L'aria pulita di Seán Patrick O'Malley, il cappuccino d'America
Se negli ultimi anni all’interno della curia romana è cresciuto il numero dei presuli salesiani grazie al fatto che salesiano è il cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone, è altrettanto indubitabile che accanto a loro a scalare i gradini delle gerarchie, almeno in continenti importanti come è il nord America, è un ordine che, come scrive il National Catholic Reporter, “non ti aspetteresti nei posti di comando”, quello dei frati minori cappuccini. Proprio loro, che nel 1525 riformarono il francescanesimo lasciando i conventi e i loro agi nel nome di un ritorno puro al Vangelo, sono oggi l’ordine che più indirizza la linea della chiesa degli Stati Uniti.
Se negli ultimi anni all’interno della curia romana è cresciuto il numero dei presuli salesiani grazie al fatto che salesiano è il cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone, è altrettanto indubitabile che accanto a loro a scalare i gradini delle gerarchie, almeno in continenti importanti come è il nord America, è un ordine che, come scrive il National Catholic Reporter, “non ti aspetteresti nei posti di comando”, quello dei frati minori cappuccini. Proprio loro, che nel 1525 riformarono il francescanesimo lasciando i conventi e i loro agi nel nome di un ritorno puro al Vangelo, sono oggi l’ordine che più indirizza la linea della chiesa degli Stati Uniti. Non è tanto questione di numeri, ma dell’importanza e del valore dei posti occupati. Valore che ha un peso anche a Roma, tanto che non sono pochi coloro che si chiedono se sarà cappuccino il prossimo Papa. Sulla carta i cappuccini hanno i numeri per dare al pontificato una svolta: sono vicini al popolo, non hanno una mentalità “clericale”, puntano molto sulla collaborazione coi laici, hanno un modello di vita semplice che cattura. Tre caratteristiche tagliate per una chiesa che ha pagato dazio per gli scandali. E infatti non è un caso se a due dei vescovi cappuccini tra i più in vista degli Usa, Seán Patrick O’Malley e Charles Joseph Chaput, siano state affidate due diocesi dove lo scandalo della pedofilia è deflagrato in misura potente. E cioè le diocesi di Boston e di Philadelphia.
Come se dopo la grande accusa rivolta ai loro predecessori di non aver saputo gestire una situazione imbarazzante (il cardinale Bernard Francis Law a Boston e il cardinale Justin Francis Rigali a Philadelphia) ci fosse bisogno di figure dal profilo più pastorale e spirituale. Un profilo che O’Malley ha portato con azioni forti e incisive anche a Roma. Nel 2010, mentre il Papa tracciava la nuova linea di maggior rigore e trasparenza sulla pedofilia, O’Malley è uscito allo scoperto, con un’intervista rilasciata alla rivista National Catholic Reporter. Il contenuto aveva contorni a dir poco esplosivi: colpiva, infatti, duro il cardinale Angelo Sodano, ex segretario di stato di Giovanni Paolo II e nei primi anni di pontificato di Benedetto XVI, accusandolo di aver a lungo ostacolato l’opera di pulizia intrapresa dall’allora cardinale Ratzinger nei confronti di personalità del peso di Hans Hermann Groër, arcivescovo di Vienna, e di Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, entrambi accusati di abusi sessuali e infine, troppo tardi, riconosciuti colpevoli. Certo, un’uscita del genere non rese del tutto popolare O’Malley a Roma e in Vaticano, ma col passare dei mesi non sono stati pochi i cardinali presenti all’interno del collegio cardinalizio che gli sono andati dietro capendo l’importanza politica e insieme spirituale delle sue parole.
O’Malley è un porporato umile, e la cosa non guasta in una curia romana che soffre di non poche difficoltà finanziarie. Non a caso, è un principe della chiesa che preferisce il suo semplice saio cappuccino color marrone alla raffinatezza sartoriale a cui il suo ufficio gli dà diritto. Un cardinale che ama dialogare coi suoi fedeli su Twitter e che usa un suo personale blog come importante strumento non tanto di comunicazione ma d’incontro con tutti, fedeli e anche con i non credenti. Un profilo soft che molto tende a includere piuttosto che escludere, seppure anch’egli, come la maggior parte dei suoi confratelli, sappia tenere ben diritta la barra della dottrina anche quando questa diviene poco popolare. Per esempio, in occasione del quarantesimo anniversario della legalizzazione dell’aborto, avvenuta tramite la sentenza della Corte suprema “Roe Vs. Wade” del 22 gennaio 1973, O’Malley non solo ha spinto tutti i vescovi americani a intraprendere una novena di preghiera e penitenza che coinvolgesse tutte le diocesi del paese, ma ha anche tuonato contro una politica che non agisce in favore della vita: “Il male inflitto dall’aborto è inimmaginabile, ma Gesù può offrirci conforto e rinnovamento”. Parole decise, certo, seppure proprio lui, in tema di aborto, abbia saputo adottare anche una linea più aperta. Tempo fa, ad esempio, decise di partecipare ai funerali del senatore cattolico e democratico Edward Kennedy. Il Vaticano criticò tale scelta: Kennedy, infatti, non seguì l’insegnamento della chiesa in materia d’aborto. Ma O’Malley disse che concedere i funerali è un gesto di misericordia.
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