Odilo Pedro Scherer, brasiliano un po' tedesco, no pauperista
La grande incognita di questo Conclave sono i latino-americani. Nel 2005 espressero un candidato di peso, il gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires. Su di lui vennero convogliati i voti dei progressisti dopo che l’ipotesi di Carlo Maria Martini era tramontata. Ma fu anche a motivo di questa preferenza accordatagli dall’ala “sinistra” del collegio cardinalizio che l’elezione sfumò: i conservatori si allearono e puntarono su Ratzinger, portandolo in poche sessioni all’elezione. Ma Bergoglio era tutt’altro che un “progressista” nel senso comune dato al termine.
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La grande incognita di questo Conclave sono i latino-americani. Nel 2005 espressero un candidato di peso, il gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires. Su di lui vennero convogliati i voti dei progressisti dopo che l’ipotesi di Carlo Maria Martini era tramontata. Ma fu anche a motivo di questa preferenza accordatagli dall’ala “sinistra” del collegio cardinalizio che l’elezione sfumò: i conservatori si allearono e puntarono su Ratzinger, portandolo in poche sessioni all’elezione. Ma Bergoglio era tutt’altro che un “progressista” nel senso comune dato al termine: era ed è, piuttosto, un porporato dell’umile catechismo e delle beatitudini, uno che, quando centinaia di argentini si diedero da fare per raccogliere soldi per volare a Roma e omaggiarlo nel giorno in cui ricevette la berretta cardinalizia, si distinse per un’azione significativa: li obbligò a starsene in patria e ordinò di distribuire i denari ai poveri. “A Roma, fece festa quasi da solo”, scrisse Sandro Magister, “con austerità da Quaresima”.
Oggi il problema dei latino-americani è uno: presentare un candidato che non venga considerato come distante dalla dottrina di sempre. Una figura di popolo, certamente, ma in qualche modo sganciata dalle derive peggiori prodotte dalla cosiddetta Teologia della liberazione. Secondo molte delle gerarchie vaticane, esiste nel continente una Teologia della liberazione malsana che ricorre nell’errore definito “fatale” di collocare il povero come “primo principio operativo della teologia”, sostituendolo a Dio e a Gesù Cristo. Mentre ne esiste una più “sana”, preoccupata soltanto di dare risposta all’emergenza umana verificatasi in alcune situazioni sociali difficili del Terzo mondo, una teologia che a Roma ha come principale interprete l’attuale capo della Congregazione per la dottrina della fede, il teologo tedesco ed ex vescovo di Ratisbona, Gerhard Ludwig Müller.
Uno dei candidati più spendibili, in questo senso, fra i latino-americani è l’arcivescovo di San Paolo del Brasile, Odilo Pedro Scherer, il quale non a caso è di origini tedesche. 63 anni, arcivescovo metropolita di San Paolo, nonché membro della commissione cardinalizia di Vigilanza dello Ior e del consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, è un punto di riferimento per le gerarchie del continente. Assiduo frequentatore della curia romana, durante le ultime celebrazioni papali passeggiava come un prete qualsiasi – basco nero, impermeabile e una piccola 24 ore di stoffa – per le navate di San Pietro. Interpellato sulla Teologia della liberazione, anche lui come Müller ha avuto parole di elogio soprattutto “per quegli aspetti non politici”, come l’attenzione ai poveri e alle miserie umane. Agli occhi del Vaticano, una medaglia è stato l’attacco ricevuto nel 2007 dall’ex francescano ed ex presbitero Leonardo Boff. Fratello di quel Clodovis Boff che da tempo ha denunciato, in scia a Ratzinger, l’“errore di principio” su cui a suo giudizio si fonda la Teologia della liberazione, Leonardo ha sentenziato che le dichiarazioni di Scherer che criticano gli aspetti politici della Teologia della liberazione perché “sorpassati”, lo mostrano per quello che è, “un arcivescovo disinformato”. Dice: “Credo che il Vaticano sia cosciente di aver perso la battaglia contro la Teologia della liberazione”.
Per Boff la Teologia della liberazione “è viva ed è forte in Brasile e in molte parti del mondo, al contrario di quanto afferma il disinformato arcivescovo di San Paolo. Ovunque si può constatare come questa teologia sia radicata nelle chiese che si confrontano con i problemi della povertà e della ingiustizia sociale. Non fare propria questa missione significa essere cinici e distanziarsi dall’eredità di Gesù che non è morto vecchio nel suo letto ma giovane e sulla croce per effetto che la sua pratica aveva provocato”.
Nel 2007 queste dichiarazioni infastidirono molto Scherer, che oggi invece sembra essere consapevole di come quell’attacco lo metta sotto la giusta luce in vista del Conclave. Scherer è il grande organizzatore della Giornata mondiale della gioventù del prossimo agosto a Rio de Janeiro, alla quale avrebbe dovuto partecipare Benedetto XVI. Scherer ha avuto parole di elogio e di comprensione per le dimissioni del Papa, distanziandosi dunque da quanto detto da alcuni suoi confratelli più critici. Sui quotidiani locali è apparsa la nota pungente del presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile di Rio Grande do Sul, don Zeno Hastenteufel, vescovo di Novo Hamburgo: “Preso di sorpresa dalla notizia – riporta il quotidiano Correio do Povo – Hastenteufel ritiene che sarebbe più prudente per il cardinale Joseph Ratzinger lasciare la carica immediatamente, invece di segnare la data al 28 febbraio”. Infatti, “ora si creerà un periodo di quasi venti giorni di speculazioni. Tutti si staranno chiedendo chi sarà il nuovo Papa. Se è per motivi di salute che rinuncia a essere Papa, allora non può più esserlo da oggi”. Accanto a queste critiche, anche l’auspicio per un Papa brasiliano. Scrive il vescovo Darci Nicioli, sulle colonne del Nacional, che il Brasile merita un Papa perché “è il paese con il maggior numero di cattolici in tutto il mondo”.
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