Battaglia per Damasco
Ieri due colpi di mortaio sono caduti vicino allo stadio della capitale Damasco, vicino agli spogliatoi, e hanno ucciso un calciatore che si preparava a entrare in campo per gli allenamenti. Muore l’illusione che la capitale possa essere risparmiata dall’onda della guerra, ed era già successo il giorno prima, quando un gruppo di fuoco dei ribelli ha sparato cinque colpi di mortaio (calibro 120 millimetri, colpi pesanti, pericolosi) contro il palazzo presidenziale di Bashar el Assad, non quello sul monte Qassioun che affaccia sulla città, l’altro in basso, Qasr Tishrin, il palazzo d’Ottobre.
Ieri due colpi di mortaio sono caduti vicino allo stadio della capitale Damasco, vicino agli spogliatoi, e hanno ucciso un calciatore che si preparava a entrare in campo per gli allenamenti. Muore l’illusione che la capitale possa essere risparmiata dall’onda della guerra, ed era già successo il giorno prima, quando un gruppo di fuoco dei ribelli ha sparato cinque colpi di mortaio (calibro 120 millimetri, colpi pesanti, pericolosi) contro il palazzo presidenziale di Bashar el Assad, non quello sul monte Qassioun che affaccia sulla città, l’altro in basso, Qasr Tishrin, il palazzo d’Ottobre. I ribelli avevano già fatto fuoco altre volte, ma questa volta hanno colpito il muro di cinta meridionale e persino l’agenzia di stato Sana – che continua a occuparsi di mostre del cinema e di serate con dj locali – lo ha ammesso. Al palazzo sul monte Qassioun, centro simbolico del potere, e anche sede delle basi della Guardia repubblicana, va appena meglio, ieri spesse colonne di fumo si alzavano dalla zona. Per ora però la linea del fronte corre lungo tutta la tangenziale, che per consuetudine separa la città dall’immenso hinterland. Dentro gli ottantamila soldati di Assad e la loro superiorità di fuoco, fuori i ribelli, che ormai si muovono impuniti nella fascia esterna. Ieri per la prima volta le scuole hanno chiuso. Muore l’illusione di normalità, s’imbocca la stessa strada di Aleppo, trasformata da ribelli e governo in una Stalingrado araba. Questa volta potrebbe essere pure peggio.
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