Che si fa se crolla il Cav.

Così Monti prepara una grande opa postelettorale sui resti “ribelli” del Pdl

Salvatore Merlo

“Il Cavaliere ha naso, e se li è scelti bene i candidati al Senato, sono i duri e puri”, dice Roberto Rao, deputato dell’Udc, braccio destro di Pier Ferdinando Casini. Ma le antenne restano dritte, tutte puntate sul Pdl, “perchè quelli le elezioni le perdono”, dice Mario Sechi, capolista di Monti in Senato: “Perderanno il potere, che è un fortissimo collante. E un minuto dopo, in Aula può succedere qualsiasi cosa”. Passaggi da una parte all’altra, dal centrodestra al centro-montiano che, verosimilmente, starà al governo nella prossima legislatura con il Pd di Pier Luigi Bersani.

    “Il Cavaliere ha naso, e se li è scelti bene i candidati al Senato, sono i duri e puri”, dice Roberto Rao, deputato dell’Udc, braccio destro di Pier Ferdinando Casini. Ma le antenne restano dritte, tutte puntate sul Pdl, “perchè quelli le elezioni le perdono”, dice Mario Sechi, capolista di Monti in Senato: “Perderanno il potere, che è un fortissimo collante. E un minuto dopo, in Aula può succedere qualsiasi cosa”. Passaggi da una parte all’altra, dal centrodestra al centro-montiano che, verosimilmente, starà al governo nella prossima legislatura con il Pd di Pier Luigi Bersani. L’invito di Mario Monti al personale politico della destra berlusconiana è ormai esplicito: “Con Berlusconi la vedo difficile, è complicato interpretare il suo pensiero”, ha detto con garbo il professore intervistato dalla Gazzetta del Mezzogiorno. “Ma – ha aggiunto Monti – nel Pdl ci sono anche energie che, una volta liberatesi di Berlusconi e della Lega, potrebbero contribuire a un ampio schieramento utile per governare”. Nei mesi passati, prima della campagna elettorale, quando sembrava possibile un passo indietro del Cavaliere a favore di Angelino Alfano, moltissimi uomini del Pdl avevano bussato alle porte del montismo. Le personalità più rappresentative di Comunione e Liberazione si sono difatti divise: Mario Mauro è andato con il professore, e pure Roberto Formigoni ci ha pensato a lungo assieme a Maurizio Lupi. Per mesi è stato tutto il gruppone di centro del Pdl a guardare con attenzione al tecnocrate della Bocconi. A dicembre, nel Pdl sembrava pronta una scissione, con un pezzo del partito già riunito in una grande convention romana, al teatro olimpico, sotto le insegne di una nuova corrente d’ispirazione montiana: “Italia Popolare”. Un progetto poi naufragato, combattuto con sapienza dai pretoriani del Cavaliere e da Denis Verdini, una mossa che tuttavia aveva aggregato ex ministri come Maurizio Sacconi e Franco Frattini, capigruppo come Fabrizio Cicchitto, supergovernatori di regione come Formigoni, sindaci di peso come Gianni Alemanno. Mica poco. Tutti uniti a difesa dell’agenda Monti e del popolarismo europeo.

    “Italia Popolare”, la correntona poi caduta sotto i colpi durissimi del Cavaliere, puntava a incoronare Alfano e ad allearsi con Monti. Il gruppo di dignitari del Pdl, cattolici ma non solo, si era condensato attorno a un manifesto piuttosto esplicito in relazione agli orizzonti. “Noi siamo per un governo – questo scrivevano Formigoni, Alemanno e gli altri – che prosegua il difficile percorso delle riforme avviato in questi anni e a cui noi abbiamo contribuito in modo convinto. Non è il momento di dividere ma di unire”. Insomma non solo Monti come approdo auspicabile, ma anche un riferimento all’ipotesi di continuare sulla strada delle larghe intese “su un programma di riforme, serietà, sviluppo, impresa e lavoro”. Una piattaforma evidentemente lontana dalla più recente promessa di “condono tombale” e dalle fanfare sulla restituzione dell’Imu (i manifesti di propaganda adesso recitano così, meccanicamente: “Per ottenere la restituzione dell’Imu devi votare Berlusconi”).
    La fronda di “Italia Popolare” fu travolta un po’ per le incertezze di Monti, tentennante in quei primi mesi, e un po’ per la reazione del Cavaliere. Ma la semi ribellione dei mandarini, sostenuti dalle gerarchie ecclesiastiche, non si è mai del tutto assorbita. Qualcosa cova ancora sotto la cenere omologante della campagna elettorale e il Cavaliere, che non si aspetta un risultato stratosferico nelle urne, lo sa. Per questo Berlusconi ha selezionato con il lanternino i suoi candidati del Senato, l’ala ballerina del Parlamento, quella dove si costruirà la futura maggioranza. Ma saranno tutti davvero fedelissimi? “Il loro collante è il potere”, ripete Mario Sechi, “e non so quanto riusciranno a tenersene lontani”. C’è chi giura di aver già assistito a colloqui preventivi di uomini del Pdl con il professor Monti. Ma è solo una leggenda, forse un auspicio (o un timore?). Per ora.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.