Un generale iraniano è stato ucciso dagli israeliani in Siria?
Un generale iraniano con falso nome ucciso in Siria da uno strike israeliano? Il giorno di San Valentino un servizio fotografico dell’agenzia iraniana Fars, considerata vicina alle Guardie della rivoluzione (i pasdaran), coglie un crocchio eccezionale a un funerale nella capitale Teheran. Ci sono il ministro degli Esteri, Ali Akbar Salehi, il comandante delle Guardie della rivoluzione, Mohammed Ali Jafari, e il generale dell’intelligence pasdaran Qassem Suleimani, attorno al feretro del generale Hassan Shateri, l’ufficiale più alto in grado a morire durante un’operazione militare fuori dall’Iran.
Roma. Un generale iraniano con falso nome ucciso in Siria da uno strike israeliano? Il giorno di San Valentino un servizio fotografico dell’agenzia iraniana Fars, considerata vicina alle Guardie della rivoluzione (i pasdaran), coglie un crocchio eccezionale a un funerale nella capitale Teheran. Ci sono il ministro degli Esteri, Ali Akbar Salehi, il comandante delle Guardie della rivoluzione, Mohammed Ali Jafari, e il generale dell’intelligence pasdaran Qassem Suleimani, attorno al feretro del generale Hassan Shateri, l’ufficiale più alto in grado a morire durante un’operazione militare fuori dall’Iran. Sulla bara oltre al tricolore iraniano rimane per qualche minuto anche la bandiera gialla del movimento libanese Hezbollah, che manda un gruppo di suoi comandanti a partecipare alla cerimonia commemorativa che si tiene nello stesso momento all’ambasciata iraniana a Beirut.
Ci sono più versioni sulla morte del generale Shateri, anche lui appartenente al corpo dei pasdaran. Il 14 febbraio il quotidiano panarabo Asharq al Awsat, ostile al governo iraniano, scrive che il generale è stato ucciso in un’imboscata dei ribelli siriani tre giorni prima, lunedì 11 febbraio, assieme a due aiutanti, dopo che ha passato una settimana assieme ai capi militari siriani per fare il punto sulla guerra. “Il comandante Hassan Shateri è stato assassinato sulla strada tra Damasco e Beirut”, conferma lo stesso giorno il portavoce delle Guardie della rivoluzione, Ramezan Sharif, quando ormai il corpo è stato riportato alla città natale, Semnan, poco lontano da Teheran. Il sito conservatore iraniano Blogh, uno dei primi a dare la notizia della morte, scrive invece che il generale iraniano è stato ucciso sempre in uno scontro a fuoco ma ad Aleppo, molto più a nord-est. Terza versione: il portavoce del Jaish al Hur – l’esercito dei ribelli siriani – dice che Shateri è stato ucciso il 30 gennaio da un jet israeliano, durante la stessa incursione aerea in cui fu bombardato un centro per la ricerca militare poco fuori Damasco.
Dopo il raid dell’aviazione israeliana sulla Siria si disse che i bersagli sono stati due, separati: un convoglio che trasportava missili verso il Libano e il centro di ricerca militare. Dalle immagini è evidente però che il convoglio fu colpito quando ancora era dentro il perimetro della base siriana. Perché allora la notizia di due bombardamenti distinti? Forse perché il secondo obiettivo era la macchina del generale, in viaggio verso il Libano?
Il governo iraniano non precisa la data della morte di Shateri, si limita ad accusare “mercenari al soldo d’Israele” e a promettere vagamente vendetta contro il governo di Gerusalemme. Se il generale è stato ucciso nel raid aereo, Teheran ora è consapevole che gli israeliani conoscevano alla perfezione gli spostamenti del loro uomo e hanno compiuto l’attacco con precisione estrema, il che lascia supporre ottime fonti di intelligence dentro la Siria. Colpisce anche che la data della morte sia stata posticipata dagli iraniani, per non attribuirla direttamente all’azione dei militari israeliani, cosa che obbligherebbe il governo di Teheran a una reazione più impegnativa che una semplice minaccia pronunciata da funzionari di rango non alto.
Il 13 febbraio l’ambasciata iraniana a Beirut dà la notizia della morte del presidente della Comissione iraniana per la ricostruzione in Libano, con un nome differente, ingegnere Hessam Khoshnevis. Il sito in farsi della Bbc ne deduce che “il comandante Shateri operava sotto lo pseudonimo di Hessam Khoshnevis come rappresentante del presidente iraniano (Mahmoud Ahmadinejad) e come capo della ricostruzione nel sud del Libano.
Il pasdaran fu spedito in Libano nel 2006 dopo la guerra tra Hezbollah e Israele a gestire i 200 milioni di dollari che ogni anno l’Iran versa al movimento sciita per ricostruire il network di bunker e postazioni missilistiche appena a nord della linea di confine, scrive Asharq al Awsat. “Il generale faceva parte del Comando centrale di Hezbollah e aiutava a decidere la linea, consultandosi con il leader Hassan Nasrallah”. Grazie all’opera di “ricostruzione”, Hezbollah è riuscita a creare uno stato dentro lo stato in Libano, con un sistema separato di comunicazione via fibra e con acquisti di terreni strategici che hanno creato contiguità territoriale tra il confine siriano e le zone controllate dal gruppo. Shateri ha anche creato un impero commerciale di facciata in Libano, che include “banche, centri commerciali, alberghi, compagnie di trasporto, agenzie di viaggio, radio, televisioni e giornali”.
Il 10 febbraio il Washington Post ha scritto, citando fonti nel governo americano, che Iran e Hezbollah stanno formando in Siria una milizia locale che potrebbe contare fino a 50 mila uomini. Il gruppo è chiamato Jaysh al Shabi ed è modellato sui bassiji, le squadre paramilitari di volontari agli ordini delle Guardie della rivoluzione che in Iran hanno represso con violenza le proteste dopo le elezioni presidenziali del 2009. Secondo il Tesoro americano, il governo di Teheran finanzia i miliziani siriani con “milioni di dollari”, a dispetto della crisi economica.
La milizia dovrebbe proteggere il governo del presidente siriano Bashar el Assad oppure, in caso di caduta di Assad, gli interessi iraniani e di Hezbollah nell’area – per esempio mantenere integra una via di collegamento stradale tra la Siria e il Libano per muovere le armi attraverso il confine. La morte del generale che dirigeva le operazioni potrebbe avere ripercussioni a Teheran, dove la leadership è spaccata sull’appoggio oneroso e controproducente da dare ancora a Damasco.
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