Quella indisposizione del popolo di sinistra davanti alla Piazza espropriata da Grillo

Stefano Di Michele

"Piazza, bella piazza / ci passò una lepre pazza…” – oppure, a scelta, far transitare “una volpe pazza”, e persino “la pupazza”. O un Grillo, anziché lepre o volpe o pupazza: che con piazza certo non fa rima, ma intanto la piazza si prende – idea pazza / pazza idea / piazza San Giovanni espugnata. Di salto in tuffo, battendo in volata i sonnolenti democratici, “arrivati dopo un po’ con calma”, lo stellato non candidato ha costretto i bersaniani in ritirata per il comizio finale di venerdì prossimo – ritirata, poi, con beffa finale: costretti a chiudere la campagna elettorale all’Ambra Jovinelli, dove peraltro l’hanno aperta, dopo un intenso batti e ribatti al sacrosanto grido di battaglia “basta col cabaret!” – lì, dove fu il regno dell’ottimo e mejo avanspettacolo.

    "Piazza, bella piazza / ci passò una lepre pazza…” – oppure, a scelta, far transitare “una volpe pazza”, e persino “la pupazza”. O un Grillo, anziché lepre o volpe o pupazza: che con piazza certo non fa rima, ma intanto la piazza si prende – idea pazza / pazza idea / piazza San Giovanni espugnata. Di salto in tuffo, battendo in volata i sonnolenti democratici, “arrivati dopo un po’ con calma”, lo stellato non candidato ha costretto i bersaniani in ritirata per il comizio finale di venerdì prossimo – ritirata, poi, con beffa finale: costretti a chiudere la campagna elettorale all’Ambra Jovinelli, dove peraltro l’hanno aperta, dopo un intenso batti e ribatti al sacrosanto grido di battaglia “basta col cabaret!” – lì, dove fu il regno dell’ottimo e mejo avanspettacolo. Per la sinistra orba di piazza San Giovanni è più che il ritardo prefettizio, molto oltre la concessione questurina: una sconsacrazione, una mesta sottrazione, un’onta che giusto una maggioranza assoluta potrebbe lavare: occupare alla grande piazza Duomo a Milano, e poi perdere sul filo di lana la possibilità della replica finale a piazza San Giovanni è faccenda indubbiamente capace, come con maligna precisione ha osservato Grillo, di provocare “un leggero mancamento”.

    Non una piazza come tutte le altre, nella storia della sinistra, non un qualunque luogo di assembramento – ma la PIAZZA, il posto della memoria, dove le grandi battaglie si annunciavano, i trionfi si magnificavano, i funerali si celebravano. Stava alla sinistra, piazza San Giovanni, come le Botteghe Oscure, le Frattocchie e Fiorella Mannoia che canta Manu Chao. Erano, quei 42 mila e 700 metri quadrati all’ombra della basilica, l’Area 51 del Pci e di ciò che dal Pci è poi venuto, e dei sindacati – che lì ogni Primo maggio al concerto ormai si danno, e lì dove Lama e Di Vittorio comiziavano il preservativo con Piero Pelù si mostra e il rock si esalta – un’ombra di metalmeccanici e il predominio ormai di Dylan Dog. Aveva subìto, con il passare degli anni, qualche lieve incursione – ma sempre, come si diceva: con fraterna polemica: per esempio, a San Giovanni si dirottarono, oltre dieci anni fa, i girotondini (do you remember , i girotondini?) morettiani, causa gran affollamento degli stessi, e Fassino fu costretto a inviare una missiva, “cari amici, il 14 settembre sarò in piazza con voi a San Giovanni”, farsi ospite dove si era padrone. “Non perdiamoci di vista!”, urlò Nanni dal palco. Si persero. E sempre lì, nell’autunno scorso, s’adunarono per il “No Monti day”, e all’epoca del tentennante ultimo governo Prodi, nel 2007, si concentrarono quelli della sinistra più sinistra dell’Unione, con il concorso del compagno Ingrao, “e perché no? vogliamo proprio la luna”, a (giusto) disdoro del precariato. “Il premier  è più forte” – si vide poi quanto, e si capiva benissimo subito. Ma al massimo, si trattava di compagni che sbagliavano, di insofferenti con cui fare accordi, di scapestrati della società civile a cui sempre un sorriso di circostanza va riservato. Ma soprattutto e sempre, piazza San Giovanni era altro, persino nell’immaginario del paese non di sinistra. Lì le masse comuniste accorrevano per Togliatti – dal quel palco fu lanciata la proposta di scalciare il deretano di De Gasperi, lì tenne il suo ultimo grande comizio, nell’aprile del ’63, poco prima di morire – lì si riversavano per Berlinguer; e lì, i due massimi leader comunisti ebbero esequie sconfinate e di massa: tanto sconfinate e tanto di massa da farsi mediaticamente quasi esequie di tutta la nazione.

    Quella era la piazza dove si spargevano i grandi scioperi generali, e sempre ogni manifestazione era “la più grande nella storia della Repubblica”, e i treni arrivavano a frotte, le navi traghetto approdavano copiose, gli aerei planavano a ondate: e militanti si calavano in strada e verso la sacralità di San Giovanni gagliardamente si dirigevano, e canti e bandiere e slogan, spesso con appositi filmati realizzati da appositi compagni registi militanti e ovvia diretta su Rai Tre. Qui Lama celebrò (cautamente dubbioso) il referendum sulla scala mobile, e Berlinguer innalzava l’Unità col grande titolo, “Eccoci!”, pur restando a bordo piazza. Qui, l’autunno scorso, la Cgil camussiana arrivò in massa, contro le politiche dei professori montiani, “non c’era bisogno di mettere dei professori al governo”. E sempre nel piazzale di San Giovanni – dove le streghe si celebravano e dalle streghe ci si difendeva con scope di saggina e sale grosso – il Pd ha dato fiato alle sue ultime grandi mobilitazioni: nel 2010, quando ancora il Cav. saldo stava, e neanche con le scope di saggina lo scacciavi, “Arcore, har(d)core”, e il dalemiano Latorre assicurava, “siamo tanti, siamo qui / ma non vogliamo rifondare il Pci!”. E poi ancora un anno dopo, nel precipitare del Cav. di Arcore (“se ne deve andare tra un minuto, tra un secondo”), e nell’avanzare del prof. della Bocconi, “in nome del popolo italiano”, e solito assembramento di navi e treni e pullman, mai meno di settecento. A dir la verità, un paio di volte a San Giovanni si trovarono pure i berlusconiani – e le cronache degli imbarcati moderati per la loro prima manifestazione facevano la gloria e lo sfottimento delle cronache giornalistiche: con giubilo, però, con granitici numeri finali. E dove a sinistra i rossi vantavano un milione, ecco che pronti erano i nuovi azzurri in somma di due milioni, a scarseggiare un milione e mezzo – che a dirla tutta, se vai a San Giovanni sotto un milione non puoi andare, così che anche Grillo, per la sua serata, “una serata che passerà alla Storia!” (con la maiuscola, sull’apposito blog), già certifica: “Saremo un milione”. Ma dare provvisoriamente San Giovanni al Cav. era come accogliere il vicino invidioso nel salotto buono, solo per farlo rosicare; farsi fregare la chiusura della campagna elettorale da un comico, invece, ha il sapore triste di un ingiusto contrappasso.

    E di fronte a tanti canti (“la storia siamo noiiiii...”) e a tanta passione del passato, ora s’affaccia pure l’ipotesi di Celentano nella piazza adesso sconsacrata: pare che sia già pronto l’apposito canto: “Se non voti ti fai del male / mi vuoi dire per quale partito dovrei votare…”. “Azzurro” – beninteso senza fraintendersi con il Cav., o un po’ fraintendersi: visto mai – onestamente era meglio. Così a Bersani resta “L’emozione non ha voce” – tenuto conto di un filo di comprensibile incazzatura. Sobria, però. Che mica siamo al cabaret.