La foto di Vasco

Claudio Cerasa

Vasco, scusa, c’è questo problema con le liste. Vasco, scusa, c’è questa questione in Calabria. Vasco, scusa, c’è questa faccenda in Sicilia. Vasco, scusa, c’è questo imprevisto con le candidature. Vasco, scusa, c’è questa storia con Matteo. Vasco, scusa, c’è questo caso con i sindacati. Vasco, scusa, c’è questa difficoltà con le regioni. Vasco, scusa, c’è questo intoppo sui collegi. E così via.

    Vasco, scusa, c’è questo problema con le liste. Vasco, scusa, c’è questa questione in Calabria. Vasco, scusa, c’è questa faccenda in Sicilia. Vasco, scusa, c’è questo imprevisto con le candidature. Vasco, scusa, c’è questa storia con Matteo. Vasco, scusa, c’è questo caso con i sindacati. Vasco, scusa, c’è questa difficoltà con le regioni. Vasco, scusa, c’è questo intoppo sui collegi. E così via. A voler restare nell’ambito della famosa metafora politico-animale (“Ragassi, mo’ via, adesso smacchiamo i giaguari!”) si può dire senza paura di essere smentiti che c’è un volto in particolare che da qualche tempo il segretario del Pd ha in testa in modo piuttosto chiaro ogni volta che si ritrova a ragionare su chi tecnicamente sarà, qualora dovesse arrivare a Palazzo Chigi, la persona che dovrà impegnarsi nella non facile operazione di sbianchettare una a una le macchie di tutti i giaguari del mondo. Il nome della persona che negli ultimi mesi è diventata a tutti gli effetti lo smacchia-giaguari ufficiale del Pd è quello di un politico magari non molto appariscente e non troppo a suo agio con le telecamere ma che anno dopo anno, campagna elettorale dopo campagna elettorale, primarie dopo primarie, è riuscito a occupare un posto d’onore all’interno del famoso cerchio magico del segretario del Pd. Al punto che oggi diversi amici di Bersani raccontano che se proprio bisogna individuare nel centrosinistra un politico che ha una sua influenza vera e concreta sul pensiero e le scelte del segretario quel politico risponde senz’altro al nome di “Vasco”.

    Vasco, come forse avrete intuito, di cognome si chiama Errani e nella vita (e praticamente da una vita, dal 1999) fa il presidente della regione in Emilia Romagna. Errani e Bersani si conoscono da molti anni (il primo è di Ravenna, il secondo è di Bettola, provincia di Piacenza); hanno mosso insieme i primi passi in politica ai tempi della Fgci e poi del Pci emiliano-romagnolo; hanno imparato a conoscersi anche grazie alla passione comune per le buone letture (entrambi sono appassionati di Leopardi, Pavese e Baudelaire) e la filosofia (entrambi hanno studiato nella stessa facoltà all’Università di Bologna: Errani a differenza di Bersani non si è laureato ma ha avuto la fortuna di avere degli stagisti attenti nel compilare il suo profilo sul sito della regione); e si sono poi ritrovati insieme in regione quando Bersani riuscì a fare in piccolo quello che dopo il prossimo weekend sogna di fare in grande: il presidente del Consiglio.
    All’epoca il “Consiglio” in questione era quello della regione Emilia Romagna ma già all’epoca Bersani scelse di affidare all’amico Errani lo stesso incarico che immagina di affidargli nel caso in cui il centrosinistra dovesse vincere le elezioni. Era il maggio 1995, Pier Luigi Bersani era stato appena eletto (per la seconda volta) presidente di regione e come primo atto della sua nuova giunta affidò l’incarico di “segretario alla presidenza del Consiglio” proprio all’amico Vasco (il giorno dell’investitura Errani indossava un vecchio, lungo e malandato cappotto di montone e da quel giorno in poi, forse anche per scaramanzia, in tutte le più importanti occasioni pubbliche a cui partecipa indossa sempre quel capo lì). I due lavorarono fianco a fianco in regione per alcuni mesi fino al 17 maggio del 1996, quando Bersani fu “costretto” a interrompere la sua esperienza in regione per rispondere “sì” all’offerta ricevuta dal neo presidente del Consiglio Romano Prodi: un posto al governo come ministro dell’Industria. Ai tempi Bersani giustificò il suo addio a via Aldo Moro 52 a Bologna (sede della regione) spiegando che si trattava di un’occasione importante e irrinunciabile sia per esportare a livello nazionale il modello emiliano sia per vedere rappresentate in modo opportuno le istanze politiche della sua regione. “Ero presidente della regione e mi proposero di andare a Roma a fare il ministro. Avevo il timore che la gente lo percepisse come un allontanamento, quasi come un tradimento. Invece la gente era molto contenta, perché questa regione sa bene cosa significa mettersi al servizio del paese”. Il segretario del Pd ha ricordato l’episodio giusto pochi giorni fa durante un comizio a Mirandola (uno dei paesi della regione più colpiti dal terremoto) quando, lasciandosi andare, ha confessato ai cronisti che, sì, ci sono serie possibilità che Errani entri nella rosa dei ministri del prossimo (probabile) governo di centrosinistra: “E’ una riflessione che sto facendo, non lo nego sennò sarei falso”.

    Vasco di qua, Vasco di là, Vasco di qua, Vasco di là. Ma che cos’ha di così speciale questo Errani per essere diventato oggi il politico più ascoltato da Bersani? E che cosa rappresenta esattamente il governatore dell’Emilia Romagna per il segretario del Pd? Per capire la consuetudine con il potere del presidente della regione potrebbe essere sufficiente raccontare come all’interno del Pd nessuna delle persone che hanno rapporti importanti con Errani ha accettato di offrire al cronista le proprie parole firmandole con nome e cognome (“Mi raccomando, nulla tra virgolette, sennò mi fanno fuori!”). Ma andando a scavare un po’ nella storia del governatore non ci vuole molto per capire come ha fatto Errani a conquistarsi un posto al sole all’interno del Pd.
    “Vasco – ci dice un importante esponente del Pd in lizza anche lui per un posto nel prossimo e possibile governo Bersani – non è un ‘guru’ ma è un super mediatore, uno che risolve i problemi. Lo definirei un grande manutentore della macchina, uno di quelli che se metti il treno sul binario giusto lui sa come far girare le ruote e come togliere con metodicità tutti i sassolini dai binari”. Negli ultimi mesi, in effetti, questo ha fatto Errani: ha mediato, insieme con un altro emiliano, Maurizio Migliavacca, tra tutte le anime del Pd; ha risolto diversi problemi a Bersani; ha messo in ordine le cose; ha girato l’Italia per diffondere il verbo del segretario (martedì scorso, tanto per dirne una, è stato avvistato a Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, per una serie di iniziative elettorali); ha svolto con efficacia il ruolo di gran negoziatore tra il leader del Pd e i governatori delle regioni (Errani è presidente della conferenza stato-regioni dal 2005 e dall’epoca passa almeno due giorni a settimana a Roma); ha costruito e organizzato la rete che ha sostenuto alle primarie Pier Luigi Bersani; e tra dicembre e gennaio, tra un pacchetto di Marlboro rosse e un altro, ha ricucito anche i rapporti tra il segretario e il sindaco di Firenze dopo le primarie (le sigarette, già. Errani condivide con Bersani anche la passione per il tabacco: Errani fuma come un Crosetto e quando si ritrova a lungo all’interno di uno spazio chiuso in cui non può fumare inizia a prendere piccoli pezzettini di carta, li taglia con le dita in segmenti rettangolari, poi li arrotola e inizia a maneggiare il pezzettino di carta tra le dita come se fosse una sigaretta).

    La trasformazione di Vasco Errani in una sorta di Gianni Letta di Pier Luigi Bersani ha cominciato a concretizzarsi poco prima di settembre quando, improvvisamente, il centrosinistra si ritrovò a fare i conti con una richiesta di Matteo Renzi: ragazzi, perché non facciamo le primarie? In quella fase, ricorderete, la proposta venne considerata come fosse una richiesta quasi sovversiva (“Non si può”, “Lo statuto non si tocca”, “Non diciamo sciocchezze”, “Smettila ragazzino”) ma proprio nelle stesse ore in cui Massimo D’Alema, Dario Franceschini, Rosy Bindi, Anna Finocchiaro, Beppe Fioroni, Enrico Letta e compagnia suggerivano a Bersani di non fare stupidaggini e di non stravolgere lo statuto del Pd (che prevedeva la candidatura automatica del segretario come leader della coalizione, scelta che probabilmente avrebbe portato il centrosinistra a competere oggi per il quarto posto alle elezioni) l’unico che suggerì a Bersani una strada alternativa per arrivare alle urne schivando il maggior numero possibile di sassolini fu proprio Vasco Errani. Bersani ascoltò lui – e non Massimo D’Alema, Dario Franceschini, Rosy Bindi, Anna Finocchiaro, Beppe Fioroni, Enrico Letta e compagnia – e da quel momento in poi scelse di affidare all’amico Vasco i dossier più importanti delle varie campagne elettorali: prima coordinando nell’ombra il comitato Bersani; poi gestendo sempre dall’esterno l’organizzazione delle parlamentarie; e quindi passando ore e ore a telefono con i renziani (e in particolare con il capo gabinetto di Matteo Renzi, e prossimo deputato, Luca Lotti) per organizzare le liste da presentare per il Parlamento (il sindaco di Firenze, tra le altre cose, prima e dopo le primarie comunicava con Bersani solo via sms, quando aveva una questione più importante da risolvere se la vedeva direttamente con Errani e tra ottobre e dicembre qualche volta è capitato pure che “Matteo” venisse apposta in treno da Firenze a Bologna per discutere direttamente, faccia a faccia, con l’amico Vasco).

    Tra le qualità che hanno trasformato Errani in un perfetto smacchiatore di giaguari, poi, ce ne sono un paio legate anche alla natura delle relazioni costruite in questi anni dal governatore nella propria regione. E a Bersani non sfugge che la presenza di Errani a Palazzo Chigi costituirebbe un filtro perfetto per dialogare con efficacia con alcuni dei probabili protagonisti della prossima legislatura: da un lato Romano Prodi e dall’altro il mondo grillino. Con il professore candidato al Quirinale, Errani ha un rapporto di lungo corso che si è consolidato nei mesi successivi all’ultimo addio dato da Prodi a Palazzo Chigi (Errani fu uno dei pochi politici che venne accolto da Prodi nella sua casa bolognese a via Gerusalemme 7 il giorno successivo alle dimissioni date dal prof. nel gennaio del 2008); mentre con il mondo dei grillini Errani è stato costretto a fare i conti già a partire dal 2010, quando subito dopo le elezioni regionali, dove Grillo prese il 7 per cento, arrivarono in consiglio i primi grillini (Andrea Defranceschi e Giovanni Favia) e con loro giorno dopo giorno il presidente Errani ha cercato di costruire un certo rapporto, al punto da scegliere uno dei due grillini eletti (Favia, oggi passato però con Ingroia) come presidente della commissione Statuto e regolamento. “Il Movimento 5 stelle – ha detto non a caso tre giorni fa il segretario del Pd – è nato in Emilia Romagna, li conosciamo bene, capisco la richiesta di sobrietà della politica e anche la rabbia”.
    A tutto questo poi va aggiunto un dato non secondario legato al ruolo di “potere” esercitato da Errani in regione. Avere l’Emilia Romagna, per i compagni, significa da sempre avere la custodia del Santo Graal della sinistra e considerando che Errani governa in regione ininterrottamente da quattordici anni si capisce come il presidente sia diventato un punto di riferimento oggettivo per il Pd nel rapporto con alcuni delicati “players” industriali vicini al mondo del centrosinistra: dalla Cmb alla Coopsette, dall’Unipol alla Lega Coop arrivando fino al colosso dell’energia Hera (un gigante dei servizi nato nel 2002 sotto il protettorato di Errani controllato al 62 per cento dagli enti locali che viene osservato dai sindacati e in particolare da Susanna Camusso come un modello industriale su cui puntare nel futuro per tentare di portare avanti nella prossima legislatura un lento processo di concentrazione per via pubblica a livello regionale delle multiutility locali).

    Tra le altre cose, però, Errani rappresenta plasticamente anche il trasferimento progressivo del modello Emilia su scala nazionale. Oltre a lui, infatti, in questi anni, le persone di cui si è circondato Bersani e di cui si è sempre fidato sono soprattutto quelle venute dalla sua terra. C’è Vasco Errani, c’è Maurizio Migliavacca, c’è Dario Franceschini, c’è la storica segretaria di Bersani, Zoia Veronesi, c’è il consigliere regionale Miro Fiammenghi (che con Errani ormai, da mesi, trascorre parecchio tempo ogni settimana al terzo piano di Largo del Nazzareno a Roma, sede del Pd) e c’è naturalmente anche Romano Prodi.
    La presenza così massiccia del modello Emilia nella squadra del segretario è  significativa anche perché si contrappone plasticamente a quello che era stato il modello originario attorno al quale era nato il Pd: ieri era il modello Roma, con Walter Veltroni, Francesco Rutelli e Goffredo Bettini; oggi ci sono gli altri, “noi”. Una differenza che non è soltanto geografica ma è soprattutto culturale e che rappresenta una lontananza concreta tra due modelli politici che più distanti non potrebbero essere: di là (a Roma) la sinistra delle idee, della cultura, dello spettacolo, del modello americano, della rete, del partito aperto; di qui invece (in Emilia Romagna) la sinistra del pragmatismo, degli affari, del business, del partito solido, della ditta, delle sezioni (e non dei circoli), delle sagre di paese, delle feste dell’Unità (dove Errani, che da anni dà spettacolo nelle cucine romagnole con le sue lezioni su come si fa il salame e su come si ammazza il maiale, viene trattato più o meno con la stessa sobrietà con cui gli interisti oggi tratterebbero José Mourinho sulla panchina dell’Inter). Insomma, la sinistra che magari non parla bene inglese e non sa utilizzare bene le e-mail ma sa sia come si gestisce il potere sia come si vincono le elezioni. E capirete, dunque, che per i post-comunisti emiliani che hanno passato una vita a vedersi esclusi dai più importanti incarichi nazionali (da sempre, per una sorta di regola non scritta del Pci, il segretario del più importante partito di sinistra poteva essere tutto tranne che emiliano, perché chi ha la cassa, si sa, è bene che non governi la baracca) anche dal punto di vista simbolico ha un certo significato che il modello Emilia oggi abbia buone possibilità di andare alla conquista dell’Italia. “Il modello emiliano – ha detto non a caso qualche giorno fa lo stesso Errani – deve diventare il modello di governo da contrapporre alla devoluzione di Bossi e Berlusconi”.

    La presenza massiccia di emiliani nella squadra di Bersani paradossalmente potrebbe però costituire un ostacolo per la scalata di Errani; e qui le strade del pupillo del segretario si incrociano con quelle del pupillo di Matteo Renzi. A quanto risulta al Foglio, l’unica richiesta fatta da Renzi a Bersani riguarda l’inserimento nel prossimo governo di un altro emiliano di peso che durante le primarie del centrosinistra si è speso molto per il sindaco Rottamatore. Il nome è quello di Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’Anci (carica a cui ambisce il Rottamatore, se Delrio dovesse spostarsi al governo); e Renzi ha ottenuto la garanzia da parte di Bersani che in caso di vittoria un posto per Delrio ci sarà sicuramente. (L’altro renziano in lizza per un posto al governo è Alessandro Campo Dall’Orto, ex numero uno di Mtv, che a inizio febbraio ha lasciato la guida di Viacom international media networks “per seguire nuove opportunità” e che è uno degli altri nomi su cui il sindaco scommette per essere rappresentato nel prossimo esecutivo). Con Delrio al governo si tratterebbe per Bersani di avere un altro emiliano nella squadra, e considerando che nel pacchetto potrebbe essere aggiunto anche un altro emiliano come Prodi (che corre però, come detto, non per un posto a Palazzo Chigi ma per un posto al Quirinale) si capisce perché non sia scontata la promozione di Errani.
    In realtà, però, il vero ostacolo alla scalata del governatore è legato soprattutto a un altro aspetto. Le sue dimissioni da governatore porterebbero infatti alle elezioni l’Emilia Romagna, ed Errani e Bersani sono disposti a correre il rischio di un nuovo voto solo a condizione che il centrosinistra, alle politiche, ottenga in Emilia un risultato soddisfacente che metta al riparo la regione da un possibile exploit grillino.

    “Il vero limite di Errani – racconta un consigliere regionale del Pd –  è stato quello di aver fatto di tutto in questi anni per allontanare dalla regione quei politici che avrebbero potuto rappresentare delle alternative al momento della scelta del suo successore. E’ andata così con il suo ex vicepresidente Flavio Delbono, mandato a Bologna; ed è andata così con Daniele Manca, ex capogruppo dell’Ulivo in regione, inviato a Imola. Errani è diventato quello che è anche così. Con le buone e con le cattive. E oggi sinceramente, da vecchio emiliano, credo che anche per lui valga la descrizione che tempo fa Edmondo Berselli fece di Romano Prodi: ‘Un politico talmente buono che gronda bontà da tutti gli artigli’. Il discorso valeva per Romano e oggi vale anche per Vasco. E se il Pd dovesse vincere le elezioni sono certo che Bersani non rinuncerà facilmente a quegli artigli lì”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.