L'arrogante umiltà di Don Chisciotte e ciò che rivelano i suoi baffi

Alfonso Berardinelli

Messe per un momento da parte le sue dichiarazioni e la sua pittura, se c’è una cosa che si sopporta poco in Salvador Dalí sono i suoi baffi. Sono baffi rivolti istericamente all’insù, baffi eretti e rigidi come lame. Baffi nei quali, nonostante il surrealismo con la sua presupposta saggezza, sembra che torni piuttosto la spavalderia facinorosa di Filippo Tommaso Marinetti, un genio non immune dall’imbecillità. Baffi del genere sono proprio baffi d’avanguardia, baffi vincenti e trionfali, “a passo di corsa” verso il futuro. I baffi di Dalí esprimerebbero una tipica fierezza ispanica? C’è da dubitarne.

    Messe per un momento da parte le sue dichiarazioni e la sua pittura, se c’è una cosa che si sopporta poco in Salvador Dalí sono i suoi baffi. Sono baffi rivolti istericamente all’insù, baffi eretti e rigidi come lame. Baffi nei quali, nonostante il surrealismo con la sua presupposta saggezza, sembra che torni piuttosto la spavalderia facinorosa di Filippo Tommaso Marinetti, un genio non immune dall’imbecillità. Baffi del genere sono proprio baffi d’avanguardia, baffi vincenti e trionfali, “a passo di corsa” verso il futuro.
    I baffi di Dalí esprimerebbero una tipica fierezza ispanica? C’è da dubitarne. I suoi cari amici di gioventù, Federico García Lorca e Luis Buñuel, avevano tutt’altro carattere: eleganza naturale e una mansueta, umoristica leggerezza. E poi c’è la testimonianza del grande Miguel de Unamuno, scrittore filosofo che ha fatto di Don Chisciotte, idealista sconfitto, il centro della sua riflessione. E Unamuno, di una generazione più anziano di Dalí, ha scritto un breve saggio proprio sui baffi di Don Chisciotte: baffi “grandi, neri e spioventi”, i baffi di una sublime, umile saggezza, eroica e malinconica, in cui si incontrano, con qualche evidente e comica contraddizione, la lezione di Gesù e i miti cavallereschi. I baffi all’insù di Dalí potrebbero essere letti come un chiaro segno di quello che con amarezza paradossale afferma Unamuno: e cioè che in Spagna l’eroe creato da Cervantes non è capito e quel meraviglioso libro risulta poco letto perfino dalle persone colte. Più vicini all’“ingenioso hidalgo”, dice Unamuno, si sarebbero dimostrati gli inglesi e i russi e chiunque ha saputo vedere e amare quel personaggio al di là del libro, perché Cervantes è soltanto uno scrittore spagnolo morto secoli fa, mentre Don Chisciotte è universale e non muore mai.

    Quei baffi grandi, neri e spioventi del Grande Cavaliere dalla Triste Figura erano “segno di nobilissima umiltà o, se mi si concede un paradosso, di arrogantissima umiltà”. Le interpretazioni di Unamuno possono essere provocanti e contraddittorie, ma lui è un vero e donchisciottesco innamorato dell’impareggiabile eroe antimoderno e come ogni innamorato a volte adora e a volte maledice.
    Nel suo articolo sui baffi (pubblicato nel 1914) così scrive: “Dicono che l’abilità consiste nel conoscere gli uomini e nel saperli ingannare, e questa era l’arte di Machiavelli. Ma io vi dico che la vera abilità consiste nel conoscere se stessi e così non ingannarsi. E Don Chisciotte,  il pazzo, conosce se stesso e non si ingannava (…) Sapeva molto bene, Don Chischiotte, che i mulini a vento erano mulini e non giganti, quando si confrontava con loro come se lo fossero. Ma lui voleva che lo fossero e dava luogo alla sua impresa cercando eroicamente quella che il mondo considerava una sconfitta, e che invece non lo era – Io so chi sono! – esclamò una volta in modo arrogante, ed era la verità: lui sapeva chi era”.
    Il libro da cui ricavo questa citazione, “In viaggio con Don Chischiotte” (a cura di Enrico Lodi, Medusa, 139 pagine, 16,50 euro) raccoglie articoli scritti da Miguel de Unamuno fra il 1895 e il 1932, che l’autore mai pubblicò in volume. Dunque una vita di riflessioni e di polemiche sulla Spagna moderna ispirate da quell’eroe della sconfitta, sul quale sembra che gli studiosi e gli eruditi (almeno quelli a cui allude Unamuno) non siano mai capaci di pronunciare qualche verità extratestuale. Secondo Unamuno, è meglio abusare di Don Chisciotte trascinandolo nei conflitti e nelle angosce del presente, che lasciarlo quieto nell’epoca in cui fu concepito. I grandi miti, i grandi personaggi continuano a produrre significati anche se li si interroga in situazioni storicamente diverse e remote.

    Spagnoli e latino-americani possono continuare a esaltarsi o flagellarsi pensando che il “chisciottismo” li ha rovinati con la mania della nobiltà, con un’idealistica rigidezza, con le sue armi incapaci di vincere. Ma tutti sanno che quell’inverosimile eroe esemplifica una teoria dell’intellettuale nutrito e isterilito dall’infatuazione per i libri del passato: una teoria, in particolare, dell’intellettuale-lettore che passa all’azione. Non si deve credere che l’azione sia reale solo perché è azione, perché trasferisce il lettore dal libro alla vita.  Ci sono azioni più immaginarie, più irreali di qualsiasi lettura.
    Su un punto comunque Don Chisciotte continua ad avere le sue ragioni: ingrandire i propri avversari e nobilitare le proprie imprese può rendere ridicoli, ma costringe la realtà a rivelarsi insufficiente, se non meschina. Quando non è solo tecnica, la cultura inventa sia la realtà che le idee con cui misurarla.