tavolo che conta (in una logica di responsabilità e unità nazionale per le riforme) e allo stesso tempo disinnescherebbe i movimenti minacciosi di un Monti che vede nel Pdl una prateria pronta a essere conquistata. “Dopo le elezioni come si terrà insieme questo mondo già disarticolato? Come faranno a restare uniti?”, si chiede Andrea Riccardi, il ministro montiano, riferendosi al Pdl e all’intenso tramestio che ancora agita le anime (specie i cattolici) del partito di Berlusconi. “Per le elezioni si sono ricompattati sotto l’ombrello del carisma del Cavaliere”, dice Riccardi. Ma dopo? Il rischio per Berlusconi è enorme. Dalle parti del Pd già lavorano a una norma sul conflitto di interessi.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.