Esiste un esodo dei renziani dal Pd? Forse sì. Piccola indagine

Claudio Cerasa

A otto giorni ormai dalle elezioni le rilevazioni demoscopiche consultate in queste ore dai massimi esponenti del centrosinistra escludono che si possa concretizzare una rimonta da parte del centrodestra, ma non escludono invece che la coalizione guidata da Bersani possa incontrare difficoltà nel conquistare una fetta importante del famoso (e forse determinante) bacino di elettori indecisi. Nel Pd nessuno crede che il Pdl e la Lega possano impensierire (almeno alla Camera) il “Nuovo Ulivo” di Bersani, ma ciò che piuttosto preoccupa un numero non indifferente di esponenti democratici è una questione delicata.

    A otto giorni ormai dalle elezioni le rilevazioni demoscopiche consultate in queste ore dai massimi esponenti del centrosinistra escludono che si possa concretizzare una rimonta da parte del centrodestra, ma non escludono invece che la coalizione guidata da Bersani possa incontrare difficoltà nel conquistare una fetta importante del famoso (e forse determinante) bacino di elettori indecisi. Nel Pd nessuno crede che il Pdl e la Lega possano impensierire (almeno alla Camera) il “Nuovo Ulivo” di Bersani, ma ciò che piuttosto preoccupa un numero non indifferente di esponenti democratici è una questione delicata che potremmo sintetizzare così: “Nei prossimi giorni sugli elettori indecisi non possiamo avere certezze, quello che però non possiamo rischiare è di non attirare nella nostra orbita gli elettori di Matteo Renzi. E non solo quelli che lo hanno votato alle primarie”. A parlare tra virgolette è Matteo Ricci, presidente della provincia di Pesaro, giovane turco e volto in ascesa del Pd, e il pensiero di Ricci è legato a una preoccupazione precisa coltivata da una buona parte del Pd: che alle urne i sostenitori di Renzi scelgano un percorso diverso rispetto a quello proposto da Bersani. Possibile? I sondaggi naturalmente non si possono citare, ma a testimoniare il timore che il 24 e 25 febbraio si possa verificare una diaspora renziana sono alcuni indizi disseminati qua e là durante la campagna elettorale. Il primo riguarda il numero consistente di renziani candidati da Mario Monti in alcune delle regioni chiave. L’elenco dei renziani passati con il prof. è significativo: da un lato candidati come Pietro Ichino, Gianluca Susta, Alessandro Maran, Adriana Galgano, Giuliano Gasparotti, Riccardo Puglisi e dall’altro sostenitori di peso come Paolo Fresco e Davide Serra. Accanto alla categoria dei renziani diventati montiani esiste anche un’altra tipologia “sospetta”: quella dei montiani del Pd rimasti fedeli al Pd nonostante la sconfitta di Renzi. Cosa faranno? Sosterranno Bersani? Voteranno Monti?

    Impossibile dare una risposta definitiva ma a questo proposito è significativa l’indicazione di voto proposta (sul sito landino.it) da uno degli intellettuali di riferimento della corrente: quel Giorgio Armillei che un paio di giorni fa in un articolo molto rilanciato dai demo-montiani (Ceccanti, Ranieri, Tonini e compagnia) ha suggerito una soluzione perfetta per “costringere il bersanismo a fare i conti con gli spezzoni di riformismo liberale presenti altrove”. Questa: voto alla Camera per Bersani, voto al Senato per Monti. Oltre ai montiani l’altra realtà politica che ha avuto l’effetto di attirare nella sua orbita un blocco consistente di simpatizzanti renziani è il movimento di Oscar Giannino (lui stesso ha confessato che se avesse vinto Renzi lo avrebbe sostenuto) che tra i suoi animatori ha diversi militanti che si erano avvicinati a Renzi e che dopo la sua sconfitta non si sono sentiti rappresentati da Bersani e hanno cambiato aria. Esempi come Luigi Zingales (grande protagonista della Leopolda 2011), come Carlo Stagnaro, come Michele Boldrin, come Alessandro De Nicola, come Luciano Lavecchia (sostenitore in Sicilia di Renzi e oggi coordinatore regionale di Fare) ed esempi come Alessandro Petretto, che oltre a essere economista stimato incidentalmente è anche assessore al Bilancio di Matteo Renzi al comune di Firenze. “Ciò che ho avuto la possibilità di notare in questi giorni – racconta Mila Spicola, una delle coordinatrici dei comitati Renzi a Palermo – è che chi era nel Pd e ha votato per Renzi voterà per Bersani; mentre chi non era nel Pd e ha votato per Renzi non voterà per Bersani. A chi andranno i loro voti? Difficile da dire. Io però in Sicilia conosco molti renziani tentati dal votare per Grillo”.

    Sicilia a parte – dove il Pd teme che il primato in regione gli possa essere sottratto da Grillo, e non è un caso che il 21 febbraio Renzi sarà nuovamente in piazza con Bersani proprio a Palermo – casi significativi di renziani passati con Grillo non sono molti e l’unico degno di nota si trova in Umbria, a Todi, dove uno dei consiglieri comunali che si era mobilitato per il sindaco di Firenze (Mauro Giorgi) è diventato un sostenitore del comico genovese, al punto da aver organizzato a gennaio alcuni banchetti per raccogliere le firme per il Movimento Cinque Stelle. E dunque, a parte la Sicilia e la Lombardia (dove Bersani teme una diaspora di elettori renziani, tra Monti, Grillo e Giannino) le altre regioni tenute sotto controllo dal Pd sono le tre in cui Renzi ha ottenuto il pieno di voti al primo turno delle primarie: Toscana, Umbria e Marche (qui Renzi il 25 novembre prese più voti del segretario). In alcune di queste regioni (Toscana e Umbria) Monti ha schierato non a caso come capilista alcuni ex renziani (Ichino in Toscana, Galgano in Umbria). Mentre in un’altra di queste (le Marche) il prof. ha stretto un accordo di fatto con il presidente della regione Gian Mario Spacca, che pur essendo esponente del Pd avrebbe suggerito a Monti i nomi giusti da candidare in cima alle liste di Camera e Senato (Maria Paola Merloni, ex renziana, e Roberto Oreficini Rosi).

    “Le Marche – dice Ricci – sono una di quelle regioni in cui in molti hanno tentato di ‘sottrarci’ gli elettori renziani ma stiamo lavorando bene e sono convinto che riusciremo ad avere la meglio su tutti”. Nel dubbio però, partendo anche dalla consapevolezza che i primi indecisi da conquistare sono i renziani ancora incerti su Bersani, la provincia di Pesaro (primo caso in Italia) ha scelto un’immagine significativa per gli ultimi volantini da stampare in questa fase finale della campagna elettorale. Un volantino con la testatina “Italia Giusta” e con al centro la foto di Bersani non con Vendola bensì con Renzi. Il messaggio è chiaro. Basterà?

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.