La campagna acquisti del Cairo

Alberto Brambilla

Poco più di due anni fa, Urbano Cairo sedeva nella penombra degli studi di La7, alla periferia di Milano. Adesso è in predicato per diventarne il proprietario. Era la presentazione del palinsesto autunnale della “terza rete” d’Italia. Parterre composto dai volti televisivi che oggi sono l’anima di quella giovane realtà catodica che sta in mezzo al duopolio della comunicazione nazionale, quello Rai-Mediaset. Dal soffitto di quel capannone surriscaldato dal sole di giugno pendevano dieci stendardi (due metri per sei) con i “faccioni” delle star di La7.

    Poco più di due anni fa, Urbano Cairo sedeva nella penombra degli studi di La7, alla periferia di Milano. Adesso è in predicato per diventarne il proprietario. Era la presentazione del palinsesto autunnale della “terza rete” d’Italia. Parterre composto dai volti televisivi che oggi sono l’anima di quella giovane realtà catodica che sta in mezzo al duopolio della comunicazione nazionale, quello Rai-Mediaset. Dal soffitto di quel capannone surriscaldato dal sole di giugno pendevano dieci stendardi (due metri per sei) con i “faccioni” delle star di La7: dal giornalista Gad Lerner alla presentatrice Daria Bignardi, fino all’attuale direttore del TgLa7, Enrico Mentana, che lì ufficializzò l’approdo alla televisione di proprietà di Telecom Italia. A manifestazione conclusa tutti i flash erano per lui, il cronista che faceva notizia. Sorrisi, strette di mano e convenevoli. Cairo, invece, osservava dal lato del palco, forse soddisfatto per le novità in arrivo. Constatava, però, il “difficile periodo per i media” confidando al contempo in “una ripresa del mercato pubblicitario” e anticipando perciò la sua intenzione di continuare a investire in attesa di una “prossima espansione”. L’ha fatto davvero. Con un’offerta da 100 milioni di euro la Cairo Communication, che già raccoglie la pubblicità per la rete televisiva, tratterà in esclusiva con Telecom Italia l’acquisto di La7 e La7d (canale al femminile diventato un brand). La decisione è arrivata dopo diversi mesi di trattative e di offerte poi decadute. Il cda di Telecom ha infatti deciso, nella serata di lunedì, di scartare le proposte di Claudio Sposito, presidente del fondo Clessidra (più interessato alle frequenze che alla tv) e del patron di Tod’s, Diego Della Valle, che solo sabato scorso aveva manifestato interesse per La7. A sei giorni dalle elezioni politiche, anche questa partita è motivo di polemica tra Pd e Pdl (Bersani attacca parlando di “conflitto di interessi” e “posizioni dominanti”, affermazioni che per Berlusconi sono “avvertimenti mafiosi”).

    La stampa enfatizza che a inizio carriera Cairo è stato l’assistente di Berlusconi, autorizzando il Fatto quotidiano a titolare “Telecom regala La7 a Cairo, ora Berlusconi ha quattro tv”. Eppure Cairo, 55 anni, è stato licenziato da Berlusconi nel 1995 dopo quattro anni in Mondadori (“è stata la mia fortuna perché ho cominciato a fare l’imprenditore”, dice). Fu però spiacevole, ricorda chi lo conosce, e tra i due non ci sono più rapporti. Semmai Berlusconi è stato per Cairo un “modello vincente” che ha attivato in lui un “processo di identificazione imprenditoriale e di imitazione personale coronato dall’acquisto di La7”, o almeno è la lettura che se ne dà nell’alta finanza milanese (ambiente dove Cairo, piemontese innamorato di Milano, è noto). I parallelismi con Berlusconi sono facili ma servono solo a spiegare la carriera dell’imprenditore che è sia editore sia presidente del Torino Football Club. Dal 2004 la Cairo editore ha rosicchiato quote di mercato anche a Mondadori, diventando il primo venditore di settimanali popolari d’Italia come DiPiù, Effe, Settimanale nuovo e Diva e Donna (quota 1.850.000 copie). Lanciare un quotidiano tabloid d’ispirazione anglosassone resta però un sogno che Cairo coccola da anni. Da quando, studente bocconiano in trasferta alla New York University per un semestre, pensava a una carriera nella comunicazione e scrutava i grandi network americani. L’avventura calcistica, invece, è cominciata nel 2005, quando i granata lo osannavano per avere comprato il Toro a prezzo di sconto. Lo chiamavano “Papa Urbano” il giorno dell’acquisto della società, appena fallita, salvo poi dargli del “banfone” (bugiardo in piemontese) qualche anno dopo per via di alcuni acquisti avventati che avevano fatto retrocedere il Toro in serie B. Adesso, dopo sette anni di alti e bassi, sta tornando la pace tra Cairo e i tifosi perché il patron ha rinunciato a quell’atteggiamento accentratore che imbrigliava le scelte del club: si è convinto a dare qualche delega ai suoi collaboratori e si fida del nuovo allenatore Giampiero Ventura; per la cronaca, i granata sono a metà classifica in serie A. Ad Abazia di Masio, in provincia di Alessandria, dove Cairo è cresciuto, la notizia di La7 è stata ovviamente ben accolta, così come in famiglia. Laura, la sorella, elogia la sua costanza, “come nello studio”. “Mamma non è la Telecom”, grida la figlia piccola che ha risposto al telefono passandole la cornetta. Stavolta, in casa Cairo, Telecom non c’entra, è il Foglio.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.