Il momento di decidere sullo Ior
Lo Ior, negli ultimi tempi, ha compiuto significativi progressi sul piano della sana gestione e della trasparenza, ma non bastano. Non è stata ancora confermata, ma la nomina del nuovo presidente dell’Istituto e le altre misure in materia di composizione della governance sono un passo per la regolarizzazione, essendo la carica di vertice vacante da circa nove mesi, dall’epoca del dimissionamento all’unanimità di Ettore Gotti Tedeschi. Si dovrebbe voltare pagina, segnando una netta discontinuità rispetto a un periodo in cui le divisioni non sono mancate neppure dentro e intorno all’Istituto che significativamente si definisce “per le opere di religione”.
Lo Ior, negli ultimi tempi, ha compiuto significativi progressi sul piano della sana gestione e della trasparenza, ma non bastano. Non è stata ancora confermata, ma la nomina del nuovo presidente dell’Istituto e le altre misure in materia di composizione della governance sono un passo per la regolarizzazione, essendo la carica di vertice vacante da circa nove mesi, dall’epoca del dimissionamento all’unanimità di Ettore Gotti Tedeschi. Si dovrebbe voltare pagina, segnando una netta discontinuità rispetto a un periodo in cui le divisioni, alle quali il Papa ha fatto riferimento mercoledì scorso come fattore di “deturpazione” del volto della chiesa e pensando certo a episodi di maggior rilievo, non sono mancate neppure dentro e intorno all’Istituto che significativamente si definisce “per le opere di religione”.
Il fatto che la ricostituzione dei vertici avvenga nel contesto della rivoluzione promossa da Benedetto XVI con la sua “declaratio” – l’opposto della “viltade” che Dante ingenerosamente, però, attribuisce a Celestino V – non significa sottrarre decisionalità al nuovo successore “del maggior Piero”, bensì portare a compimento, nelle condizioni più favorevoli a una “metànoia”, un procedimento da tempo avviato con incarichi di consulenza e con attente verifiche per la selezione del personaggio più adeguato e credibile.
Lo Ior, dopo le difficili vicende che lo hanno riguardato, alcune non ancora concluse, deve ora significativamente salire nella reputazione italiana e internazionale e ricostruire la propria immagine. Deve completare l’opera per corrispondere all’adeguamento degli standard dell’antiriciclaggio nelle sei aree in cui le istituzioni comunitarie hanno rilevato carenze, in modo da poter creare i presupposti per l’iscrizione nella white list prevista dall’Ocse e prevenire vicende come quella della mancata autorizzazione alla Deutsche Bank a operare nello stato del Vaticano proprio per mancanza di una adeguata disciplina di contrasto del riciclaggio sul terreno finanziario. E’ chiaro che ogni episodio riconducibile a ipotesi di mala gestione si paga molto di più nell’oltretevere, perché immediatamente si pone l’interrogativo sulla corrispondenza tra la parola della chiesa e il concreto operare di una sua importante struttura.
Ma, in un’ottica magari di medio termine, sullo Ior sarebbe quanto mai opportuna una riflessione per una conclusiva decisione. Se si tratta di confermarne la natura di ente non bancario né finanziario, allora occorrerà intervenire sulle sue funzioni perché questa missione sia la più rigorosa e inattaccabile, affidando a banche operanti nella Comunità europea quelle operazioni che, dopo l’analisi, non dovessero risultare coerenti con tale identikit. A diversa conclusione si arriverebbe se si volesse optare per un profilo di vera e propria banca o di intermediario finanziario non bancario.
Quale che sia la scelta, sarà comunque necessario dotarsi, accanto alla normativa antiriciclaggio, di una generale disciplina di Vigilanza che potrà riguardare anche l’azione di banche estere, rispetto al Vaticano, che quivi intendessero operare. Insomma, sarebbe giunto il momento dell’estrema chiarezza. Siamo lontani dallo Ior di Marcinkus con il suo coinvolgimento, formalmente negato, nella vicenda dell’Ambrosiano di Calvi, nella quale si registrò il concorso di una finanza deteriore, di poteri occulti e criminali, di ingerenze partitiche. Successivamente, Giovanni Paolo II promosse una riforma dell’Istituto. L’evoluzione nel frattempo intervenuta rende ineludibile una ulteriore rivisitazione. E’ chiaro che la chiesa, per le sue necessarie opere, deve avere anche la disponibilità di mezzi. Ma, al tempo stesso, ha l’obbligo morale di far sì che una sua struttura non costituisca un caso suscettibile di contestazioni da parte delle autorità competenti e di critiche sul piano, innanzitutto, della legittimità, risultando paradossalmente assimilato alla situazione di alcuni paradisi fiscali, anche se non vanno trascurati i recenti progressi di cui si è detto.
Un istituto quale lo Ior deve poter sperimentare, quale che sia la natura che definirà una volta per tutte, un nuovo equilibrio tra efficienza, correttezza, trasparenza, da un lato, e carità cristiana, profonda eticità, solidarietà, dall’altro.
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