Rubio contro il Big government
New York. Nel discorso sullo stato dell’Unione, Barack Obama ha presentato un’agenda politica che supera a sinistra anche le promesse iperboliche da campagna elettorale. Il presidente vuole una riforma per sostenere il mercato del lavoro, alzare il salario minimo a 9 dollari l’ora (con l’introduzione della scala mobile), nuovi investimenti sulla tecnologia, vuole un programma per ristrutturare o rimpiazzare le infrastrutture, vuole riformare l’educazione in modo che tutti i bambini possano accedere alle “preschool”, invoca una legge per ridurre le emissioni di anidride carbonica e combattere i cambiamenti climatici.
New York. Nel discorso sullo stato dell’Unione, Barack Obama ha presentato un’agenda politica che supera a sinistra anche le promesse iperboliche da campagna elettorale. Il presidente vuole una riforma per sostenere il mercato del lavoro, alzare il salario minimo a 9 dollari l’ora (con l’introduzione della scala mobile), nuovi investimenti sulla tecnologia, vuole un programma per ristrutturare o rimpiazzare le infrastrutture, vuole riformare l’educazione in modo che tutti i bambini possano accedere alle “preschool”, invoca una legge per ridurre le emissioni di anidride carbonica e combattere i cambiamenti climatici, chiede agli avversari di raggiungere un compromesso per riformare l’immigrazione e promette di andare allo scontro per limitare l’accesso alle armi da fuoco. Se riuscisse a realizzare soltanto la metà delle proposte lanciate martedì sera davanti al Congresso in seduta comune, il volto dell’America ne uscirebbe radicalmente cambiato. Il problema è che l’agenda dell’Obama di secondo mandato, quello che attinge dal vocabolario bipartisan per rendere più appettibile la sua rivoluzione liberal, ha costi enormi. Lui dice che tutto questo “non aumenterà di un centesimo il deficit” e l’Amministrazione troverà i soldi tassando ulteriormente i ricchi, attraendo capitali privati e mettendo in ordine un codice tributario che permette scappatoie e raggiri in abbondanza. Ma non spiega esattamente come queste entrate possano coprire un programma tanto vasto senza ricorrere a nuova spesa pubblica; per questo mentre Obama illustrava le idee per la sua nuova America e i presenti applaudivano con energia, tutti gli altri avevano in testa due parole soltanto: “Big government”.
Obama lo aveva previsto e il suo nuovo speechwriter in capo ha infilato nel discorso una specificazione che suona come una excusatio non petita: “Non abbiamo bisogno di un bigger government, ma di uno smarter government”, uno stato più intelligente e oculato. Nel 1996 un presidente democratico, Bill Clinton, aveva detto esplicitamente che “l’èra del big government è finita”; Obama ha detto implicitamente che per fare cose di sinistra quell’èra deve tornare.
Per questo la parola che ha stradominato il “rebuttal”, il controdiscorso repubblicano affidato al senatore Marco Rubio, è stata “government”. Rubio è stato celebrato nell’ultima copertina di Time come “il salvatore dei repubblicani”, ha messo la firma sulla bozza bipartisan per riformare l’immigrazione e il suo volto di cubano americano figlio di rifugiati della working class che vive ancora “nel quartiere dove sono nato”, come ha detto martedì in inglese e in spagnolo, è una possibile chiave per liberarsi dall’immagine del Gop come partito dei bianchi e per bianchi. Il modello Rubio può spezzare la concatenazione storica ricostruita da Sam Tanenhaus in un saggio apparso ieri sul Foglio e invertire la tendenza demografica che sembra indicare l’avvento di una “maggioranza democratica permanente”. Il Partito repubblicano di oggi fatica ad attrarre le minoranze, soprattutto gli ispanici (se Romney avesse ottenuto dai latinos gli stessi voti ottenuti da Bush oggi l’America avrebbe un presidente repubblicano) e il giovane Rubio ha l’aspetto e la sostanza per fare il grande salto.
Accettando di rispondere a Obama ha sfidato la scaramanzia – l’unico autore di un “rebuttal” che è poi diventato presidente è stato Gerald Ford, e non è stato nemmeno eletto – e ha scelto di martellare duramente il presidente sul pilastro che regge la sua agenda, il ruolo dello stato: “Più stato non crea più opportunità. Più stato non ci aiuta ad andare avanti. Più stato non ispirerà più idee, più aziende e più posti di lavoro”. Invece di rispondere alle proposte del presidente punto per punto, Rubio ha cercato di togliere fiato all’impostazione presidenziale smontando il tema a cui ogni singola proposta è agganciata. “La sua soluzione – ha spiegato – per tutti i problemi che dobbiamo affrontare è aumentare le tasse, fare più debito e spendere di più”. Ha anche accusato il big government di aver causato la crisi finanziaria (“una causa fondamentale della nostra recente recessione è stata una crisi immobiliare creata dalle politiche irresponsabili dello stato”), cosa che gli è valsa una reprimenda di Paul Krugman, medaglia al valore per un repubblicano che aspira a correre per il seggio più alto. Peccato per l’inelegante bottiglietta dalla quale a un certo punto il senatore ha bevuto, arma di distrazione di massa in un discorso che smonta la rivoluzione liberal di Obama.
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