Lezione di politica alta, ma la chiesa non ce la fa a contrastare la vittoria dell'irresponsabilità dei diritti
Ha scritto il filosofo e politico di sinistra Mario Tronti, sull’Unità, che gli piace pensare “in maggior grado a una stanchezza dello spirito” e non del corpo, come ragione fondamentale delle dimissioni di Papa Benedetto XVI. E questo perché, ci spiega, “ho sempre apprezzato nella sua figura l’apparente fragilità, quel modo di non trovarsi e non apparire a proprio agio nell’importante funzione che doveva svolgere. E’ come se ci fosse sempre stata, in sottofondo, una contraddizione tra la personalità spirituale di questo personaggio e il soglio pontificio dal quale doveva parlare e decidere.
Ha scritto il filosofo e politico di sinistra Mario Tronti, sull’Unità, che gli piace pensare “in maggior grado a una stanchezza dello spirito” e non del corpo, come ragione fondamentale delle dimissioni di Papa Benedetto XVI. E questo perché, ci spiega, “ho sempre apprezzato nella sua figura l’apparente fragilità, quel modo di non trovarsi e non apparire a proprio agio nell’importante funzione che doveva svolgere. E’ come se ci fosse sempre stata, in sottofondo, una contraddizione tra la personalità spirituale di questo personaggio e il soglio pontificio dal quale doveva parlare e decidere. Quella di Ratzinger mi è sempre sembrata una figura di profonda spiritualità, e non sempre i pontefici mostrano questo aspetto. Il Papa precedente era un combattente, un trascinatore, un grande comunicatore, per lui la fragilità è arrivata solo con l’estrema vecchiaia e con la malattia. Ratzinger si è sempre presentato in forma opposta. Un teologo ritratto nei propri studi, vicino a esperienze mistiche, così come lo furono i suoi referenti teologici, prima di tutto Agostino”.
Il gesto di rinucia fatto dal Papa lo proietta sul palcoscenico come non mai. Ma la sua è davvero una rinuncia? “Rifuggirei da una lettura ‘politica’ del gesto, mentre mi convince la tesi del direttore del Foglio: quello di Ratzinger è un atto di riforma dall’alto della chiesa. E’ qualcosa che si pone allo stesso livello di un Concilio e che vuole segnare una discontinuità, imporre un momento di rottura in una situazione della chiesa che si stava deteriorando, sia nell’immagine collettiva sia in quella culturale. La decisione di Benedetto XVI è come una frustata all’istituzione chiesa, perché si rimetta sui giusti binari, su un solco di riscossa. Ma vi si può anche leggere un aspetto di pessimismo, la convinzione di non poter riuscire personalmente a portare a compimento quell’operazione necessaria”. Tronti pensa che il pessimismo “sia una caratteristica del personaggio Ratzinger, e della cultura da cui proviene. Non dimentichiamo che si tratta di un tedesco che ha attraversato il Novecento e la sua cultura della crisi. Il pessimismo può non riguardare semplicemente la possibilità di incidere sulla chiesa, ma anche la risposta del mondo fuori. Appena salito al soglio pontificio, a differenza del Papa precedente che aveva solcato il mondo, Ratzinger aveva guardato subito all’Europa come obiettivo primo del proprio pontificato. Lo aveva fatto per natura, per costituzione culturale, ma anche perché è qui in Europa che il cristianesimo perde colpi, mentre negli altri continenti – in Asia, in Africa, in America latina – conserva la sua forza. Ma il cristianesimo che perde l’Europa, va verso la sconfitta, e credo che nelle dimissioni del Papa ci sia l’ammissione di una sconfitta, per l’incapacità di rafforzare il cristianesimo nella sua sede naturale”. Anche l’altra grande battaglia che Ratzinger ha combattuto, “quella contro il relativismo, segna sempre maggiori difficoltà, mentre la secolarizzazione selvaggia arriva a minare anche le tradizioni della chiesa in quanto tale”. Tronti riconosce a Benedetto XVI – ed è il motivo della sua consonanza con il pensiero del Papa – di aver sottolineato “l’unità dinamica di questione sociale, di questione antropologica. E’ stato ed è un suo grande merito. Ma la chiesa non ce la fa più a contrastare la modernizzazione antropologica. Assistiamo alla vittoria assoluta dell’individualismo e dell’irresponsabilità dei diritti”. Il suo addio traumatico al pontificato può essere un modo per “purificare” dal potere il suo messaggio e la sua sfida? “Ho usato la metafora della kenosi, dello ‘svuotarsi’ dell’onnipotenza, come categoria importante per decifrare questo evento. L’addio al pontificato di Ratzinger è un tentativo di svuotare un potere eccessivo che non è riuscito, nelle forme tradizionali, a cambiare le cose. Ma penso che non solo il potere debba svuotarsi. Anche l’individuo deve svuotarsi dell’onnipotenza che diventa irresponsabilità e che afferma: ‘nulla deve essere vietato’. Vale anche per la mia parte politica, la sinistra. Non bisogna inseguire i diritti, si perde di vista l’obiettivo. Questa è anche la lezione di politica ‘alta’, nel senso migliore del termine, che ci ha dato Ratzinger”.
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